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Consulenti finanziari fuori sede: cresce il numero, diminuiscono le garanzie

Tra le modifiche introdotte nel Testo Unico della Finanza, con il d.lgs. 129/2017 (che segna il recepimento in Italia della direttiva MiFID II) una di quelle che ha fatto, e farà, più discutere è stata l’introduzione dell’art. 30 – bis. Tale disposizione, infatti, nell’ampliare le modalità di prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti da parte dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza, pone numerosi interrogativi. In un ottica di bilanciamento di interessi, se da un lato il legislatore, con tale norma, ha voluto riconosce l’interesse dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza ad operare fuori sede, dall’altro sembra aver “compresso” l’interesse dell’investitore e del mercato ad una completa e totale tutela nell’attività fuori sede.

Alessandro Livi
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Il tema della consulenza finanziaria è stata oggetto di recenti interventi normativi, tra i quali, l’emendamento 12.0.1 alla legge Bilancio 2018, che estende la possibilità di prestare consulenza finanziaria anche ai dottori commercialisti ed agli esperti contabili, e il d.lgs. 129/2017, il quale, con l’introduzione dell’art. 30-bis TUF, prevede la facoltà per i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza di promuovere e prestare anche fuori sede il servizio di consulenza in materia di investimenti.

Andando nel dettaglio, riguardo alla prima novità, è di questi giorni (22 novembre 2017) la notizia dell’approvazione di un emendamento, l’emendato 12.0.1, inserito nel Bilancio di previsione 2018 (Atto Senato n. 2960), il quale prevede che i dottori commercialisti e gli esperti contabili potranno essere iscritti “su richiesta” all’Albo dei consulenti finanziari, nella costituenda sezione dei consulenti finanziari autonomi, “purché in possesso dei medesimi requisiti di onorabilità e professionalità previsti per questi ultimi”. L’emendamento aggiunge inoltre che per i commercialisti è prevista “una prova valutativa semplificata” in considerazione dei requisiti di professionalità già posseduti.

I commercialisti, ovviamente, saranno soggetti alle regole di condotta vigenti per i consulenti finanziari autonomi.

Tale emendamento si pone in linea sia con la giurisprudenza amministrativa che si è pronunciata in materia sia con l’impianto normativo della direttiva MiFID II

In particolare, sul primo versante si rammenta che con la sentenza n. 31825 del 27-08-2010 il T.A.R. del Lazio ha sì respinto il ricorso del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, volto ad annullare il “Regolamento disciplina dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali per l’iscrizione all’albo dei consulenti finanziari” del Ministero dell’Economia e delle Finanze (decreto n. 206/08 pubblicato sulla G.U. n. 303 del 30.12.2008)ma ha al contempo lasciato “aperta la porta” ai commercialisti per l’iscrizione all’Albo dei consulenti, previo il superamento di una prova valutativa.

Sul secondo fronte, il menzionato emendamento non sembra contrastare con la normativa comunitaria di riferimento; sebbene risulti così incrementato il novero dei soggetti che possono iscriversi all’Albo dei consulenti (così come avvenuto per la categoria professionale degli agenti di assicurazione), rimangono comunque inalterate le categorie dei soggetti che possono prestare il servizio di consulenza in materia di investimenti, le quali saranno sempre ed esclusivamente costituite dai consulenti autonomi, le società di consulenza finanziaria e i consulenti abilitati all’offerta fuori sede così come previsto dalla normativa comunitaria a tutela del risparmio (cfr. art. 3 MiFID II).

Come già cennato, la consulenza finanziaria è stata oggetto di modifica anche per quel che concerne le modalità di svolgimento del servizio da parte dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza.

Dopo un lungo iter parlamentare, è approdato in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 198 del 25 agosto 2017, vigente al 26 agosto 2017) il complesso provvedimento che ridisegna tutto il quadro regolamentare della normativa comunitaria sui mercati degli strumenti finanziari: il decreto legislativo n. 129 del 3 agosto 2017.

L’entrata in vigore del decreto segna il recepimento in Italia della direttiva MiFID II e del relativo regolamento.

Tra le modifiche introdotte nel Testo Unico della Finanza, con il d.lgs. 129/2017, una di quelle che sicuramente ha fatto e farà più discutere gli operatori del mercato e gli studiosi della materia è stata l’introduzione dell’art. 30-bis, rubricato: “Modalità di prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti da parte dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza”, il quale, come già sopra espresso, attribuisce ai consulenti finanziari autonomi e alle società di consulenza finanziaria (Scf) la facoltà di promuovere e prestare anche fuori sede il servizio di consulenza in materia di investimenti.

Una disposizione introdotta in modo “autonomo”, senza essere stata posta in consultazione pubblica e, data l’importanza, forse in modo “frettoloso” da parte del legislatore nazionale. Al riguardo è opportuno chiedersi se l’introduzione di una tale norma sia da considerarsi come un eccesso di delega oppure no. Nella legge di delegazione europea n. 114 del 9 luglio 2014, infatti, vi è una mera clausola generale volta ad apportare al testo unico delle disposizioni in materia d’intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo febbraio 1998, n. 58, le modifiche e le integrazioni necessarie al corretto e integrale recepimento della direttiva 2014/65/UE e all’applicazione del regolamento (UE) n. 600/2014 e delle inerenti norme tecniche di regolamentazione e di attuazione (art. 9, lett. a), legge di delegazione europea n. 114 del luglio 2014).

Alla luce di quanto previsto dalla legge di delega e della disciplina contenuta nella Direttiva MiFID II, sembra potersi ravvisare un apparente eccesso di delega con specifico riferimento alla previsione introdotta dall’art. 30-bis TUF, posto che da nessuna parte della legge di delega si prevede la possibilità di attribuire nuove facoltà ai consulenti finanziari autonomi ed alle società di consulenza, oltre a quelle già previste.

Tale rilievo è importante non solo e non soltanto ai fini di un’illegittimità costituzionale dell’azione del Governo, quanto, per i fini che qui ci occupano, per tentare di comprendere la ratio del legislatore nazionale nell’ampliamento delle possibilità di azione dei consulenti finanziari autonomi e delle società di consulenza finanziaria, in relazione agli obiettivi generali posti dalla MiFID II, ossia in ottica di generale tutela degli investitori e di stretta disciplina degli operatori del settore.

L’introduzione dell’articolo 30-bis nel TUF, infatti, a parere di chi scrive, appare ad una prima analisi caratterizzato da diversi profili di criticità sia da un punto di vista sostanziale, sia da un punto di vista sistematico.

Procedendo con ordine, da un punto di vista sostanziale, la norma oggetto di esame rappresenta una vera e propria innovazione, introducendo per la prima volta la possibilità di promuovere e prestare fuori sede servizi d’investimento, come la consulenza, anche a soggetti non abilitati.

Nel nostro ordinamento, tale attività è stata sinora attribuita in via esclusiva a Soggetti Abilitati a prestare servizi d’investimento (Banche, SGR, SIM, Poste) ai sensi dell’art. 18 TUF, i quali sono dotati di stringenti requisiti patrimoniali e devono avvalersi di persone fisiche monomandatarie (i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede), con cui ai sensi dell’art. 31, comma 3, TUF, rispondono in solido per i danni cagionati agli investitori, anche se conseguenti a responsabilità accertata in sede penale. Inoltre, dati i maggiori rischi ritenuti dai legislatori – e riconosciuti da dottrina e giurisprudenza – connessi all’operatività fuori sede e riconducibili al c.d. “effetto sorpresa”, il legislatore con l’art. 30, comma 6, TUF ha introdotto l’apposita previsione dello jus poenitendi, ossia il diritto per l’investitore di recedere senza penalità né corrispettivo, entro 7 giorni, dal contratto – o dalla proposta di contratto – concluso con l’intermediario per mezzo del consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede.

In tale contesto normativo, un consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede (agente o dipendente), pur iscritto all’albo unico nazionale tenuto dall’OCF (e quindi dotato dei requisiti di onorabilità e professionalità), non può svolgere attività di offerta fuori sede se non con un mandato da parte di una Banca che si assuma la responsabilità dell’operato; e la Banca deve dimostrare di possedere determinati requisiti organizzativi, funzionali al controllo dell’operato degli stessi.

Riassumendo, i pilastri fondamentali sui cui si basa la tutela dell’investitore nell’offerta fuori sede sono: la responsabilità solidale tra intermediario e consulente, i controlli dell’intermediario e i requisiti patrimoniali dello stesso e lo jus poenitendi.

Tale triplice garanzia ha permesso nel corso degli ultimi anni di limitare e mitigare i rischi insiti nell’attività e di rendere fattibile l’eventuale ristoro del risparmiatore, infatti come già sopra esposto, i Soggetti Abilitati rispondono non solo per i danni causati dalla violazione delle regole di comportamento ma anche per condotte che integrino un illecito penale.

Con l’introduzione dell’art. 30-bis, le garanzie che hanno posto le basi della tutela dell’investitore nell’attività fuori sede, vanno lentamente a diminuire.

Preme osservare, infatti, come l’investitore nell’ipotesi di comportamento illecito e pregiudizievole (e quindi posto in essere non in “modo onesto, equo e professionale” così come disposto dall’art. 109-bis Reg. Intermediari Consob) da parte del consulente finanziario autonomo, sarebbe privo di qualsiasi garanzia patrimoniale, se non l’esiguo patrimonio della stessa persona fisica, ed inoltre non potrebbe neppure fare affidamento sulla polizza obbligatoria per la responsabilità civile, atteso che come sancito dall’art. 1900 c.c. l’assicurazione non può dispiegare efficacia per i sinistri causati da dolo o colpa grave dell’assicurato.

Anche per quanto riguarda le società di consulenza finanziaria, la responsabilità patrimoniale delle stesse è da considerarsi del tutto labile, sia per l’inconsistenza di dette società, – basti pensare che non essendo sottoposte ad alcun requisito prudenziale di stabilità patrimoniale, possono operare come società di consulenza in materia di investimento società aventi come capitale sociale anche un solo euro – sia perché un’assicurazione stipulabile dalla società per il fatto illecito del proprio collaboratore verrebbe imposta fino a un massimale di 5 milioni di euro, somma congrua per eventuali danni derivanti da raccomandazioni negligenti, ma del tutto irrisoria per danni da illeciti fuori sede.

Invero la norma in commento, crea una situazione anticoncorrenziale nei confronti delle SIM, e potrebbe produrre l’effetto certamente temuto e non voluto di indurre le SIM di consulenza a dismettere tale veste (dati i stringenti requisiti patrimoniali di cui devono dotarsi) per assumere quella più comoda di società di consulenza finanziaria, con le conseguenti riduzioni di tutela nei confronti dell’investitore analizzate in precedenza.

Anche da un punto di vista logico-sistematico, ulteriori dubbi sorgono per quel che concerne la collocazione, essendo stato l’articolo 30-bis inserito all’interno del capo IV del TUF relativo all’offerta fuori sede.

A parere di chi scrive, le ragioni che hanno mosso il legislatore a collocare la norma oggetto di esame nel capo IV del TUF possono essere, a rigor di logica, o l’assimilazione tra le categorie professionali del consulente finanziario autonomo e del consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, oppure il collocamento nel capo IV è stata forse la conseguenza, da parte del legislatore, di un’associazione ratione materia, ossia per tipologia di servizio di investimento, equiparando o assimilando la consulenza in materia di investimento con l’offerta fuori sede.

In entrambi i casi non sembrerebbe condivisibile tale assimilazione ed anzi sembrerebbe creare ulteriore confusione, anche normativa, tra consulenza e offerta fuori sede e sulle varie tipologie di “consulenti”.

Nonostante infatti, per entrambe le categorie professionali si utilizzi il termine di “consulente”,permangono in capo alle due figure summenzionate – quella di consulente autonomo e di abilitato all’offerta fuori sede – competenze diverse che, almeno per ciò che riguarda il secondo “tipo” di consulente, non si esauriscono nell’attività di mera consulenza. Infatti, mentre i consulenti abilitati all’offerta fuori sede possono esercitare tutti i servizi e le attività di investimento di cui all’art. 1, comma 5, TUF, e possono procedere alla promozione e al collocamento degli strumenti finanziari, oltre che dei servizi, i consulenti autonomi e le società di consulenza possono esercitare, tra i vari servizi, esclusivamente quello di consulenza e senza detenzione di somme di denaro o di strumenti finanziari di pertinenza del cliente. Tanto si ricava dal tenore letterale dell’art. 18-bis e dal combinato disposto dagli artt. 31, comma 2, e 30, comma 1 del TUF.

Per quanto riguarda un’eventuale collocazione dell’articolo 30-bis all’interno del capo IV ratione materia invece, anche in tal caso non sembrerebbe potersi condividere tale scelta, in quanto vi sono sostanziali differenze tra il servizio di consulenza finanziaria e l’offerta fuori sede, ossia la promozione ed il collocamento di strumenti finanziari, così come definita dall’art. 30 del TUF.

Quindi forse l’unica “labile” ragione, tautologica, che giustifica la scelta di collocare l’art. 30-bis all’interno del IV capo del TUF, è un mero “criterio geografico” della fornitura dei servizi di investimento, ossia che entrambi i contratti sia di consulenza finanziaria, sia di offerta fuori sede, (promozione o collocamento) sono sottoscritti fuori dalla sede dell’intermediario e fuori dal domicilio eletto del consulente finanziario autonomo, se persona fisica.

Alla luce delle considerazioni suesposte, sembrerebbe quindi che l’introduzione della norma oggetto di esame possa generare non pochi dubbi sulle varie categorie di soggetti professionali che, nell’ambito del mercato finanziario, operano fuori sede e per di più crei, nell’ambito di un’attività sempre più fondamentale e vitale, come quella della consulenza, un vulnus alla tutela del pubblico risparmio.

In relazione all’introduzione dell’art. 30 bis nel TUF il bilanciamento di interessi in gioco è stato effettuato, a parere dello scrivente, in maniera anomala. Se da un lato infatti il legislatore, con tale norma, ha voluto riconoscere l’interesse dei consulenti finanziari e delle società di consulenza ad operare fuori sede, dall’altro ha “compresso” o quanto meno ridotto (data la mancanza di efficaci strumenti di prevenzione o di risarcimento nei confronti di comportamenti scorretti e pregiudizievoli da parte di consulenti finanziari autonomi e società di consulenza finanziaria) l’interesse dell’investitore ad una completa e totale tutela nell’attività fuori sede, che si traduce, in una tutela del mercato stesso.