CONSOB / IL 7° RAPPORTO SULLE SCELTE DEI RISPARMIATORI
Come investono gli italiani

Il 7° Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane mostra un mondo del risparmio molto frammentato. Quanto alla conoscenza finanziaria, il dato complessivo segnala un lieve miglioramento delle competenze, ma una grande debolezza su ciò che il Rapporto definisce il financial control: il 75 per cento dichiara di risparmiare, ma solo il 38 ha un budget

Paola Pilati

La pandemia ha cambiato anche i risparmiatori italiani. Si sono dedicati all’investimento online, hanno scoperto le criptovalute, hanno aumentato il tasso di risparmio e gustato l’ebrezza di puntare quasi esclusivamente sulla borsa. Non per questo sono diventati più saggi e consapevoli. Il grado di competenza finanziaria è leggermente migliorato nei più navigati, ma fa venire i brividi se si tasta il polso dei nuovi arrivati sulla giostra degli investimenti finanziari in quest’ultimo biennio.

Anche questa settima edizione del Rapporto Consob sulle scelte d’investimento delle famiglie italiane non delude le attese: affina gli strumenti di ricerca, arricchisce la lettura sia dal punto di vista sociologico che finanziario, offre argomenti di riflessione a intermediari, policy makers, legislatori.

Soprattutto a questi ultimi che, come ha detto Ugo Bassi, che guida la Direzione generale dei Mercati finanziari (FISMA) presso la Commissione europea, hanno preso atto che «i risparmiatori non utilizzano i mercati dei capitali perché li ignorano o non si fidano», e si stanno rimboccando le maniche per renderli più sicuri con un pacchetto di riforme già al vaglio dei legislatori. A cominciare dalla creazione dell’Esap (European single access point), una piattaforma pubblica in cui centralizzare tutte le informazioni sui prodotti di investimento, alla riforma degli Eltif, i fondi europei di investimento a lungo termine sulle Pmi, al nuovo regolamento MiFir sulle comunicazioni al pubblico sui dati delle negoziazioni con l’obiettivo di accrescere la liquidità degli strumenti finanziari per renderli più appetibili agli investitori retail.

Insomma una vera “retail investment strategy” che vedrà la luce nelle prossime settimane, ha promesso Bassi, per «garantire che il quadro giuridico per l’investimento al dettaglio sia adatto al consumatore». Implicitamente ammettendo che oggi lascia molto a desiderare, sia nel reporting degli emittenti che quanto a chiarezza delle informazioni date al consumatore e comparabilità dei dati.

Se la rivoluzione promessa ci sarà e avrà effetto, lo potremo sapere dai prossimi Rapporti. Il quadro che esce da quello appena confezionato ritrae un mondo del risparmio molto frammentato. Quanto alla conoscenza finanziaria, il dato complessivo segnala un lieve miglioramento delle competenze (più 3 per cento dal 2019 a 2021), con il 40 per cento degli intervistati che dà risposte corrette almeno sulle conoscenze di base, ma restano debolissimi su quello che il Rapporto definisce il financial control, la capacità cioè di darsi un obiettivo di risparmio, di fare un budget e di rispettarlo, di programmare i propri bisogni finanziari e comportarsi di conseguenza: il 75 per cento dichiara di risparmiare, ma solo il 38 ha un budget.

Quali risparmi, d’altra parte? Se è vero che il dato della ricchezza netta (la somma di tutte le attività finanziarie e reali al netto delle passività finanziarie) è aumentata del 6 per cento nei primi sei mesi del 2021, questo è in gran parte un effetto della rivalutazione degli asset. Anche il tasso di risparmio è cresciuto. Ma non serve a portare ossigeno all’economia reale. In parte disilluso e sfiduciato, in parte alle prese con i bisogni quotidiani e le difficoltà del tirare a campare, gran parte degli italiani – almeno quelli rappresentati dal panel degli intervistati – non sanno che cosa farne dei soldi messi da parte (sono il 36 per cento), il 19 per cento di chi resta preferisce tenere tutto in liquidità, il 17 preferisce il mattone e solo l’11 per cento pensa all’investimento finanziario.

Chi investe, poi, lo fa nella maggioranza dei casi per comprare certificati di deposito o buoni postali (li possiede il 43 per cento delle famiglie). Come sorprendersi, visto che il 76 e il 77 per cento della porzione di chi investe si dichiara avverso al rischio e alle perdite, e la metà degli intervistati non ha alcuna fiducia né nelle banche né nei consulenti finanziari?

La vera novità che il biennio del Covid ha portato in scena è stato il ricorso agli strumenti digitali. Il volume lordo degli scambi di titoli sul trading online è cresciuto a 119 miliardi tra gennaio e ottobre 2021, dopo i 114 miliardi del 2020 e i 93 del 2019. Gli investitori in equities sono arrivati a 349 mila nel marzo del 2020, per poi riscendere ma sempre sopra i livelli del 2019 (a ottobre 2021 erano 239 mila). Quelli in bond hanno toccato il record di 262 mila a maggio 2020, erano 63 mila a ottobre scorso. Un fenomeno, quello del trading online, che certamente non si spegnerà, visto che il 48 per cento si vanta di avere un buon livello di utilizzo della rete, e il 57 per cento ha voglia di migliorare le proprie competenze in materia. Un mood che dovrebbe mettere in allarme banche e professionisti della consulenza finanziaria.

Troppa sicurezza nei propri mezzi, in una popolazione che dal punto di vista delle competenze finanziarie ha ancora cammino da fare, può presentare un pericolo, quello di sottovalutare i rischi. Per esempio quello cibernetico. Il Cyber Risk Literacy and Education Index, elaborato dall’Oliver Wyman Forum, mette l’Italia al trentunesimo posto nell’ambito delle 50 economie analizzate, al di sotto della media dell’Eurozona e di tutti i maggiori paesi dell’area, ricorda il Rapporto della Consob. Ma il vaso di Pandora del fai da te è ormai aperto.

Un segnale di questa sottovalutazione lo offre un altro dettaglio del survey: la nascente passione dei risparmiatori italiani per le criptovalute, testimoniata dall’impennata delle ricerche fatte su Internet. Passione da cui nasce il dubbio a cui ha dato voce il presidente della Consob Paolo Savona: «Metà dei risparmiatori non ha alcuna fiducia in chi gestisce il loro portafoglio, una percentuale simile pretende dall’investimento un rimborso sicuro, ma poi investono in criptoasset…». Come dire: signori, se va avanti così, tenetevi forte.

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