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Consulenza finanziaria e previdenza integrativa: una proposta di policy

Andamento demografico e riduzione della popolazione attiva nel mondo del lavoro ridurranno il ruolo del primo pilastro pensionistico. Ecco come si potrebbe incentivare la previdenza integrativa in modo automatico. Con la collaborazione dei nonni

Giorgio Di Giorgio
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Gli scenari demografici attesi per il nostro paese evidenziano una notevole riduzione della popolazione nei prossimi 30-40 anni, con un rapporto tra residenti over 65 e under 14 che raggiungerà 3 a 1 già nel 2050. Nonostante i recenti interventi in tema di pensione abbiano messo a regime finanziariamente il sistema pensionistico pubblico, agganciando all’aspettativa di vita una periodica revisione dell’età in cui andare in pensione e del coefficiente da applicare al montante contributivo, occorre sottolineare che le pensioni sono ancora e rimarranno a lungo pagate per cassa.

La riduzione della popolazione attiva nel mercato del lavoro a fronte dell’aumento di pensionati rende ancora il sistema rischioso. Inoltre, in prospettiva, il peso del primo pilastro in termini di sostituzione tra ultima retribuzione e primo trattamento mensile di quiescenza si va riducendo considerevolmente. Una sfida ormai evidente è quindi potenziare il ruolo della previdenza complementare e integrativa.

A questo tema andrà dedicata crescente attenzione dai consulenti finanziari che affiancano i risparmiatori italiani nelle scelte di investimento e accumulazione di capitale da destinare al sostenimento nella sempre più lunga terza fase della propria vita. Consulenti finanziari che peraltro avranno anche il compito di raggiungere i residenti degli oltre 2800 comuni italiani in cui manca una filiale bancaria e che si stanno progressivamente sempre più riducendo come popolazione residente, aumentando il costo di garantire servizi finanziari, ma anche di trasporto, sanitari ed assistenziali di base.

La previdenza integrativa, nel nostro paese, come anche in altri Stati vicini quali Germania e Francia, è stata a lungo schiacciata dal peso preponderante delle pensioni pubbliche. Solo negli ultimi 15 anni ha iniziato a mostrare una dinamica di crescita costante, ma ancora insufficiente a garantire, in prospettiva, un buon sostituto alla minore copertura che arriverà dal primo pilastro.

La contribuzione ai fondi pensione ha raggiunto i circa 9 miliardi di euro annui, ma oltre un quarto degli iscritti non versa con regolarità i propri contributi volontari, così che il capitale medio accumulato risulta ancora molto basso.

Uno sviluppo ulteriore della previdenza complementare e integrativa andrebbe quindi senza dubbio incentivato. In un recente studio, pubblicato su un volume di Economia Italiana, dedicato alla comprensione degli effetti della demografia sul sistema economico e finanziario italiano, insieme ai colleghi Domenico Curcio e Giuseppe Zito, abbiamo quindi proposto l’introduzione di un tassello addizionale di previdenza integrativa che fosse finanziato in modo automatico (non volontario) dalle spese di consumo effettuate con strumenti finanziari registrati, sfruttando ma ribaltando nelle finalità il cash back introdotto dal Governo a guida Cinque stelle alla fine del secondo decennio del nuovo millennio.

La proposta è semplice e parte, nel tentativo di garantirne almeno in una certa misura la copertura finanziaria, da un aumento dell’1% dell’iva su tutti gli acquisti. A fronte di questo maggior onere per (tutti) i consumatori, lo Stato retrocederebbe però, a chi effettua acquisti usando uno strumento registrato, il doppio, cioè il 2% delle spese come contribuzione a una posizione individuale in un fondo, che abbiamo chiamato di cash forward, che contribuirà a coprire le necessità di consumo nella fase di quiescenza. La creazione di una posizione pensionistica potrebbe iniziare anche ben prima dell’entrata nel mondo del lavoro, ad esempio a 15-16 anni attraverso l’uso di carte prepagate alimentate da genitori e nonni.

Sfruttando la “magia” dell’interesse composto, nelle parole di Massimo Doris a un recente convegno in cui ne abbiamo discusso insieme, queste contribuzioni, anche limitate ma effettuate in periodi molto anticipati rispetto alla quiescenza, avrebbero un ruolo rilevante nella rendita pensionistica futura proprio di quei soggetti, i giovani, che oggi sono relativamente più fragili e bisognosi di attenzione.

L’iniziativa incentiverebbe in modo potente, ma senza imporlo, anche l’uso di strumenti tracciabili al posto del contante, riducendo l’inadempienza fiscale. Inoltre, sarebbe un trasferimento intergenerazionale virtuoso, data la sproporzione esistente tra il trattamento degli attuali pensionati e quello dei futuri. La stessa industria finanziaria del paese ne trarrebbe beneficio, visto che la gestione del fondo potrebbe essere attribuita periodicamente a uno o più asset manager rigorosamente selezionati sulla base di una gara competitiva.

Va riconosciuta la difficoltà “politica” di proporre un intervento che parta, in un momento in cui l’attività economica è in contrazione, da un aumento delle imposte indirette. Tuttavia, questo potrebbe essere compensato da interventi diversi di semplificazione e riduzione delle imposte, nell’attuale contesto di cantiere aperto sulla riforma fiscale, salvaguardano comunque i saldi di finanza pubblica, dato il notevole livello raggiunto dal rapporto debito-pil nel paese.

Quello che non si può invece rinviare, onestamente, è una riflessione aperta e trasparente sulla necessità impellente di stimolare ulteriormente il risparmio previdenziale integrativo dei cittadini.