Giovedì 26 ottobre, nel corso della conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio Direttivo della BCE, il Presidente Draghi ha fornito informazioni sulla futura evoluzione del programma di quantitative easing (QE): gli acquisti dei titoli di stato da parte della BCE saranno dimezzati nel periodo da Gennaio a Settembre 2018, passando da 60 a 30 miliardi di euro mensili, senza che sia comunque prevista una fine del programma stesso, anzi, resta possibile un aumento della durata (e della taglia) del programma, qualora non si registrino progressi verso l’obbiettivo d’inflazione fissato dalla banca centrale. Mario Draghi ha fatto inoltre sapere che i tassi d’interesse non saliranno (“we continue to expect them to remain at their present levels”) per lungo periodo che si estenderà ben oltre la fine (la cui data non è stata fissata) del QE.
Nonostante Draghi abbia annunciato una riduzione del QE, i mercati hanno reagito con tranquillità alle parole del Presidente e i rendimenti sui titoli di stato dei paesi dell’area sono, in generale, diminuiti immediatamente dopo la conferenza stampa.
L’annuncio di una riduzione del QE era atteso almeno dal 27 giugno, quando Draghi, in un discorso all’ECB Forum, accennò alla possibilità che un miglioramento delle dinamiche degli investimenti e della produttività potesse consentire una “normalizzazione” della politica monetaria, riconoscendo al contempo la necessità di essere “prudenti” nell’aggiustamento delle misure di stimolo.
È dal 4 luglio 2013, quando, nel corso della conferenza stampa al termine della riunione del Consiglio Direttivo, Draghi affermò che il Consiglio “expects the key ECB interest rates to remain at present or lower levels for an extended period of time”, che la BCE ha abituato i mercati ad annunci espliciti (anche se non dettagliatamente espliciti) sulle proprie intenzioni di politica monetaria, ossia sulle decisioni che avrebbe preso e sulle azioni che avrebbe intrapreso, in un futuro più o meno di breve termine, per raggiungere il proprio obbiettivo di mantenimento della stabilità dei prezzi.
La stessa BCE riconosce e afferma che la propria politica comunicativa negli ultimi quattro anni ha fatto largo uso di queste indicazioni esplicite, dette anche forward guidance. Si tratta perlopiù di indicazioni su intenzioni, decisioni e azioni “condizionali” (nel senso di “legate”) o no a eventi o condizioni (ad esempio macroeconomiche) che si sarebbero potuti (e si potrebbero) verificare nel breve, medio o lungo termine.
Prima del 2013, la BCE non aveva mai annunciato in modo esplicito le proprie intenzioni di politicamonetaria. Le uniche informazioni esplicitamente annunciate in merito ad azioni future di politica monetaria erano rappresentate dalla pubblicazione del calendario di breve termine delle operazioni di rifinanziamento del sistema bancario, e dall’indicazione, mese per mese, dei tassi ai quali sarebbero state condotte. La politica comunicativa della banca prevedeva che non si annunciassero esplicitamente decisioni o azioni future di politica monetaria. L’approccio comunicativo “ufficiale” della BCE era esemplificato da una delle frasi “preferite” di Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, rivolta ai giornalisti nel corso delle conferenze stampa che seguivano le riunioni del Consiglio Direttivo: “we never pre-commit.”
Tuttavia, secondo un’ormai ricca letteratura scientifica, fin dal 1999 (l’anno in cui la banca ha cominciato a condurre la politica monetaria dell’area euro) è possibile rintracciare negli annunci della BCE informazioni sulle intenzioni di politica monetaria della banca centrale.
Fino a novembre del 2011, quando hanno cominciato ad acquisire rilevanza le operazioni non convenzionali di politica monetaria, il tool principale della politica monetaria della BCE era rappresentato dai tassi d’interesse sulle operazioni di rifinanziamento di breve termine rivolte al sistema bancario.
In generale informazioni sulle decisioni future (di breve termine) della BCE in merito ai tassi d’interesse potevano essere dedotte attraverso due metodi, entrambi esplorati dalla letteratura scientifica e, probabilmente, anche da istituzioni finanziarie e osservatori del mercato.
Il primo metodo consisteva nell’impiegare informazioni sulle previsioni di variabili macroeconomiche (inflazione, ecc.), annunciate e pubblicate dalla BCE stessa, come input di modelli che consentissero di stimare una risposta della banca centrale (in termini di variazione, o no, dei tassi d’interesse) alle condizioni macro rappresentate dalle variabili input: si tratta, nella maggior parte di casi, di modelli basati sulla cosiddetta regola di Taylor.
Il secondo metodo consisteva nel concentrarsi sulle dichiarazioni pubbliche del personale dirigente della BCE, tipicamente del Presidente nel corso delle conferenze stampa dopo le riunioni del Consiglio Direttivo. (Alcuni lavori di ricerca considerano dichiarazioni del Presidente stesso in discorsi o interviste o dichiarazioni dei membri del Comitato Esecutivo.) Si potevano, ad esempio, considerare parole, frasi o intere dichiarazioni che non fornivano informazioni esplicite sul sentiero futuro dei tassi d’interesse e interpretare il loro contenuto informativo “implicito”: associare cioè a ognuna di esse un’indicazione di aumento, diminuzione o non cambiamento, nel breve termine, dei tassi d’interesse.
È un metodo di analisi in cui il ruolo dell’interpretazione soggettiva degli studiosi o degli osservatori della BCE è cruciale. I mezzi d’informazione (agenzie, giornali, telegiornali, ecc.) lo proponevano (e lo propongono) in maniera più o meno sofisticata dopo ogni conferenza stampa del Presidente della BCE.
La letteratura scientifica che si dedica a questo tipo d’indagine pare piuttosto concorde nell’interpretazione del contenuto informativo da attribuire ai “pezzi” (parole, frasi, ecc.) di comunicazione della BCE, e ciò può essere sintomo o di influenze reciproche tra studiosi o di una particolare chiarezza nella comunicazione, pur non esplicita, della banca centrale.
All’ex Presidente della BCE Trichet, ad esempio, era stato attribuito una sorta di “codice” che avrebbe usato per segnalare l’approssimarsi nel tempo di un rialzo dei tassi d’interesse, un codice fatto di espressioni come “strong vigilance”, pronunciata, in varie occasioni, un mese prima di un aumento dei tassi, e come “monitor very closely”, usata più volte due mesi prima di un aumento.
L’analisi della comunicazione della BCE è metodo che si può applicare anche indirettamente, ossia studiando l’interpretazione che i mezzi d’informazione danno delle dichiarazioni dei dirigenti della BCE, calcolando una sorta di “media” delle interpretazioni di diversi news outlet.
Gli studi scientifici hanno generalmente prodotto evidenza a favore di un contenuto informativo “implicito” della comunicazione “non esplicita” della BCE, trovando che più la comunicazione indicava un aumento futuro (nel breve termine) dei tassi, più alta era la probabilità di un aumento, e più la comunicazione indicava una diminuzione, più alta era la probabilità di una diminuzione. Inoltre, generalmente, hanno prodotto evidenza a favore del fatto che i mercati reagiscano a tale contenuto informativo “implicito”.
A partire dal 2012, la comunicazione delle BCE assume un ruolo più evidente nella conduzione della politica monetaria, con la finalità di guidare le aspettative dei mercati e degli operatori economici in merito alla politica monetaria stessa. Ne è un esempio il famoso annuncio del “whatever it takes” di Mario Draghi del 26 luglio 2012. Non si tratta tuttavia ancora di forward guidance, che arriverà soltanto l’anno dopo.
Viene da chiedersi se la decisione di adottare la forward guidance sia dovuta alla crescente rilevanza di misure non-standard di politica monetaria (le Long-Term Refinancing Operation “estese”, le Outright Monetary, il QE). Per “modellare” le aspettative dei mercati e degli operatori economici in merito a tali misure, una comunicazione poco esplicita, del tipo di quella solitamente riferita all’evoluzione dei tassi d’interesse, non sarebbe stata forse sufficiente.