approfondimenti/diritto
EREDITA' IN COMUNIONE
Come si tassano i conguagli

Nella divisione di un'eredità condivisa, l'imposta di registro è dovuta solo se la divisione in quote produce per uno dei coeredi una quota superiore a quella di diritto. L'interpretazione di Assofiduciaria

Lucia Frascarelli
Frascarelli

 

In due recenti pronunce della Cassazione* in tema di Comunione e divisione ereditaria viene ricordato che la comunione ereditaria è lo stato di contitolarità del patrimonio ereditario che si instaura tra gli eredi che hanno accettato l’eredità. In caso di divisione, ciascun coerede può chiedere la sua parte, con attribuzione in natura di beni mobili e immobili in misura corrispondente alla relativa quota, ma, secondo quanto dispone l’art. 720 cod. civ., se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza, nella porzione di uno dei coeredi aventi diritto alla quota maggiore, o anche nelle porzioni di più coeredi, se questi ne richiedono congiuntamente l’attribuzione. Questa attribuzione di beni in natura secondo porzioni diseguali non può però modificare le quote e privilegiare un coerede rispetto ad un altro. 

Per questa ragione, la norma stessa prevede l’attribuzione di conguagli. Il conguaglio non è un risarcimento, ma serve a ripristinare l’eguaglianza delle quote tra i condividenti, nell’ambito di una unitaria operazione di divisione, ponendo l’obbligo di corrispondere le somme a carico di colui che riceve una porzione di beni di valore maggiore della quota. 

In tema di imposta di registro, la divisione è considerata atto avente natura dichiarativa, sottoposto all’aliquota dell’1% (d.P.R. n. 131 del 1986, Tariffa, parte Prima allegata, art. 3) se le porzioni concretamente assegnate ai condividenti, quote di fatto, corrispondono alle quote di diritto, ovverosia a quelle quote che spettano ai partecipanti, sui beni della massa, in ragione dei diritti che essi vantano. Le quote rappresentano, infatti, la partecipazione ad una ricchezza che entra a fare parte del patrimonio del coerede all’atto della accettazione, sicché la successiva divisione secondo le quote non apporta ulteriore incremento patrimoniale al condividente.

Solo in caso di incrementi si applica l’art. 34, comma 1, d.P.R. n. 131 del 1986, il quale stabilisce che la divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. Pertanto, l’atto di divisione della comunione ereditaria non può essere considerato, ai fini dell’imposta di registro, alla stregua di una vendita, se in ragione dell’effetto perequativo dei conguagli non vi è stata una attribuzione di ricchezza eccedente il valore della quota spettante a ciascun coerede. 

In definitiva, è tassata con l’aliquota dell’1% dell’imposta di registro la divisione nella quale sia pattuito un conguaglio a favore di uno degli assegnatari nel caso in cui costui, sommando il valore del conguaglio al valore del bene assegnatogli, non consegua un valore superiore a quello della sua quota di diritto. Solo se vi sia un conguaglio il cui valore provochi un’attribuzione all’assegnatario di valore superiore a quello della sua quota di diritto, allora il conguaglio è tassato con l’aliquota propria degli atti traslativi. 

*Corte di Cassazione, ordinanza 29 ottobre 2021, n. 30956 – Corte di Cassazione, ordinanza 9 novembre 2021, n. 32613 

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