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La successione a Draghi
C'è Danièle dopo Mario
Paola Pilati

Manca oramai una manciata di mesi alla fine del mandato di Mario Draghi al vertice della Bce. E certo non si dovrà attendere il 31 ottobre per sapere chi prenderà il suo posto. Il totonomine è già in piena attività da tempo. E si è appena arricchito del nome di una donna: Danièle Nouy. Con quali chance? Vediamo quali sono le pedine in movimento.

Da tempo scalda i motori per partire verso la torre della banca centrale europea Jens Weidmann, il governatore della Bundesbank. Il più anti-Draghi tra i banchieri centrali.

Il capo della Bundesbank, ex collaboratore della Merkel, non ha mai nascosto il suo disaccordo con le misure prese dall’italiano in difesa dell’euro. Il bazooka di Draghi ha gonfiato il bilancio della Bce a livelli mai visti, e ha rotto un tabù: quello di soccorrere i paesi ad alto debito facendo incetta dei loro titoli sovrani attraverso l’Omt. Pratiche che sono entrambe in conflitto con la dottrina della Buba, gestita in nome dei principi dell’ordoliberismo.

Pochi mesi fa Weidmann ha ancora una volta chiarito il suo credo: “Non dovremmo perdere tempo sulla lunga strada verso la normalità monetaria”, ha avvisato, e “non dovremmo prendere alla leggera i rischi e gli effetti collaterali di una politica monetaria estremamente accomodante”. Come dire: con me l’aria cambierà.

Ma sulle ambizioni di Weidmann è caduto subito il gelo da parte della stessa Merkel. Tanto che subito è stata fatta circolare già dall’anno passato una candidatura alternativa. Quella di Erkki Liikanen, governatore della banca centrale finlandese, preferito per essere meno “falco” del tedesco, ma comunque rappresentante dell’ideologia dei paesi del Nord.

Anche la Francia, sebbene abbia già avuto un suo uomo al vertice della Banca centrale europea, ha avanzato le sue candidature: quella del presidente della Banque de France François Vileroy de Galhau, e quella dell’attuale membro del board, Benoit Coeuré. Appaiono però delle candidature di bandiera, fatte per avere comunque voce in capitolo. Quella vera è un’altra.

L’altra francese che entra in lizza, e che potrebbe sparigliare le carte è una donna. È Danièle Nouy, che ha guidato fino alla fine del 2018 la Vigilanza Europea, prima di lasciare il timone all’italiano Enria. E il suo nome non l’ha fatto Macron, bensì – così pare – la stessa Merkel.

La partita della successione a Draghi, infatti, si intreccia con tutta una serie di altre successioni a livello europeo. Che vedono giocare fattori nazionali con fattori di bilanciamento di pesi nei ruoli chiave delle istituzioni dell’Unione.

Primo fra tutti, quello di presidente della Commissione Ue che sarà deciso dopo le prossime elezioni, che la cancelliera avrebbe promesso a Manfred Weber, capogruppo del Ppe in Europa. E certamente un presidente tedesco alla Bce sarebbe d’intralcio alla Merkel per ottenere quella poltrona a Bruxelles.

Ma il nome della Nouy incontra anche difficoltà. Soprattutto da parte dell’Italia. E potrebbe diventare un altro fronte del conflitto neanche tanto latente tra il governo populista giallo-verde, la Francia in primo luogo, e la Germania. Tutte e due fresche alleate nel patto di Aquisgrana appena siglato, che configura un asse privilegiato alla guida dell’Europa politica, più o meno come la gestione consolare dell’antica Roma, sono entrate entrambe nel mirino del nostro governo.

Che colpe ha la Nouy per i partiti al governo in Italia? Passaporto a parte, e appartenenza all’élite delle istituzioni europee, è una solida sostenitrice della necessità dell’Unione bancaria. Come ha dichiarato nella sua ultima audizione al Parlamento europeo alla scadenza del mandato, per una vera unione bancaria ci sono ancora dei passi da fare, ed è il momento di farli, per esempio rendendo più uniformi le normative nazionali che derivano dalle direttive europee, che ognuno dei 19 Stati recepisce in modo diverso. Un messaggio indirizzato prima di tutto ai paesi in cui possono incubare nuovi rischi per la stabilità generale. Tra cui il nostro.

Secondo il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini, invece, è proprio l’esercizio della Vigilanza bancaria europea la causa dei terremoti nel credito in Italia, e non viceversa: la richiesta di coprire in sei anni i crediti deteriorati arrivata a Mps ed altri istituti in gennaio porta in controluce la firma di Danièle, anche se non è più lei al vertice. È stato infatti sotto la sua amministrazione che è partita l’idea di chiedere una svalutazione accelerata degli Npl, il cosiddetto addendum della Bce, secondo un calendar provisioning a tappe forzate.

Un impegno che ha un impatto forte sui conti degli istituti italiani. Vuole dire nuovi accantonamenti aggiuntivi rispetto a quelli fatti per ridimensionare la montagna di Npl del nostro sistema. E si traduce nella fuga dai titoli in Borsa. Una trama, secondo l’economista della Lega Alberto Bagnai, presidente della Commissione finanze del Senato, che cela la protezione delle magagne ben più gravi delle banche francesi e tedesche.

Per Danièle quindi sarà battaglia. Non a caso, la candidatura Weidmann è stata di nuovo rilanciata da un suo supporter, il governatore della Banca centrale austriaca. In una manciata di mesi tutto può ancora succedere.