PROPOSTE/ADDIO AL PATTO DI STABILITA'?
Come cambiare la regola del debito

I vincoli del patto di stabilità sono stati sospesi, ma che cosa accadrà una volta superata la crisi? Ecco come potrebbero essere rivisti: non più dei criteri numerici rigidi per tutti, ma l'impegno a rispettare un proprio obiettivo sul debito preso da ciascun paese in nome della sostenibilità e della responsabilità

Paola Pilati

Quali saranno le regole che governeranno i comportamenti di bilancio dei paesi europei? Sebbene sia ormai diffusa la consapevolezza che, quando sarà decretata la fine della sospensione del patto di stabilità decisa a marzo 2020, non si potranno semplicemente rimettere in campo i vecchi parametri, non c’è ancora un cantiere ufficiale che li metta in discussione e li consideri definitivamente superati. 

Una prima proposta sul tavolo però c’è. Viene da un organismo indipendente, il “Conseil d’analyse économique”, composto da economisti di sensibilità diverse con il compito di analizzare le scelte economiche del governo francese. In un paper a firma di Jean Pisani-Ferry, Philippe Martin e Xavier Ragot si dice chiaramente che se delle regole sono senz’altro necessarie, quelle nate con il Trattato di Maastricht e poi più volte riformate (con l’introduzione delle variabili strutturali, il Six Pack, il Fiscal compact, il Two-Pack, le clausole di flessibilità), sono oggi del tutto inadeguate. Soprattutto per quanto riguarda la clausola sul debito pubblico.

Il principio su cui si basa la proposta è che gli Stati siano “più liberi e più responsabili” riguardo alle loro scelte di bilancio. In che senso? Che non siano più vincolati a parametri fissi e uguali per tutti per valutare la sostenibilità del debito, ma che ciascuno possa definire il proprio target di indebitamento, sottoponendosi però alla valutazione di un organismo indipendente quando alla sua sostenibilità.

In base a quel target, una volta validato, ciascun governo potrà programmare la traiettoria delle finanze pubbliche, e quindi della spesa, nell’arco di cinque anni. Se poi la politica di un paese membro si dovesse rivelare troppo restrittiva o troppo espansionista, minando l’equilibrio macroeconomico dell’area, la Commissione potrebbe intervenire, proponendo una rettifica di quella traiettoria.

Dare libertà e responsabilità agli Stati definisce quanto sia distante la visione corrente di molti economisti (in questo caso francesi e di prestigio internazionale, come lo è anche Oliver Blanchard, ex capo economista del Fondo monetario che si è pronunciato nella stessa direzione, ma anche di molti altri) rispetto alla gabbia di precetti inviolabili del passato. Ma è anche la realtà che ci circonda che è cambiata.

Non che il rischio debito sia scomparso, anzi l’indebitamento della zona euro è aumentato. Quello medio dell’area era il 62 per ceno del Pil nel 2007, è arrivato al 100 per cento alla fine del 2020, con punte del 210 in Grecia, del 160 in Italia e del 120 in Francia, mentre in Germania è al 70 per cento e in Svezia al 50. Aggiustamenti troppo rigidi e rapidi richiesti ai meno virtuosi potrebbero essere però il classico rimedio peggiore del male, osservano gli autori del paper.

Come mai, se finora i paesi in deficit venivano visti come i pericolosi diffusori di un contagio per tutta la zona euro, e la minaccia di insolvenza sul debito come dinamite per l’indipendenza della politica monetaria?

A cambiare, oltre appunto all’aumento medio del debito pubblico, è stato anche il quadro dei tassi di interesse, addirittura negativi, che da un lato ha ridotto l’efficacia della politica monetaria, dall’altro ha reso più moderata la rischiosità di quel debito perché ha abbassato il tasso di interesse delle emissioni: quello nominale nella zona euro è passato dal 4 per cento del Pil del 1999 all’1,6 del 2019. Non solo. Il fatto che buona parte delle emissioni siano detenute dalla banche centrali che poi rigirano allo Stato i rendimenti relativi sotto forma di interessi, fa sì che il costo di quel debito sia in questo momento nullo o addirittura negativo.

L’altro evento che ha cambiato lo scenario è stato l’esordio, con il piano di rilancio europeo da 750 miliardi di euro Next generation Eu, di una gestione comune del debito. Se i trasferimenti agli Stati verranno finanziati con risorse proprie dell’Unione o saranno messe a carico egli Stati, non è ancora del tutto chiaro. Ma di certo anche questo fattore spinge nella direzione di rivedere le regole fissate finora.

Per sostituirle, la proposta degli autori del paper parte dal concetto di “sostenibilità”. Non rapporti numerici, ma un target specifico che ciascuno Stato deve fissare e impegnarsi a mantenere affinché le finanze pubbliche non rischino di deragliare verso l’insolvibilità. Lo strumento per controllare questa sostenibilità è fondamentalmente la capacità di avere un surplus primario. Insomma il livello di indebitamento sostenibile non sarà identificato una volta per tutte, come nel caso attuale del limite del 60 per cento del Pil, ma potrà variare a seconda del ritmo di crescita e dei tassi di interesse.

A valutare il mantenimento della traiettoria del debito dentro il parametro della “sostenibilità” saranno della autorità indipendenti, sia a livello nazionale che a livello europeo (lo European Fiscal Board). Ma questa valutazione dovrà avere come unica finalità che la gestione finanziaria dei paesi membri non mettano in pericolo il quadro europeo nel suo insieme: a ciascun paese verrà quindi lasciata mano libera nel guidare la sua politica di bilancio, anche eventualmente nella decisione di gestire la domanda con una politica espansionista.

Una modifica in questo senso del Patto di stabilità richiede, affermano gli autori del paper, anche una ridefinizione delle responsabilità delle diverse istituzioni di controllo: la Commissione e lo European Fiscal Board, ma anche le autorità nazionali di vigilanza sulla spesa (da noi l’Ufficio parlamentare di bilancio). Anzi, saranno prima di tutto queste ultime a dover garantire il primo e più approfondito esame di sostenibilità delle finanze pubbliche del proprio paese, secondo una metodologia che verrà dettata dallo European Fiscal Board, riservando alla Commissione il ruolo di sorveglianza generale, e conservando al Consiglio dell’Ecofin la decisione ultima di bocciare quel bilancio nazionale che dovesse mettere in pericolo la sostenibilità delle finanze pubbliche di uno Stato.

Tutte queste modifiche richiederanno una revisione dei trattati? Gli autori della proposta dicono di no, i sacri testi restano inviolati. La proposta del criterio della sostenibilità non li mette in discussione. Dovranno invece essere rivisti quelli della legislazione secondaria, come i Patto di Stabilità, il Six-Pack e il Two-Pack. E dovranno essere rivisti prima che la clausola derogatoria sui parametri, decisa con la crisi fino al 2023, venga meno.

Memori dell’errore fatto in Europa nel 2011 con la stretta decisa senza che l’economia si fosse ripresa dalla crisi, che innescò la pericolosa tensione sui titoli pubblici italiani e spagnoli, l’ultima raccomandazione del paper riguarda proprio il momento del ritorno alla normalità. Questa volta non bisogna sbagliare per troppo fretta o per errate valutazioni della salute dell’economia. Per questo, la clausola dovrà essere disattivata solo con il ritorno dell’economia a un livello normale. Come stimarlo? Il consiglio degli autori è che non sia con l’output gap, come in passato, ma con il Pil per abitante. Cioè nel modo più semplice per sapere di essere tornati ai valori ante-crisi.