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Come funziona il “contratto Minotauro”

Introdotto per la prima volta nel Gruppo Intesa SanPaolo, questo tipo di contratto si caratterizza per la coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale, in filiale, e un rapporto di lavoro autonomo come consulente finanziario, svolto fuori sede. Un modello di lavoro ibrido che prevede prestazioni, prerogative e tutele per ciascuna delle attività. E che promette di fare scuola

Francesco Giammaria
Giammaria-Francesco

Il contratto c.d. Minotauro è un modello contrattuale che trova la sua fonte nel “Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa San Paolo”, firmato il 1° febbraio 2017 da Intesa Sanpaolo S.p.A. e dalle relative rappresentanze sindacali (FABI, FIRST CISL, FISAC CGIL, SINFUB, UGL CREDITO, UILCA e UNISIN).

Il protocollo si distingue per la sua complessità e variegata natura ma, per quanto qui più rileva, si evidenzia uno specifico aspetto: la sezione relativa alle “politiche attive” dell’accordo, introdotta e regolamentata con un approccio allora innovativo, infatti, ha previsto una forma insolita di collaborazione professionale che si caratterizza per la coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale, per il ruolo di gestore in filiale, e un rapporto di lavoro autonomo come consulente finanziario, svolto fuori sede mediante un contratto di mandato o agenzia (cd. “Lavoro ibrido” o “contratto minotauro”).

Questa innovazione, intrigante per la sua complessità giuridica, si propone come uno strumento utile ad affinare l’organizzazione del lavoro nel settore bancario e, oltre a trovare immediata esecuzione nell’ambito del Gruppo Intesa Sanpaolo, ha destato curiosità ed interesse anche in altri importanti player.

Lavoro Ibrido e Lavoro Agile

Per comprendere meglio il modello contrattuale, forse, è possibile accostare lo stesso ad una sorta di evoluzione del Lavoro Agile/smart working, vista la valorizzazione che viene data all’attività fuori sede.

Tuttavia, va sottolineato fin da subito che nel lavoro ibrido la parte di attività svolta fuori sede non è un’estensione del contratto di lavoro subordinato tra le parti, ma implica una disciplina specifica a sé stante, affiancando al rapporto originario (di lavoro subordinato) un ulteriore rapporto contrattuale.

Il lavoro ibrido “fuori sede” del bancario, infatti, si configura come un ulteriore contratto di lavoro autonomo (ai sensi dell’articolo 2222 del codice civile), il quale genera effetti completamente distinti e separati rispetto al contratto di lavoro dipendente in vigore per le attività svolte in filiale.

Questa disparità di effetti si manifesta in vari ambiti quali, ad esempio la diversa protezione legale applicabile al lavoratore dipendente e al consulente finanziario autonomo, oppure i relativi regimi previdenziali. Inoltre, si riflette nell’organizzazione dei tempi di lavoro, vincolati nel primo caso e autonomi nel secondo, nei criteri di remunerazione basati sul tempo di lavoro o sui risultati produttivi.

Di qui la definizione di tale modello contrattuale come “contratto minotauro” in cui si realizza una ibridazione tra un modello contrattuale subordinato e uno autonomo.

I potenziali interessi in gioco

L’introduzione del contratto minotauro risponde a complesse aspettative delle parti sociali coinvolte.

In particolare, già nel protocollo introduttivo era evidenziato come il contratto minotauro potesse rappresentare uno strumento di solidarietà generazionale inedito, particolarmente significativo nell’attuale contesto economico del settore bancario, in cui la sostituzione di lavoratori pensionati non avviene per il tramite del tradizionale impiego a tempo pieno, stante il fatto evidente che l’ambito bancario sconta a tutt’oggi un’eccedenza di personale.

In tal modo, la collaborazione ibrida sembra offrire, almeno secondo le aspettative del datore di lavoro, un livello maggiore di flessibilità e produttività, sostituendo una parte del lavoro subordinato (e dei connessi costi fissi) con un rapporto contrattuale autonomo, basato esclusivamente su commissioni, garantendo così una maggiore flessibilità dei costi del lavoro e un incentivo significativo per promuovere i prodotti e i servizi della banca sul mercato.

Allo stesso tempo, peraltro, il lavoro ibrido potrebbe rappresentare un’opportunità anche per i dipendenti già in servizio che, rinunciando a un modello di impiego (o, quanto meno, ad una sua parte) più convenzionale, potrebbero perseguire i propri interessi di flessibilità, non limitati necessariamente all’aspetto economico ma, ad esempio, volti anche a misurare la propria capacità individuale di generare un reddito autonomo che compensi e superi la perdita di reddito dovuta alla riduzione dell’orario di lavoro in filiale da tempo pieno a tempo parziale.

La collaborazione ibrida sembra, quindi, essere un’interpretazione polivalente del contratto di lavoro, che da un lato convince il datore di lavoro ad ampliare il proprio organico e dall’altro soddisfa le esigenze personali di bilanciamento tra vita e lavoro e/o di reddito dei dipendenti (tanto neoassunti quanto in servizio), anche arricchendo così il ventaglio degli strumenti disponibili per l’invecchiamento attivo.

La coesistenza del rapporto autonomo e subordinato

La questione della coesistenza di due rapporti di lavoro tra le stesse parti è un elemento chiave del contratto minotauro.

La convivenza in capo ad un unico soggetto di un rapporto di lavoro autonomo e di un rapporto di lavoro subordinato, in effetti, è scenario, che, sebbene non regolamentato dalla legge, è ammesso dalla giurisprudenza e non è affatto insolito: ad esempio, non è raro che i membri dei consigli di amministrazione siano contemporaneamente legati al datore di lavoro da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa per la loro attività di consigliere e da un contratto di lavoro subordinato con ruolo dirigenziale.

In questi casi, tanto la dottrina, quanto la giurisprudenza (che si sono pronunciate anche su fattispecie distinte rispetto ai rapporti di amministrazione), ammettono la coesistenza pacifica e legittima dei due diversi rapporti di collaborazione tra le stesse parti, atteso che non vi è alcun divieto riguardo alla coesistenza di un rapporto di lavoro subordinato e di un rapporto di collaborazione autonoma tra le stesse parti.

La condizione di legittimità di tale coesistenza è, tuttavia, quella per cui esista una sostanziale differenza nell’oggetto dei contratti, che permetta di distinguere le obbligazioni assunte dalle parti in base a ciascun accordo. È importante, inoltre, che ogni tipo di prestazione sia regolata da norme e leggi specifiche, garantendo così una protezione adeguata delle persone coinvolte sia nel rapporto di lavoro che nel sistema previdenziale.

Al fine di evitare che la disciplina del lavoro subordinato prevalga e travolga anche la regolamentazione del rapporto di lavoro autonomo, inoltre, la giurisprudenza ha enucleato ulteriori parametri per verificare l’autonomia e l’indipendenza delle due forme di collaborazione che vengono eseguite parallelamente.

Ad esempio, viene richiesto che la distinzione tra i due rapporti sia chiara non solo per quanto riguarda l’oggetto, ma anche per quanto riguarda i tempi di esecuzione delle prestazioni. In alcuni casi, si è anche affermato che il rapporto di lavoro subordinato non debba essere considerato un “presupposto necessario”, dal punto di vista tecnico-funzionale, per lo svolgimento di ulteriori prestazioni in rapporti contrattuali separati.

Nel Protocollo adottato da Intesa, tali principi giurisprudenziali appaiono richiamati e tenuti in considerazione per il tramite dell’individuazione di specifiche modalità con cui prestazioni di lavoro autonomo e subordinato possono coesistere attraverso una codifica negoziale dei loro rispettivi ambiti.

In tale senso, è particolarmente significativa la disposizione che prevede l’affiancamento di un “contestuale e distinto contratto di lavoro autonomo” al rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale, stabilendo che entrambi i rapporti rimangano indipendenti l’uno dall’altro e siano soggetti alle rispettive normative legali e contrattuali definite nell’intesa. Questo implica che l’autonomia collettiva, dimostrando una notevole capacità innovativa, sta guidando l’evoluzione del diritto nel contesto bancario, applicando i criteri giurisprudenziali per distinguere un rapporto di lavoro autonomo da un rapporto subordinato.

Prima di entrare nei dettagli delle modalità concrete di coesistenza di questi due tipi di contratti, è importante sottolineare un aspetto metodologico significativo.

L’attività del consulente finanziario come oggetto della prestazione autonoma

Il focus della regolamentazione del lavoro ibrido si concentra sul rapporto di consulente finanziario, il cui scopo è quello di fornire un servizio orientato alle diverse esigenze della clientela e di sfruttare appieno i canali disponibili per raggiungere gli obiettivi aziendali, inclusi quelli legati all’offerta fuori sede. Tuttavia, l’accordo sindacale si limita a stabilire che il consulente finanziario può operare attraverso un contratto di mandato o di agenzia, purché sia abilitato all’offerta fuori sede di prodotti finanziari e iscritto nell’apposito albo.

È importante notare che l’iscrizione all’albo impedisce di qualificare la prestazione del consulente finanziario come una collaborazione autonoma etero-organizzata nei tempi e nei luoghi dal committente, come previsto dall’articolo 2, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015.

Tuttavia, nonostante questa limitazione, l’attività del consulente finanziario potrebbe ancora essere giudizialmente qualificata come subordinata se svolta con un grado di subordinazione significativo.

Per riqualificare il rapporto di lavoro autonomo del consulente finanziario come subordinato, però, l’istante dovrà dedurre e dimostrare ed il Giudice dovrà accertare l’esistenza della subordinazione e, quindi, prima di tutto, se il potere di istruzione del committente sia stato esercitato in modo tale da imporre al consulente un’attività o anche modalità diverse da quelle concordate nel contratto e tali da delineare l’esercizio di un vero e proprio potere direttivo idoneo a privare il consulente della sua autonomia.

Risulta, dunque, a tal proposito essenziale distinguere i criteri di ripartizione dei due rapporti di collaborazione come consulente finanziario e lavoratore dipendente, sia in termini di rispettive prestazioni, sia dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro che degli strumenti impiegati.

Così dovrà distinguersi il referente dei due ruoli: gerarchico per il dipendente, che risponde al direttore della filiale, cui spetta l’esercizio del potere direttivo all’interno degli uffici durante l’orario di lavoro concordato; di mero coordinamento (ad opera di una differente struttura aziendale, ad esempio il direttore d’area) per il consulente finanziario chiamato a svolgere la sua prestazione autonoma fuori sede e con riferimento al portafoglio clienti specificamente assegnato.

Parimenti distinti devono essere gli strumenti di lavoro relativi alle due attività, con profilature informatiche differenziate per dipendente e consulente finanziario e con esplicita preclusione di accesso a queste ultime durante la prestazione di lavoro dipendente.

Si tratta di cautele e criteri che, così delineati ed applicati, risultano coerenti con le prerogative tipiche del lavoro subordinato e del lavoro autonomo, garantendo che le due prestazioni siano ben distinte anche nella concreta esecuzione esecuzione. Il fatto che ciascun rapporto possa persistere autonomamente, anche in assenza dell’altro, sottolinea ulteriormente la loro natura distintiva.

I profili sindacali

Il “Protocollo per lo sviluppo sostenibile del Gruppo Intesa San Paolo”, firmato il 1° febbraio 2017 anche esercita le prerogative delegate dall’autonomia collettiva (ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011, convertito in legge n. 148 del 2011) ed opera entro il quadro normativo definito dalla legge e dai CCNL, di fatto regola modalità di organizzazione anche del lavoro autonomo (id est dell’ingaggio e disciplina dei consulenti finanziari) per il caso specifico della coesistenza di tale rapporto con un altro rapporto di lavoro subordinato. Di conseguenza, l’intervento dell’autonomia collettiva non mira a escludere l’applicazione delle tutele previste per il lavoro subordinato ad una certa prestazione ma, al contrario, stabilisce i requisiti necessari per garantire la distinzione tra il lavoro autonomo derivante dal contratto del consulente finanziario e il lavoro subordinato.

Ciò consente di apprezzare l’importanza e l’innovatività del Protocollo nel definire un quadro chiaro e operativo volto ad introdurre e gestire questa complessa struttura contrattuale e che sarà un importante riferimento per i giudici nell’analizzare situazioni specifiche. In buona sostanza, il Protocollo fornisce i criteri essenziali per definire la separazione e l’autonomia dei due tipi di collaborazione eseguite contemporaneamente.

Il fatto che l’accordo sindacale abbia assunto il compito di definire le modalità di coesistenza dei due rapporti distinti, al fine di precisare le condizioni della loro reciproca autonomia, legittima, soprattutto in termini sostanziali, la disposizione che le organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo diventino il punto di riferimento per la rappresentanza anche delle questioni connesse al lavoro autonomo. Questo avvia un percorso che sembra promettente sia per le organizzazioni sindacali, che possono ora indirizzare più concretamente la loro attività verso il crescente settore del lavoro autonomo (e dei nuovi tipi di lavoro in generale, finora scarsamente rappresentati anche a causa della mancanza di percezione dell’utilità dell’affiliazione sindacale), sia per i datori di lavoro (e le relative associazioni). Questi ultimi, pur dovendo accettare l’idea di coinvolgere le rappresentanze dei lavoratori anche nel contesto del lavoro autonomo, superando eventuali resistenze tradizionali, hanno comunque il vantaggio di poter agire in modo più efficace avendo a che fare con interlocutori sindacali chiaramente identificabili.

Le questioni previdenziali

La coesistenza di due distinti rapporti – l’uno di collaborazione autonoma, l’altro di lavoro subordinato – in capo al medesimo soggetto pone anche temi inerenti il trattamento previdenziale e ciò in termini analoghi a quelli che si pongono per quanti si trovano nella condizione, per certi versi analoga, di essere contemporaneamente dirigenti e amministratori della medesima società o, in ulteriore analogia, nei casi di soci-lavoratori di una società.

Ferma, infatti, la pacifica cumulabilità dei due contratti purché riferibili ad attività distinte e rispondenti (l’uno nella forma della subordinazione, l’altro in quella del “coordinamento”) a referenti aziendali diversi, nella fattispecie in esame coesistono anche due rapporti previdenziali connessi, rispettivamente, al ruolo di dipendente bancario e di consulente finanziario.

Così, in riferimento alla prima attività il dipendente sarà assoggettato alle ordinarie assicurazioni sociali connesse allo svolgimento di attività di lavoro subordinato, sia per quanto riguarda l’assicurazione IVS, che per le tutele previdenziali cd. minori (NASpI, maternità, malattia, fondi di solidarietà o altri ammortizzatori sociali, ecc.). I relativi obblighi assicurativi, peraltro, saranno “riproporzionati” in relazione allo svolgimento dell’attività subordinata nella forma del part-time. In merito, vale la pena ricordare come – a differenza di quanto avveniva nel passato, quando i periodi di inattività lavorativa del part-time verticale erano neutralizzati rispetto la maturazione dell’anzianità contributiva computabile a fini pensionistici – a seguito di quanto statuito dalla CGUE nel 2010 e delle successive pronunce della nostra Corte di Cassazione, i periodi non lavorati nell’ambito del part-time verticale o ciclico, nel rispetto del minimale contributivo, sono utili ai fini della maturazione dell’anzianità contributiva utile ai fini del diritto a pensione (art. 1, co. 350, della legge n. 178/2020).

Per quanto riguarda, invece, l’attività di lavoro autonomo prestata come consulente finanziario, il rapporto previdenziale si costituirà – di norma – per il tramite dell’iscrizione alla Gestione Commercianti e all’ENASARCO. Come noto, infatti, l’art. 1, comma 196, della L. 662/1996, ha stabilito che i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede che operano in veste di agenti o di mandatari siano iscritti all’Inps presso, appunto, la gestione degli esercenti attività commerciali, in una apposita evidenza contabile della stessa.

Si pone, peraltro, una questione che qui può essere solo accennata. L’obbligo assicurativo presso la gestione commercianti, infatti, riguarda i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede iscritti all’albo di categoria che svolgono la loro attività come agenti o mandatari, con carattere di abitualità e prevalenza.

Ciò significa che l’attività di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, pur compatibile con quella svolta (contemporaneamente) in qualità di lavoratore dipendente (o al limite anche autonomo) determina l’obbligo assicurativo alla gestione anzidetta solo se l’attività di consulente viene prestata con carattere di prevalenza rispetto all’altra o alle altre.

Occorre quindi aver riguardo a tale aspetto, consapevoli che la nozione di “prevalenza” è incerta e va ricercata nella combinazione tra l’intensità della prestazione lavorativa e il volume di reddito ricavato dalla stessa, valutando, nel caso del contratto Minotauro, il rapporto tra l’attività svolta come dipendente a tempo parziale e quella di consulente finanziario.

Sotto altro profilo, poi, in quanto soggetto che agisce in virtù di contratto di agenzia o mandato, il consulente finanziario sarà assoggettato agli obblighi contributivi integrativi all’ENASARCO, scontando così una doppia contribuzione obbligatoria, cui farà seguito, peraltro, il diritto alla pensione integrativa riconosciuta da quest’ente previdenziale.