Il Principe
Come governare una democrazia radicalizzata
Leonardo Morlino
MORLINO

Con caratteristiche e in gradi diversi molte democrazie contemporanee sono radicalizzate: dal Brasile all’Ungheria, dalla Polonia alla Germania, per citare i possibili estremi tra massima e minima radicalizzazione, passando per gli Usa, l’Austria, la Spagna, la Grecia e, per quel che ci interessa, l’Italia. Ma è possibile governarle? E se sì, come, focalizzandosi subito sul caso italiano?

Di fronte a un conflitto accentuato verrebbe da dire: andiamo a nuove elezioni. Però, un esame puntuale dei casi di elezioni ravvicinate con sistemi elettorali proporzionali o quasi (ad esempio, la Spagna e la Grecia in anni recenti) hanno dimostrato che vi è solo un parziale, spesso minimo, spostamento di forze con un aumento notevole di conflitto e di stallo. Dunque, convocando nuove elezioni, il problema del governo viene solo rinviato. Certo, si potrebbe cambiare legge elettorale, ma anche se si trovasse la maggioranza parlamentare per una nuova legge (un’ipotesi altamente improbabile), il problema della radicalizzazione rimarrebbe e magari potrebbe degenerare in modi diversi, dalla violenza alla secessione, laddove ce ne siano le basi. E allora?

Se cerchiamo di capire da dove origina la radicalizzazione si deve partire dallo scontento dovuto alla mancata soluzione di importanti problemi sociali, quali disoccupazione giovanile, le disuguaglianze in forte aumento, la povertà crescente. Lasciando per ora da parte le spiegazioni, specie in fasi elettorali questo comporta una risposta delle élite partitiche che danno sostanza ed apparenza alla radicalizzazione, affermando l’esistenza di grandi distanze tra gli stessi partiti sulle soluzioni da dare a quei problemi che solo un certo partito o leader può risolvere e per questo va votato. Alle dichiarazioni forti e radicali si accompagna la pubblicazione dei programmi, che però pochissimi leggono.

Quando all’indomani delle elezioni si constata che nessuno ha vinto e qualcuno va a leggere con attenzione i programmi si può avere qualche sorpresa. Ma proprio questa pone le basi per una soluzione mite, civile di governo. Si può vedere, infatti, che al di là delle dichiarazioni su molti aspetti importanti, soprattutto in un paese con alto debito che è parte dell’Unione europea, la variabilità concreta delle politiche è relativa ovvero su tutte le decisioni vi sono possibilità limitate di scegliere e in molti ambiti si possono trovare compromessi concreti su cui accordarsi. Ad esempio, si dice che vi è una distanza siderale tra il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle (“misura attiva rivolta al cittadino al fine di reinserirlo nella vita sociale e lavorativa del paese”, capitolo su Lavoro, pag. 7) e la proposta del reddito di inclusione del PD (“ci impegniamo a raddoppiare i fondi a disposizione … per raggiungere tutte le persone che vivono in condizione di povertà assoluta nel corso della prossima legislatura.” capitolo su Prendersi cura delle persone, pag. 30). E a parole i rispettivi leader hanno aggiunto di avere concezioni profondamente diverse. Magari dal punto di vista di uno studioso effettivamente il reddito di inclusione corrisponde a una certa concezione per aiutare disoccupazione e povertà, mentre il reddito di cittadinanza presenta una concezione diversa. Però, poi, concretamente sul punto entrambi i programmi hanno come obiettivo centrale il ricreare la coesione sociale e fanno riferimento a politiche attive di sostegno al reddito e riforma dei centri di impiego. In breve, dei punti di incontro in una politica che sembra ad entrambi i partiti necessaria ci sono, se lo si vuole. Molti e importanti sono gli ambiti in cui si riproduce una situazione del genere. Ovviamente ci sono anche altre politiche in cui la convergenza sembra impossibile da raggiungere e che è saggio lasciare da parte.

Rimane il fatto che gli stessi leader hanno in gran parte creato questa radicalizzazione, perché a questo spingono i meccanismi competitivi in una democrazia in cui vi sono problemi che non si riescono a risolvere e conseguentemente cittadini scontenti. Per capire meglio questo punto basta pensare alle differenze – quelle sì inconciliabili – tra le concezioni fasciste ovvero corporativiste autoritarie e quelle comuniste, leniniste o staliniste, degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. E poi basta pensare alle differenze ancora profonde ma ormai in un contesto, diventato liberaldemocratico, tra i socialisti (Nenni, Lombardi, Giolitti e i relativi elettori) e i democristiani (Fanfani, Moro, Rumor con i propri votanti). O anche alla proposta del compromesso storico di Berlinguer nel 1973 che trovò riscontro nella leadership cattolica in quegli stessi anni, ad esempio, nel governo Andreotti del marzo 1978, con Moro diventato il bersaglio e poi la vittima delle Brigate Rosse. Eppure quei leader diedero vita a governi di coalizione tra i primi anni Sessanta e i primi anni Novanta del secolo scorso con risultati, secondo molti, apprezzabili. Viene quindi davvero da sorridere quando, riferendosi all’oggi e a certe politiche, si parla di “distanze siderali”.

In ogni caso, nell’attuale contesto politico tocca ai leader sentire la responsabilità di uscire dall’impasse, senza fughe in avanti o peggiorando irragionevolmente la situazione. È noto che tra quei leader non vi è fiducia. Dunque, possono comportarsi come fanno le parti, sospettose una dell’altra, che intendono concludere un vero e proprio contratto. Cioè discuteranno a fondi i temi su cui potrebbero esserci convergenze e faranno concessioni reciproche, trovando dei punti di convergenza. Magari mettendo tutto per iscritto e con chiarezza, appunto come si fa nei contratti. Anche qui senza illusioni, ovvero con la piena consapevolezza che quando si avvicineranno nuove elezioni e le logiche della competizione elettorale torneranno a prevalere si tornerà a differenziarsi, ovviamente soprattutto a parole.

In Germania, dove la minore radicalizzazione complessiva e il contesto economico notevolmente migliore quel contratto era più facile, ce l’hanno fatta. In Italia, senza dubbio ci vorrà un plus di capacità di leadership per riuscirci. Ma la serietà della situazione lo richiede. E il gioco è tutto nelle mani di quei leader partitici, salvarsi e salvarci o perdersi nei personalismi miopi e perderci. Nel frattempo gli studiosi faranno bene a tornare ai loro studi e ricerche.

Condividi questo articolo