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Conto alla rovescia per il sistema bancario italiano?

In un contesto di generale difficoltà, che ha scosso l’iniziale ripresa della fiducia dei consumatori, nel 2016 il settore bancario italiano ha visto consolidarsi e aumentare le conclamate difficolta’ di alcune banche, sfociate in vere e proprie situazioni di emergenza e crisi, come nel caso delle banche venete e di MPS. La ridotta profittabilità dell’intero sistema bancario, ancora molto concentrato sul modello tradizionale di intermediazione creditizia, che soffre della compressione nei tassi di interesse indotta dalla politica monetaria ultra espansiva, e la scarsa apertura alla digitalizzazione e all’affermarsi di nuovi canali distributivi meno costosi ha reso evidenti l’insostenibilita’ di reti sovradimensionate in termini di filiali e personale. A tali fenomeni macro, che interessano in modo simile i sistemi bancari di tutta l’Europa, si è aggiunto il problema domestico di un livello eccessivo delle sofferenze e dei crediti deteriorati. In questa situazione, per il sistema bancario italiano si prospetta un violento, ma rapido, processo evolutivo per traghettare il Paese verso la crescita economica.

Giorgio Di Giorgio
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Il 2016 è stato un anno denso di eventi di rilievo. Le prime sei settimane sono state caratterizzate da una violenta tempesta finanziaria che ha visto le maggiori borse valori perdere fino al 20-25% e alcune tra le maggiori banche italiane e europee divenire osservate speciali e obiettivo di ingenti vendite, che ne hanno ridotto drasticamente la capitalizzazione.

Le cause sono diverse e ben note. Il paventato (poi ritardato) avvio di una normalizzazione della politica monetaria negli USA, con il primo rialzo dopo 9 anni dei tassi di interesse a breve nel dicembre 2015; la riduzione consistente e probabilmente strutturale del tasso di crescita dell’economia cinese, pur mantenendosi intorno al 6%; i timori di ulteriori spinte deflattive provenienti dal crollo dei prezzi del petrolio e le collegate difficoltà nella nuova industria dello shale gas.

La brutta partenza dell’anno ha continuato a farsi sentire nei mesi successivi, seppur attenuandosi, prevalentemente attraverso la riduzione di quell’appena accennato ritmo di ripresa nel clima di fiducia che così tanto rileva per i mercati e le transazioni finanziarie. Fiducia che è stata scossa ciclicamente e ripetutamente nei mesi successivi, alimentata dall’incertezza sugli importanti appuntamenti politici dell’anno, dal referendum inglese sulla permanenza nella UE alle elezioni americane, ad altri eventi di minore rilevanza, tra i quali il referendum sulla riforma costituzionale in Italia.

In questo contesto, il settore bancario italiano ha visto consolidarsi e aumentare le conclamate difficoltà di alcune banche, sfociate in vere e proprie situazioni di emergenza e crisi, come nel caso delle banche venete e di MPS. Il salvataggio, effettuato nel novembre 2015, prima dell’entrata in vigore della nuova normativa che include il bail-in e in coerenza con la disciplina sugli aiuti di Stato dell’UE, delle “4 banche” (Banca Marche, Cassa di Risparmio di Chieti, Cassa di Risparmio di Ferrara e Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio) aveva per la prima volta coinvolto nelle perdite risparmiatori retail nei panni di azionisti e creditori subordinati dei singoli istituti. La ridotta profittabilità dell’intero sistema bancario, ancora molto concentrato sul modello tradizionale di intermediazione creditizia, che soffre della compressione nei tassi di interesse indotta dalla politica monetaria ultra espansiva, e la scarsa apertura alla digitalizzazione e all’affermarsi di nuovi canali distributivi meno costosi rendeva evidenti l’insostenibilità di reti sovradimensionate in termini di filiali e personale. A tali fenomeni macro, che interessano in modo simile i sistemi bancari di tutta l’Europa, si aggiungeva il problema domestico di un livello eccessivo delle sofferenze e dei crediti deteriorati, dovuto sia a casi di mala gestio e clientelarismo economico e politico, che, soprattutto, al prolungamento ormai cronico di una stagnazione economica le cui origini sono molto precedenti la crisi finanziaria del 2007 e l’avvio, nel secondo semestre del 2008, della prima recessione dell’economia mondiale. Il nostro Paese, infatti, in termini di crescita del prodotto interno lordo pro-capite, un indicatore rozzo ma utile degli standard di vita di una collettività, cresce meno della media dell’area dell’euro (non solo dei più dinamici USA) da oltre 20 anni, e a partire dal 2000 ha addirittura sperimentato una riduzione dello stesso. È ovvio che in un simile contesto si verifichino diffuse insolvenze nell’economia reale e le connesse perdite nel recuperare il credito concesso da un sistema bancario ancora largamente dominante nel panorama degli offerenti fondi alle imprese non finanziarie.

La tenuta del sistema bancario italiano richiede una ristrutturazione profonda e il perseguimento rapido del troppo rimandato processo di consolidamento. In tale direzione si è mosso anche il Governo, già nel 2015, con la riforma della disciplina sulle banche popolari, prima, che prevede il passaggio a SpA oltre una determinata soglia dimensionale, e l’avvio del processo di riforma del sistema del credito cooperativo. E con la promozione, attraverso il coinvolgimento sia del sistema bancario che di altri investitori istituzionali, dei fondi Atlante per la ricapitalizzazione di banche in crisi e l’acquisto di crediti in sofferenza. Insieme ad una serie di altri interventi coerenti quali la concessione di Garanzie creditizie (GACS) e l’introduzione di nuovi strumenti per facilitare l’escussione delle garanzie e ridurre le incertezze e i ritardi nei procedimenti della giustizia civile.

Al momento in cui questo editoriale viene scritto, è ancora ignoto il destino di una delle maggiori banche del Paese, MPS, al bivio tra un arduo cambio di controllo societario privato-pubblico, che in ogni caso richiederà una ristrutturazione profonda e radicale e un forte ridimensionamento dell’Istituto. È in via di definizione una problematica integrazione della Banca Popolare di Vicenza con Veneto Banca, guidata dal Fondo Atlante, sul cui futuro stand alone è quantomeno lecito continuare a dubitare. È stato appena annunciato un ambizioso piano di ricapitalizzazione della maggiore e più internazionalizzata banca italiana, Unicredit, quale presupposto del ritorno a una solidità e una redditività attualmente critiche. A gennaio verrà attuata l’integrazione ormai decisa tra Banco Popolare e BPM, che dà vita al terzo gruppo bancario del Paese. Sono attivi tavoli di confronto e riflessione sia nel gruppo UBI che presso altri gruppi minori volti a verificare possibilità di integrazione e crescita.

Pressione competitiva, ricerca di efficienza e dimensione coerente anche con le sfide di una regolamentazione sempre più invasiva, necessità di cogliere le opportunità innovative offerte dalle nuove tecnologie digitali: sono questi i drivers principali di un processo evolutivo violento ma finalmente rapido, che sta coinvolgendo profondamente il sistema bancario italiano.

La nuova mutata configurazione settoriale che osserveremo tra qualche mese dovrà risultare in grado di contribuire a vincere quella che resta la sfida principale di tutto il Paese, il ritorno ad un sentiero di crescita economica il più possibile diffuso e sostenibile.