Una riforma legislativa europea riapre la partita sul bail-in delle banche. Chi, tra depositanti, contribuenti o settore bancario deve sostenere le perdite affinché la banca in difficoltà si salvi? La Commissione si orienta sull’ultima delle tre categorie. Ma già oggi la rete a tutela dei depositi finanziata dalle banche si rivela insufficiente
In materia di credito, “risoluzione” vuol dire ristrutturazione di una banca in dissesto, in alternativa alla sua liquidazione (cioè, alla cessazione dell’attività), per proteggere i depositanti e garantire che non vi siano danni all’economia e alla generale stabilità finanziaria.
Nelle procedure di risoluzione, l’europeo Single Resolution Fund (SRF) – 77,6 miliardi di euro al 2023 (SRB, 2023) – può intervenire fornendo liquidità alle banche sotto forma di prestiti. Per poter accedere all’SRF, l’istituto di credito in dissesto deve però dapprima procedere con un bail-in, ovvero “scaricare” le proprie perdite su azionisti e creditori diversi dai depositanti per un minimo dell’8% del totale delle sue passività, incluso gli own funds (Commissione Europea, 2014).
“Bruciato” il valore della partecipazione degli azionisti, verso i creditori la banca, invece, o converte il proprio debito in azioni o cancella – parzialmente o interamente – lo stesso debito. Il bail-in rappresenta così l’alternativa a un salvataggio finanziato dallo Stato prevedendo che solo i “titolari” delle passività bancarie
L’esperienza ha tuttavia dimostrato che, per raggiungere la condizione del suddetto dell’8% di bail-in per accedere all’SRF, si dovrebbe anche “colpire” i depositi “non coperti” (uncovered) delle famiglie e delle società non finanziarie (SNF), ovvero i loro depositi per la quota superiore a 100.000 euro, stante che i depositi fino a 100.000 euro (covered) sono esclusi dal bail-in in quanto garantiti dagli schemi nazionali di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes – DGS) finanziati dalle banche (come da Direttiva BRRD sul risanamento e la risoluzione delle crisi bancarie, 2014).
La riforma legislativa europea sulla gestione delle crisi e l’assicurazione dei depositi (Crisis Management and Deposit Insurance – CMDI), proposta dalla Commissione Europea nell’aprile 2023, mira, fra gli altri temi, a rendere disponibili nei bail-in i DGS fino al raggiungimento del suddetto 8%, proteggendo in tal modo pure i depositanti, anche per la parte unconvered, nonché contestualmente prevenendo che – per coprire i medesimi depositanti – siano gli Stati a intervenire. Nella posizione della Commissione, l’onere delle perdite si abbatterebbe interamente sulle reti di sicurezza finanziate dal settore creditizio, i DGS, il che determinerebbe contributi bancari aggiuntivi a tali schemi qualora ad oggi inadeguati, ovvero insufficienti a coprire, da sé, le perdite potenziali sia per le famiglie che per le SNF in caso di crisi della loro banca.
In sostanza, la CMDI affronta la questione di “chi paga per la risoluzione (bancaria)?”, ovvero chi fra le categorie (i) depositanti, o (ii) contribuenti o (iii) settore bancario deve sostenere le perdite che consentano a una banca in difficoltà di accedere al SRF: la risposta contenuta nella proposta di riforma da parte della Commissione Europea orienta il peso sull’ultima delle tre categorie citate.
L’ipotizzata riforma non è pervenuta ad approvazione finale, che tuttavia appare prossima. Anche qualora si arrivasse a obbligare i DGS al contributo alla copertura fino all’8%, rimarrebbe ciononostante un punto rilevante da considerare: i DGS bancari nazionali sono abbastanza capienti da assicurare che i depositi uncovered non vengano toccati?
La risposta sarebbe negativa sulla base di un modello – da noi sviluppato (e già pubblicato online su Rivista Bancaria) – che scompone le passività dei bilanci bancari nei Paesi dell’eurozona declinandoli poi analiticamente tra cosiddetti istituti di credito di per sé “sistemici”, ovvero di dimensione significativa (Significant Institutions – SIs), e meno significativa (Less Significant Institutions – LSIs). Ne risulta l’interesse degli Stati Membri a pervenire all’approvazione della riforma CMDI per poi mirare ad estendere eventualmente la dimensione dei DGS, a maggior protezione di famiglie e imprese depositanti (nonché, indirettamente, dei contribuenti), in quanto tali DGS sono oggi insufficienti a garantire sia la quota uncovered dei depositi – per il raggiungimento della soglia di bail-in dell’8% che abilita l’accesso all’SRF europeo – sia quella covered.
Precisamente, sulla base del modello citato, emerge che:
L’evidenza denota non solo l’opportunità di pervenire all’approvazione della CMDI, ma anche quella di farla seguire dall’incremento dei DGS.
In merito all’approvazione, il primo via libera del co-legislatore Parlamento Europeo risale all’aprile 2024.
Dopo che nel maggio 2023 Austria e Germania opposero la riforma europea in questione, un approccio generale venne concordato nel maggio 2024 a livello di Stati Membri nell’ambito dell’altra sede co-legislativa europea, il Consiglio UE. Tale approccio ha però emendato il testo votato dal lato parlamentare, richiedendo quindi un nuovo voto da quest’ultimo (atteso a breve). Va detto che, non accettando il ruolo dei DGS come definito nella proposta iniziale della Commissione Europea, il testo emendato è stato definito da quest’ultima come “molto deludente” in sede di commento in Parlamento Europeo.
A fine giugno 2025, è stato finalmente raggiunto un accordo provvisorio tra i co-legislatori. Vi si prevede che i DGS “colmeranno il divario” per le banche che, al momento della risoluzione, presentino un insufficiente requisito minimo di fondi propri e passività ammissibili (Minimum Requirement for Own Funds and Eligibile Liabilities – MREL): esse potranno, “come ultima risorsa”, fare affidamento sui DGS per finanziare il proprio bail-in senza utilizzare i depositi. L’accesso a questa rete di sicurezza finanziata esclusivamente dal settore bancario sarà contestualmente soggetto a rigorose garanzie: in particolare, l’accordo – che è in corso di rifinitura tecnica del testo – garantisce che l’utilizzo dei fondi DGS non possa superare l’importo dei depositi covered detenuti dalla banca in questione.
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