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approfondimenti/Mercato finanziario
Come proteggere i risparmiatori dai finfluencer

Secondo uno studio di The European House Ambrosetti e Assoreti, negli ultimi 10 anni in Italia i clienti della consulenza finanziaria sono passati da 3,3 milioni a oltre 5 milioni. Ma fuori del sistema dei consulenti finanziari abilitati c'è una quota crescente di finfluencer che non sono tenuti a rispettare le stesse regole a tutela dei risparmiatori. Ecco alcune proposte per intervenire su quest'area grigia dove opera la consulenza abusiva

Ludovica Iannicelli*
Ludovica-Iannicelli

La crescente diffusione di contenuti finanziari divulgati da soggetti qualificabili come finfluencer, che promuovono – in forma più o meno esplicita – prodotti finanziari attraverso piattaforme social o mediante interazioni dirette (individuali o collettive), impone una riflessione approfondita sulle implicazioni regolatorie e sulla necessità di rafforzare i presidi di vigilanza a tutela degli investitori.

Sebbene ad oggi in Italia non esista ancora (a differenza, ad esempio, della Francia, Spagna e Portogallo) una normativa ad hoc per gli “influencer digitali”, nel corso dei lavori sulla Retail Investment Strategy il Parlamento Europeo ha proposto l’introduzione di definizioni e obblighi specifici, applicabili anche ai finfluencer.

In tale contesto, ormai non più trascurabile, è opportuno soffermarsi sulle criticità di tale nuovo sistema di promozione degli investimenti che, anziché agevolare l’accesso del pubblico retail ai mercati finanziari, rischia di generare effetti controproducenti. In particolare, suscita attenzione il crescente affidamento da parte degli investitori su soggetti non qualificati, privi delle competenze richieste, che offrono contenuti informativi – più o meno approfonditi – percepiti dai più come più accessibili, diretti e trasparenti, alimentando una fiducia difficilmente giustificabile, anche sotto il profilo regolatorio.

Dalla Relazione annuale 2024 della Consob, infatti, è emerso che i giovani tra i 18 e i 34 anni (58%) e le donne (42%) usano più spesso i social media nella fase di primo orientamento finanziario e che l’utilizzo dei social supera il 33% tra gli uomini, in famiglie con patrimoni sotto i 50 mila euro e tra chi ha basso livello di educazione finanziaria (55%).

Una prima protezione si trova nelle informazioni veicolate dai cosiddetti affiliates – per tali intendendosi qualsiasi soggetto legato all’intermediario da un accordo di natura commerciale, siano essi influencers o bloggers o una piattaforma di social network – che devono essere innanzitutto “corrette, chiare e non fuorvianti”, come già previsto in via generale dall’art. 24, par. 3, della MiFID II.

Devono, inoltre, risultare conformi agli obblighi previsti dalla MiFID II, che, come noto, sono differenziati a seconda della natura del messaggio, potendo questo consistere in un annuncio pubblicitario, ovvero nella promozione di un determinato prodotto (nel qual caso è integrato, in Italia, il servizio di collocamento e si applicano comunque le regole previste nella prestazione dei servizi di investimento, ai sensi dell’art. 127 del Regolamento Consob n. 20307/2018, in materia di offerta a distanza); ovvero, ancora, in una raccomandazione di investimento che, se relativa ad una o più operazioni su specifici strumenti finanziari e basata sulle caratteristiche del destinatario, integrerebbe allora il servizio di consulenza in materia di investimenti.

Alla luce della natura commerciale delle attività esercitate dagli influencer – riconducibili prevalentemente alla pubblicità, promozione e commercializzazione di prodotti – le prime autorità italiane ad aver avviato un’analisi sistematica del fenomeno sono state l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni; parimenti, la Consob – che vigila anche l’ambiente digitale – ha pubblicato un avviso sui rischi legati a contenuti online incompleti o parziali che possono indurre decisioni di investimento affrettate o orientare verso strumenti finanziari non adeguati, estendendo l’attenzione anche ai consigli diffusi dai cosiddetti crypto-influencer, figure molto attrattive e ritenute autorevoli in un ambito i cui contorni non sempre sono intellegibili per i risparmiatori e che sempre più spesso si configurano come illeciti manipolativi.

Per ora, la Consob ha rilevato che l’appetibilità dei consigli digitali si esaurisce prima di concludere il processo decisionale, infatti, solo il 3% degli investitori traduce in investimento le indicazioni raccolte sui social media.

Tuttavia, in tale ecosistema digitale, è forte un’esigenza di accompagnamento nel percorso dell’investitore dalla prima suggestione fino alla decisione finale, sopperendo agli eventuali vuoti di tutela. Se da un lato gli intermediari collocatori hanno la facoltà di promuovere a distanza prodotti e servizi di investimento – anche tramite soggetti terzi, come gli influencer – dall’altro sono tenuti, ai sensi dell’art. 31, comma 4 del TUF, a prestare il servizio di consulenza esclusivamente attraverso consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, iscritti in un registro pubblico e vigilati, come tali, dall’OCF.

Sul punto, uno Studio di The European House Ambrosetti (TEHA) in collaborazione con Assoreti, pubblicato a maggio 2025, ha evidenziato che in Italia negli ultimi 10 anni i clienti della consulenza finanziaria sono aumentati del +56%, passando dai 3,3 milioni del 2013 ai 5,2 milioni del 2024, mentre il numero di consulenti finanziari – appartenenti al sistema Assoreti – è incrementato del +13% passando dalle 21,3 mila unità del 2013 alle 24,1 mila del 2024. Inoltre, l’Italia risulta il primo Paese tra i peer europei per quota di persone, pari al 57%, che si affidano a consulenti finanziari per le proprie decisioni confermando il dato Consob di un 3% dei risparmiatori che si affidano ai social media.

I risultati rinvenuti da TEHA testimoniano la vitalità e la dinamicità del settore e sono la conseguenza della professionalità delle reti di consulenti finanziari che operano secondo principi di qualità e garanzia, nell’ottica di valorizzare il risparmio delle famiglie e delle imprese italiane, il cui valore oggi supera i 2.000 miliardi di Euro.

I consulenti abilitati che operano per gli intermediari, per mantenere l’iscrizione all’albo OCF sono vincolati all’aggiornamento professionale annuale e circa il 40% ha ottenuto la certificazione EFPA; le reti hanno altresì adottato un modello interdisciplinare, integrando competenze di consulenti con diversi livelli di seniority e aree di specializzazione – dalla fiscalità alla protezione patrimoniale fino alla pianificazione successoria e previdenziale – per un supporto alla pianificazione finanziaria di lungo periodo. Questo approccio si traduce in un servizio che pone al centro il cliente, assicurando: relazione personale continuativa, monitoraggio regolare del portafoglio, trasparenza su performance e costi, accesso a un’ampia gamma di strumenti adeguati e materiali educativi mirati, il tutto potenziato dall’efficienza tecnologica (sul fronte della personalizzazione dei portafogli, del risk profiling dinamico e della consulenza predittiva), anch’essa volta a migliorare l’esperienza finanziaria degli investitori.

Bisogna tener conto che gli intermediari italiani hanno destinato risorse significative per garantire trasparenza e professionalità delle reti e, di conseguenza, rafforzando la fiducia dei risparmiatori.

Pertanto, prendendo coscienza dell’attuale scenario, sarebbe quantomeno opportuno intervenire sul piano regolatorio, neutralizzando le tendenze speculative – generate dalla diffusione di raccomandazioni di investimento mascherate da contenuti informativi – in modo da supportare anche le attuali istanze europee di crescita economica sostenibile.

Escludendo le comunicazioni diffuse dai finfluencer contenenti la mera condivisione di dati finanziari informativi per scopi commerciali, ove l’attività promozionale rechi una valutazione rivolta a gruppi omogenei di risparmiatori su strumenti finanziari specifici, questa andrebbe qualificata a tutti gli effetti come attività di consulenza finanziaria e, come tale, riservata ai soggetti autorizzati. Di conseguenza, sarebbe più opportuno estendere la nozione di consulenza finanziaria per includere anche tali contenuti digitali ed imporre al soggetto che li diffonde gli stessi obblighi di trasparenza, professionalità e abilitazione previsti per i consulenti finanziari iscritti all’OCF.

Nelle more del proposto ampliamento, sarebbe auspicabile quantomeno impedire l’uso improprio del titolo di “consulente finanziario” da parte di chi non ha i necessari requisiti, introducendo nel TUF strumenti di vigilanza mirati e le relative sanzioni (dall’ammenda pecuniaria fino alla sospensione temporanea o definitiva dell’account), come deterrente dalle pratiche abusive, a maggior tutela dei risparmiatori.

Per il risparmiatore retail distinguere un professionista abilitato da un semplice divulgatore è essenziale per orientarsi in un settore complesso. Finché permarrà un’area grigia popolata da soggetti che si annoverano abusivamente tra i consulenti finanziari pur in assenza dei necessari requisiti legali, il rischio di scelte d’investimento inadeguate (e addirittura frodi finanziarie) rimarrà elevato.

Un quadro normativo riformato, unitamente agli strumenti tecnologici funzionali all’attività di vigilanza e a misure di accountability, pur garantendo la libera circolazione dei contenuti finanziari sui social, offrirebbe vantaggi tangibili. Il risparmiatore godrebbe di maggiore trasparenza sui ruoli e sulle competenze, vedendo ridotto il rischio di consulenza abusiva e innalzata la propria consapevolezza e fiducia. Al contempo, l’intero settore ne uscirebbe rafforzato, evitando distorsioni sia sul piano economico-finanziario, sia nei rapporti di fiducia tra investitori e operatori del settore.

*Le opinioni espresse dall’autore nel presente contributo sono da considerarsi esclusivamente a titolo personale e non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza

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