La parola al dottore commercialista
Chatbot è un'opportunità, serve governarla

Utilizzare una IA per redigere determinati documenti avviene già oggi. E per i servizi routinari, come quelli di compilazione delle dichiarazioni IVA, del 730 ed ISEE, l'informatizzazione dei servizi della P.A. già interviene nell’assistenza al cittadino e agli intermediari. Ma una IA generalista come quella di Chatgpt non potrà mai essere in grado di redigere atti e documenti con completezza e sostituire un professionista. Che può invece utilmente cavalcarla

Francesco Andrea Falcone e Paola Piantedosi
Falcone
Piantedosi

È stata Chatgpt, una applicazione web prodotta dalla società statunitense OpenAI, ad aprire un dibattito internazionale sulla invasione nel mercato di sistemi di intelligenza artificiale a supporto dei servizi utili agli esseri umani.

Con l’arrivo di questa applicazione, una costante e quasi eccessiva campagna di comunicazione mediatica ha invaso la rete e le principali testate giornalistiche mondiali, alternando l’esultanza per il nuovo miracolo tecnologico alla paura per l’imminente pericolo di sostituzione del genere umano da parte di un complesso sistema di algoritmi, intenzionati a sterminarci.

Nel mezzo, straordinarie fake news circolano alla stessa velocità, dichiarando prodigiose capacità dell’intelligenza artificiale di fornire servizi consulenziali in materia di mercati, finanza e investimenti e promettendo allo stesso tempo guadagni incredibili.

Di qui l’esigenza di approfondire l’argomento, indagando sul confine esistente tra nuovi business, servizi di assistenza virtuale, promozioni commerciali, volte a diffondere la presunta innovatività di sistemi di chatbot, e la generale goliardia che ha accompagnato ogni nuovo fenomeno economico sviluppatosi in rete negli ultimi anni.

Le intelligenze artificiali

Una Intelligenza Artificiale Unica non esiste al mondo e già questo dovrebbe bastare a rasserenare gli animi di coloro i quali, ossessionati da tesi complottiste, temono che incogniti poteri forti possano impossessarsi del destino dell’umanità.

Allo stesso tempo, però, il fenomeno di sostituzione mediante il quale, sempre più spesso, cittadini in ogni parte del mondo cedono quote di impegno intellettuale e culturale nello svolgimento di funzioni naturali di apprendimento, ricerca, scrittura, comunicazione e finanche espressione artistica dovrebbe fare riflettere.

Come dovrebbe, con la medesima sollecitudine, far riflettere come certe applicazioni, allo stesso modo dei social network, diffuse gratuitamente entrano nell’uso comune delle nostre vite con finalità di autoapprendimento. E così, mentre milioni di persone ne fanno usi disparati, spesso goliardici, sentimentali, comunicativi o di interconnessione tra distanze, determinati algoritmi profilano le nostre esperienze di utenti con lo scopo di includerci, più o meno indirettamente, in un cluster commerciale ben identificato.

Intelligenze artificiali ci accompagnano, dunque, da molti anni e non siamo stati capaci di identificarne la natura per tempo. Un motore di ricerca nella rete è una intelligenza artificiale. I suoi algoritmi perfezionano quotidianamente il funzionamento delle ricerche effettuate dalla utenza per migliorarne gli effetti, ma pure per somministrare promozioni pubblicitarie di tipo differente, partendo per esempio dal ranking delle pagine in evidenza mentre cerchiamo un argomento in rete. Applicazioni vocali di ricerca, quali Alexa® o Siri®, sono intelligenze artificiali, che svolgono per noi determinate funzioni ed allo stesso tempo profilano i nostri comportamenti per fini commerciali – ad esempio per favorire l’acquisto di nuovi supporti informatici o telefonici.

Enciclopedie libere in rete sono intelligenze artificiali, mediante le quali si sintetizza l’attività di approfondimento ed informazione, spesso purtroppo senza alcuna garanzia di autorevolezza delle fonti di redazione dei testi.

Pure gli algoritmi commerciali che compaiono sotto forma di banner pubblicitari mentre navighiamo in rete sono intelligenze artificiali, che sulla base delle nostre possibili preferenze commerciali studiano i nostri comportamenti per somministrarci possibili offerte di acquisto.

Assistenti alla clientela virtuali che operano su siti web o per via telefonica sono anche essi intelligenze artificiali, programmate per fornire immediata risposta e soddisfazione alla clientela.

Il chatboting

Le intelligenze artificiali sono realtà, perciò, da molto tempo, eppure il loro uso non aveva scatenato finora dibattiti di straordinario interesse come quello in corso.

Tutto è cambiato, però, con l’arrivo del “chatboting”. Potremmo definire “chatboting” quel fenomeno di replica automatizzata ed intelligente rispetto alla proposizione di quesiti di interesse personale, che gli utenti di determinati servizi di rete utilizzano quotidianamente su diversi siti. A fornire risposte c’è un “bot” – abbreviativo goliardico di robot – e non un essere umano. Il “bot”, in genere un software, acquisisce le richieste e fornisce le risposte in base alla sua programmazione. Nelle versioni più evolute, come quella proposta da OpenAI, per esempio, il “bot” non si limita a fornire risposte standard, ma interloquisce con l’utente in modo più avanzato, cerca di ottenere da questi maggiori informazioni possibili, le immagazzina, le confronta con le informazioni in proprio possesso e fornisce una risposta articolata, che, in forma di autoapprendimento, via via migliorerà nel tempo.

L’impressione generata nell’opinione pubblica è stata tale da convincere l’utenza dell’esistenza di una “intelligenza alternativa” a quella umana, capace di sostituirne le funzioni, quando in verità si tratta prevalentemente di un sistema informatizzato, che incentiva una certa pigrizia intellettuale. Pigrizia intellettuale che diventa dipendenza comportamentale, come peraltro oggi già avviene in numerosi ambiti. Probabilmente è lì che si dovrebbe individuarne il business potenziale.

Il motivo per cui la questione sia deflagrata in queste proporzioni proprio con lo sviluppo di una chat intelligente lo si deve probabilmente non alla particolare capacità della chat di rappresentare una innovazione tecnologica, quanto piuttosto al fatto che la comunicazione per chat è così diffusa da diventare oggi un indispensabile veicolo di contatto e di acquisizione di informazioni. Altre intelligenze artificiali, infatti, come per esempio quella evoluta della guida automatizzata di autoveicoli senza conducente, costituiscono traguardi tecnologici assai più impressionanti.

IA e futuro dei servizi professionali

Ha suscitato un certo clamore, inoltre, nell’ambito degli esercenti attività professionali, la presunta capacità di intelligenze artificiali di sostituirsi alla intelligenza umana nella predisposizione di determinati adempimenti – al momento limitati a quelli connessi alla redazione di comunicati o testi legati al contenzioso legale e tributario – scatenando immotivati timori di processi volti ad escludere dal mercato intere categorie.

Si tratta evidentemente di timori amplificati più da processi di incentivazione comunicativa del fenomeno che da evidenze scientifiche.

Nei fatti, utilizzare una IA perché ci assista nel redigere determinati documenti è questione già attuale. In tanti ricorrono, invero, a formulari di provenienza informatica. Una IA generalista, come quella di Chatgpt non potrà mai essere in grado di redigere atti e documenti con completezza e, dunque, in sostituzione del professionista, perché, a causa del continuo mutare delle normative legali e fiscali (soprattutto nel nostro paese), gli algoritmi di funzionamento necessiterebbero di interventi così prolungati nel tempo da rendere incompatibile un aggiornamento contestuale dei sistemi di risposta.

Criticità potrebbero al più riscontrarsi per i servizi routinari, come quelli di compilazione di dichiarazioni e format, nei quali, peraltro, anche in questo caso, una generale informatizzazione dei servizi della P.A. già interviene nell’assistenza al cittadino e agli intermediari. I modelli pre compilati delle dichiarazioni IVA, delle dichiarazioni 730 ed ISEE sono, difatti, una realtà da diverso tempo.

Questi servizi, in effetti, potrebbero essere sottratti ai professionisti che ancora li eseguono, ove prevalga il generale asservimento dei servizi della P.A. a procedure automatizzate e regolate da sistemi informatici “intelligenti”, rendendo superficiale il lavoro di mera imputazione dei dati effettuato attualmente in larga parte in campi trasversali, dai servizi del notariato a quelli contabili, catastali e medici. In questo senso andrebbero colte delle opportunità, in particolare quelle volte a liberare risorse tra i professionisti del settore da veicolare ad altri servizi di mercato e, tra questi, quelli di consulenza alla utenza, spesso ancora priva di competenze informatiche di base per l’accesso ai servizi.

Uno sguardo in prospettiva

Diventa allora importante guidare fenomeni simili, piuttosto che lasciarli liberi di svilupparsi solo nell’interesse commerciale di grandi aggregati imprenditoriali. Non sono poche le alternative a Chatgpt nate negli ultimi mesi, che superano il suo modello generalista per approdare ad una forma di comunicazione maggiormente specializzata. Allo stesso tempo non sono poche le alternative eticamente non governate di questo fenomeno, che suggeriscono contenuti scorretti o illegali o che sfruttano il fenomeno delle fake news per somministrare contenuti polarizzanti agli utenti. In questo senso è auspicabile che una regolamentazione intervenga quantomeno in sede europea. La rete ci ha abituati, infatti, ad una certa ingovernabilità di determinati eventi. Come, per esempio, è avvenuto per lo sviluppo dei social network, nati quasi per gioco ed oggi divenuti uno straordinario luogo di scambio di servizi e di comunicazione, alla stessa stregua occorrerebbe considerare l’importanza dello sviluppo di questa nuova tecnologia, ricordando che dietro una intelligenza artificiale c’è chi ne inserisce dei contenuti e che i professionisti italiani potrebbero essere protagonisti anche in questo.