Reddito di cittadinanza / La proposta
Contro il rischio assistenza usiamo il Microcredito

Intervista a Mario La Torre

Paola Pilati

Reddito di inclusione o reddito di cittadinanza, Rei o Rec? Varato il primo dal governo uscente, lanciato il secondo nella campagna elettorale dei Cinque Stelle, l’aiuto pubblico a quella porzione crescente di cittadini che si trovano in difficoltà è l’intervento di welfare più agognato, quasi una panacea per la stabilità sociale. Per questo è diventato il terreno su cui forze politiche di diversa estrazione, ma in cerca di un’intesa, provano a trovare una ricetta comune. Ma la prima questione da risolvere, per renderlo accettabile in un paese dai seri problemi di spesa pubblica come il nostro, resta quella di architettare uno strumento che non si fermi alla pura assistenza, di non trasformare l’aiuto in un sussidio stabile e basta, senza produrre ricadute occupazionali.

Una soluzione per dribblare questo rischio, e anzi per allungare la gittata dell’intervento, l’ha proposta Mario La Torre, ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari alla Sapienza di Roma, che ne ha dato un primo abbozzo nel suo blog, Good in Finance. «Sia il Rei che il Rec si giustificano in ragione del fallimento delle politiche economiche pre e post crisi, che hanno creato un obbligo morale sulla classe politica di intervenire per ridurre la povertà e contrastare l’esclusione sociale», precisa. «Ma il Rei, per come è concepito, è un’occasione mancata, un sussidio che non stimola azioni proattive in termini di inclusione nel mondo del lavoro».

Come pensa che possa funzionare meglio?

«Occorre renderlo, nel concreto, uno strumento-ponte per l’inserimento nel mondo del lavoro e, per far questo, dobbiamo lavorare su due leve: in un’ottica finanziaria, è ormai conveniente ripartire dallo stanziamento di due miliardi già previsto per il Rei a sostegno dei servizi di inclusione; in un’ottica industriale, occorre ripensare la rete su cui canalizzare tali servizi valorizzando la logica proattiva e inclusiva, che oggi non c’è».

Ma il Rei è già collegato alla ricerca di un lavoro. Lei pensa che non sia efficace?

«La ricerca di lavoro è, attualmente, affidata o all’iniziativa del singolo che deve “autocertificare” la sua proattività in termini di ricerca di un’occupazione. La misura prevede, poi, chei Centri per l’impiego presenti sul territorio verifichino tale progettualità e sostengano il beneficiario del sussidio nel percorso di inserimento. Tuttavia,della loro efficienza non si fida neanche il Ministero dello Sviluppo Economico, tanto che sono stati destinati 2 miliardi proprio per riformare e riorganizzarne questa rete; obiettivo per il quale, nella migliore delle ipotesi, occorreranno diversi anni. Due miliardi rappresentano un investimento significativo. Non sarebbe meglio utilizzarli in maniera più efficace, magari anche ampliando la platea dei beneficiari?».

E chi è in grado di giocare in quella logica “proattiva e inclusiva” meglio delle Agenzie?

«La proposta che avanzo è quella di valorizzare la rete del Microcredito. Il Microcredito, introdotto con la riforma del titolo V del T.U.B. prevede due forme di intervento, una “sociale” per venire incontro ai bisogni primari (con un massimo di 10 mila euro di prestito erogabile), l’altra per promuovere la micro imprenditorialità, con finanziamenti da 25 mila euro estendibili fino a 35 mila. Il legislatore ha previsto che il prestito venga obbligatoriamente associato a specifici servizi ausiliari di assistenza e monitoraggio, proprio al fine di supportare il beneficiario del prestito nella iniziativa lavorativa finanziata. È un servizio che serve per aiutare chi spesso non ha alcuna esperienza imprenditoriale, sia nella fase progettuale che in quella di implementazione del progetto». In tale ottica, l’Ente Nazionale per il Microcredito, ente pubblico non economico, ha strutturato una rete di sportelli che forniscono servizi di informazione ed assistenza ai beneficiari. Naturalmente, è una rete che va potenziata, ma che è già allenata a lavorare in modo proattivo in termini di job creation. In tal modo, si potrebbe razionalizzare l’uso dei 2 miliardi previsti dal REI, consegnando migliore e più immediata efficacia all’azione di inclusione e liberando risorse per ampliare la platea dei beneficiari.

Il microcredito esiste da anni: con quali risultati, finora?

«I microcrediti erogati a valere sui programmi coordinati dall’Ente Nazionale per il Microcredito, che si avvalgono della rete di tutor già formati e attivi sul territorio, hanno un tasso di default inferiore allo 0,5 per cento, ben al di sotto di quelli di mercato. Inoltre, l’Ente ha appena firmato una convenzione con la Banca d’Italia per la gestione dell’Elenco dei Tutor di microcredito ed ha varato un decalogo che garantisce la qualità dei tutor. La rete del microcredito, offre un sistema già rodato, che potrebbe da subito dare risultati, se collegato a reddito di inclusione, o di cittadinanza, o comunque lo si voglia chiamare».

Qualche cifra.

«Il microcredito sviluppa un moltiplicatore di creazione di lavoro pari a 2,43. Nell’articolo che ho pubblicato sul mio blog (https://www.goodinfinance.com/reddito-cittadinanza-fil-rouge-col-microcredito/) ho lanciato una provocazione: se il microcredito avesse coinvolto anche solo la metà di quanti hanno ricevuto il Rei nel primo trimestre di quest’anno, su base annuale avrebbe creato 500 mila nuovi posti di lavoro».