approfondimenti/banche
C'è un nesso tra debito sovrano e rischio bancario

Un effetto collaterale delle politiche non convenzionali della Bce può essere quello di un acquisto opportunistico di titoli di Stato da parte delle banche con la liquidità ottenuta da Francoforte. Una indagine illumina le motivazioni in ragione delle quali è possibile capire l’espansione dei titoli sovrani nei portafogli degli enti creditizi identificandone due categorie: quelli con portafogli illiquidi e quelli con sofferenze

Niccolò Silicani
Silicani

Nel giugno del 2020 il Governing Council della BCE ha deciso di incrementare di €600 miliardi la quota iniziale messa a disposizione nel Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) e di ulteriori €500 milioni a dicembre 2020, per un totale di €1850 miliardi. Uno degli elementi da valutare sarà l’implicazione sulle scelte strategiche delle banche europee.

Infatti, un effetto collaterale di tali politiche non convenzionali potrebbe essere l’incremento degli acquisti di titoli di debito pubblico da parte degli intermediari, come avvenuto a partire dal 2011 (quando furono avviate le operazioni di LTRO e l’OMT in seguito allo scoppio della crisi dei debiti sovrani). In sostanza, in alcuni casi le banche potrebbero optare per dirottare la liquidità ottenuta da Francoforte sul mercato del debito sovrano, acquistando titoli di Stato domestici.

Uno degli incentivi principali di tale deviazione può essere individuato nel trattamento regolamentare particolarmente favorevole riservato alle esposizioni sovrane. Infatti, i titoli pubblici sono considerati un safe asset in termini di risk sensitivity e non è previsto alcun accantonamento di capitale a fini prudenziali. Inoltre, tali strumenti possono essere utilizzati come collateral per l’ottenimento di liquidità presso la BCE.

Questa dinamica ha contribuito ad alimentare il sovereing-bank nexus, ossia la pericolosa connessione tra il settore bancario e la finanza pubblica in grado di esacerbare l’effetto contagio tra i due sistemi. Da qui il regolatore europeo ha indirizzato le proprie attenzioni verso la componente del rischio sovrano. 

Dal nostro punto di vista, un approccio maggiormente onnicomprensivo nel monitoraggio dei rischi bancari favorirebbe il consolidamento dell’Unione Bancaria Europea. Sono stati infatti implementati un set di strumenti legislativi tesi a mitigare alcune componenti del rischio bancario (rischio di credito, di mercato, di liquidità, ecc.) senza una completa visione d’insieme. Con riferimento al rischio sovrano, potrebbe essere interessante chiarire se tale vulnerabilità è associabile all’espandersi di altre tipologie di rischio.

Pertanto, nel n. 1/2021 di Rivista Bancaria Minerva Bancaria, è stata approfondita l’idea che, a partire dal rischio sovrano, vi sia un’interdipendenza nefasta tra alcuni rischi bancari. Lo studio è finalizzato a indagare le motivazioni in ragione delle quali è possibile capire l’espansione dei titoli sovrani nei portafogli degli enti creditizi. Per fare ciò, è stata adottata un’analisi di regressione panel, collezionando un unbalanced panel dataset, ottenuto sulla base delle informazioni fornite dal Moody’s Analytics BankFocus realizzato dal Bureau van Dijk Electronic Publishing (BvD). Il dataset raccoglie istanze annuali relative a 831 banche europee (carattere individuale, n) in un arco temporale che si estende dal 2012 al 2018 (carattere temporale, T). Le osservazioni totali sono 2226 (n x T).

La variabile dipendente (Goverment securities to total assets) misura la quota dei titoli sovrani sul totale dell’attivo della banca. L’indagine si concentra sul livello di specializzazione dell’attività svolta dall’ente creditizio, proponendo una distinzione in due categorie del dataset in oggetto. Da un lato sono state selezionate le banche maggiormente esposte verso il rischio di liquidità, e dall’altro quelle in cui la qualità dell’attivo rappresenta la principale fonte di vulnerabilità.

Nella prima categoria rientrano gli intermediari che svolgono un’attività con un’elevata complessità operativa. In particolare, il business model di tali istituti è prevalentemente incentrato su operazioni afferenti al trading book: la componente speculativa è altamente marcata e gli impieghi di tali operatori sono contraddistinti dalla notevole presenza di asset opachi (asset L2 e L3). Al fine di valutare l’effetto della presenza di siffatte asset class sulle strategie di acquisto di titoli pubblici, il campione è stato scomposto in High L2 + L3 Assets Banks e Low L2 + L3 Assets Banks. Le banche sono state incluse nel primo cluster se al tempo t presentavano un rapporto tra L2 e L3 asset sul totale degli attivi maggiore del 75° percentile della distribuzione campionaria della variabile L2 + L3 assets al tempo t.

La seconda categoria considerata individua tutte quelle banche con una vocazione preminente verso il credito commerciale. In questo senso, è possibile affermare che il modello di business di questi istituti è basato sulla componente tradizionale dell’attività bancaria. Pertanto, il sottoinsieme delle High Loans Banks è finalizzato a misurare le determinanti sovrane delle banche con tali caratteristiche. In particolare, il campione è composto da enti creditizi che al tempo t presentavano un ammontare totale di prestiti verso la clientela sul totale degli asset maggiore del 75° percentile della distribuzione campionaria al periodo t. Gli intermediari che non rispettano tale requisito sono inclusi nel gruppo delle Low Loans Banks

L’intento dell’indagine è quello di capire se l’ampliamento dell’acquisto di titoli sovrani si delinea come una risposta a specifici fonti di rischio che colpiscono segnatamente gli istituti appartenenti alla prima categoria (complessità dell’attivo in seguito all’aumento di asset opachi e illiquidi) ovvero alla seconda (incremento dei prestiti in sofferenza).

I risultati dell’analisi suggeriscono interessanti riflessioni relativamente a come le differenti strutture di bilancio possano influenzare le scelte di portafoglio sovrano. In sintesi: 

  1. banche con una prevalenza di asset speculativi sembrano presentare una relazione significativa tra asset illiquidi ed esposizioni sovrane. Infatti, per le sole banche incluse nel campione High L2 + L3 Assets Banks, al crescere dei portafogli illiquidi si osserva un aumento anche della domanda di bond sovrani; 
  2. intermediari bancari con una struttura dell’attivo orientata verso l’attività tradizionale presentano una relazione positiva tra crediti deteriorati e titoli pubblici. In particolare, solamente gli intermediari all’interno del campione High Loans Banks presentano un tasso di crescita di prestiti in sofferenza associato ad un portafoglio sovrano più ampio.

L’output dell’indagine fornisce alcuni spunti sul piano regolamentare meritevoli di ulteriori approfondimenti. In particolare, considerando banche con un’elevata incidenza di asset illiquidi, potrebbe sussistere un incentivo nell’espansione del proprio portafoglio sovrano al fine di incrementare il buffer di liquidità. Viceversa, dal lato delle banche maggiormente esposte verso la clientela retail, come quelle italiane, uno stimolo all’acquisto si potrebbe presentare in caso di peggioramento della qualità dell’attivo (i.e. aumento del tasso di NPL) con la finalità di sostenere la profittabilità.

Il regolatore europeo dovrebbe tener conto di tale discrasia, in quanto un cambiamento tout court dell’attuale trattamento regolamentare dei titoli di Stato potrebbe avere effetti negativi sia sulle banche in cerca di liquidità che in quelle in zavorrate dai crediti deteriorati.

Per tal motivo riteniamo che, così come è stato prescritto un piano di riduzione delle Non Performing Exposures (NPE), allo stesso modo dovrebbe essere introdotto uno schema di riduzione degli asset L2 e L3 in bilancio. Solo dopo l’implementazione di una riforma basata su questi due pilastri potrebbero essere discusse eventuali proposte di limitazione alle esposizioni sovrane.

Condividi questo articolo