Sotto L'egida dell'Onu, si propone come l'unico istituto di certificazione internazionale dei professionisti in campo ESG, qualifica raggiungibile attraverso un percorso interamente online
Una legione di esperti che aiuti il mondo delle imprese e della finanza a muoversi nel rispetto dei criteri ESG, cioè dell’ambiente, del sociale, e di una governance che dia spazio agli organi di controllo interno, alla trasparenza delle decisioni e delle retribuzioni di vertice. Un network di professionisti che condividono gli stessi standard, per certificare con un unico metro l’azione di un fondo d’investimento o di un’azienda in ogni parte del pianeta. La costruzione di una cultura comune della sostenibilità, sia che il portatore sia un contabile, oppure un organizzatore, un commercialista, o di un gestore finanziario.
Quella che poteva sembrare un’utopia è diventata una realtà su iniziativa dell’Onu, che ha promosso la creazione della IASE, l’Associazione Internazionale per l’Economia Sostenibile, sede principale a Londra ma articolazione in 25 paesi membri, che si propone come l’unico istituto di certificazione internazionale dei professionisti in campo ESG, qualifica raggiungibile attraverso un percorso interamente online.
In Italia la IASE – al cui vertice mondiale c’è Javier Manzanares Allen, vice direttore del Green Climate Fund dell’Onu – ha individuato il suo presidente in Mario Ambrosi, che come presidente dell’Efpa (European Financial planning association), si è già mosso sugli standard formativi e sulle certificazioni professionali. Toccherà a lui strutturare e gestire da noi la formazione dei professionisti ESG. Il lancio dei primi corsi operativi è previsto nel quarto trimestre 2020. Come funzioneranno?
«La formazione partirà da settembre», spiega Ambrosi, «ma intanto stiamo predisponendo i corsi Stato per Stato: le tematiche ESG vanno collocate in diverse realtà, in modo da avere una formazione comune in tutti i paesi aderenti. Operazione non facile: quattro paesi africani ci hanno già segnalato che criteri che per noi occidentali sono normali, per la loro cultura sono improponibili; lo stesso per l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi. Occorre quindi operare degli aggiustamenti per arrivare agli standard che ci proponiamo senza tradire i principi di fondo».
Il fatto che questi corsi di formazione avvengano sotto il cappello Onu dovrebbe dargli un marchio di qualità. Chi condurrà l’esame finale?
«I corsi, che dureranno 50 ore, si concluderanno con un esame condotto da un ente terzo che sarà comune per tutti i paesi aderenti all’associazione, che avverrà con le tecnologie usate dalle università per garantire l’identità del candidato, per esempio il riconoscimento facciale».
Chi possono essere i candidati alla qualifica di esperti dei criteri ESG?
«Intanto i nostri stessi soci. Uno di loro, che lavora per una grossa municipalizzata, per la quale trasforma il bilancio con criteri di sostenibilità, mi diceva che quel consiglio d’amministrazione è deciso a spingere i propri dirigenti a sviluppare una cultura improntata ai criteri ESG. Loro saranno certamente tra i nostri primi clienti. Ma anche gli enti di formazione dei dipendenti di banca sono interessati a offrire anche lo standard internazionale che possiamo garantire noi con il nostro corso».
La domanda di questo tipo di professionalità ha qualche relazione con l’annuncio del Green New Deal, il programma di sviluppo della nuova presidenza della Commissione Europea? Allevare questo tipo di competenze serve perché il denaro si muoverà sempre di più su questi binari?
«Di certo il contatto tra la Iase e i vertici della Commissione Europea è già in calendario. Ci muoviamo nella stessa direzione».
Voi parlate al mondo dei professional. Sarebbe bello trasferire i criteri ESG anche al mondo della scuola…
«Lo faremo. Abbiamo previsto nello statuto dell’associazione italiana della Iase che la certificazione possa essere assegnata agli studenti universitari di qualsiasi corso di studi, in quanto rappresentanti della classe dirigente del domani, affinché ne facciano propri i principi etici e li trasferiscano nelle loro professioni».
Lei – che attualmente lavora per Banca Mediolanum – ha un’esperienza pluridecennale nella finanza. Avrà osservato che è aumentata la sensibilità per le tematiche ESG: ma il denaro si muove davvero in questo modo?
«Posso parlare solo per la mia esperienza. E dico che siamo un paese fortunato, perché questo sta succedendo, e ce lo possiamo permettere. In altre parti del mondo – penso all’India, all’Africa – è più difficile. Certo, anche da noi il processo va aiutato sensibilizzando le aziende a intraprendere il cambiamento culturale. Ma per questo ci saremo noi, i professionisti ESG».
P.P.