STRATEGIE INTERNAZIONALI
Cina finanziatore di ultima istanza

Uno studio della World Bank svela, descrivendola per la prima volta, l'attività finanziaria internazionale della Cina. Cresciuta negli ultimi 15 anni attraverso il salvataggio di paesi sull’orlo del crack con i prestiti delle sue banche di Stato. Tutto sotto traccia e fuori dal monitoraggio degli organismi internazionali

Paola Pilati

La China underground bank, cioè il sistema di banche fantasma cinesi che riciclano somme miliardarie senza lasciare traccia. La fame di tecnologie che spinge la Cina a cercare di accaparrarsele ovunque (anche da noi) da quando gli Usa hanno alzato la cortina in difesa delle proprie. L’espansione in Africa, dove le imprese cinesi hanno conquistato posizioni di rilievo economico e la fiducia di molti governi in nome del riscatto post-coloniale.

Il gioco a tutto campo – nel commercio e in politica  – della Cina, incluso quello ambiguo sulla guerra in Ucraina, è ormai uno dei dossier più caldi delle cancellerie e della diplomazia. E anche dei più difficili da risolvere, considerando che spesso il gioco è tutt’altro che leale e alla luce del sole, anzi è proprio opaco. E lo sta diventando anche sul piano finanziario.

Un paper della World Bank appena pubblicato lo svela, descrivendolo per la prima volta. Negli ultimi 15 anni, scrivono gli autori (Sebastian Horn Bradley C. Parks Carmen M. Reinhart Christoph Trebesch), la Cina ha creato un sistema internazionale di salvataggio finanziario tramite i prestiti delle sue banche di Stato a paesi sull’orlo del crack.

Un primo studio sul compasso sempre più ampio di questa attività era stato pubblicato nel 2020 dal Kiel Institute for world economy. Le statistiche della bilancia dei pagamenti cinese aveva registrato un boom dei prestiti e dei crediti commerciali verso i paesi in via di sviluppo: erano vicini allo zero nel 1998, arrivavano a 1,6 trilioni di dollari – qualcosa come il 2 per cento del Pil mondiale – nel 2018. In pratica, un quarto dei debiti bancari dei paesi emergenti era con la Cina. L’indagine concludeva che il 50 per cento dei prestiti cinesi ai  paesi emergenti era ignoto al Fondo monetario e alla World Bank e distorceva di fatto le analisi di sostenibilità del debito.

La grande operazione della Belt and road initiative, lanciata dalla Cina qualche anno fa, ha ulteriormente ampliato questa attività finanziaria sottotraccia, spiega oggi il paper della World Bank. Molti dei paesi coinvolti, infatti, si sono poi ritrovati in crisi finanziaria e la Cina stessa ha dovuto intervenire in loro aiuto, tanto che nel 2022 il portafoglio di prestiti cinesi all’estero era per il 60 per cento a paesi suoi debitori in difficoltà.

Ma la Cina ha fatto anche di più: si è trasformata in regista di salvataggi internazionali, lanciando la sua ciambella finanziaria non solo per ripagare un debito, ma per evitare il crack dell’intero paese. Cioè si è ritagliata per la prima volta il ruolo di finanziatore internazionale di ultima istanza.

Come strumento principale di intervento, la People Bank of China ha usato il suo network di swap lines con 40 banche centrali in giro per il mondo, ufficialmente create per promuovere l’uso del renminbi negli scambi, ma spesso dormienti. Invece queste linee si sono poi attivate, e sono diventate strategiche per sostenere le riserve delle banche centrali di paesi in difficoltà e permettere loro di imbellettare situazioni di crisi.

Il paper ha accertato che, dal 2020, 170 miliardi di dollari di swap loans sono stati dispiegati dai cinesi in operazioni di salvataggio in paesi come Argentina, Mongolia, Suriname, Sri Lanka, ma anche Pakistan, Egitto, Turchia.  A questi si sono aggiunti altri 70 miliardi di dollari di prestiti per ripagare i debiti con l’estero, inclusi quelli verso le stesse banche cinesi. I ricercatori hanno identificato 22 operazioni di salvataggio di paesi sull’orlo della bancarotta, realizzate attraverso prestiti o anche con interventi cinesi sul debito sovrano di quei paesi. In totale, 240 miliardi di dollari. E il tutto a tassi più alti di quelli che pratica il Fondo monetario per i suoi interventi di sostegno, ma con tassi simili a quelli praticati dalla Fed per i salvataggi durante la crisi finanziaria o dall’Eurozona durante la crisi del debito.

Quello che la Cina sta facendo da qualche anno assomiglia molto a ciò che fecero gli Usa dopo la Seconda Guerra mondiale nel provvedere fondi ai paesi indebitati con banche ed esportatori americani, commentano gli autori del paper, e finendo per attribuire agli Usa quel ruolo di pivot nel sistema finanziario internazionale e nella gestione delle crisi globali. La Cina ha dimostrato che può fare altrettanto oggi. Ma lo fa in segreto, lontano dal controllo della comunità internazionale. E forse con altri obiettivi.