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Capital markets union: le nuove proposte dalla Commissione

Dalla relazione dei cinque presidenti del 2015, passando per la Brexit, alle misure di questa primavera: lo stato di avanzamento della Capital markets union alla luce delle nuove proposte della Commissione in attuazione della mid-term review dell’action plan, in vista della prossima deadline del 2019.

Daniela Sciullo
Sciullo

From monetary union, through banking union, towards capital markets union. Era l’estate del 2015: nel rapporto dei cinque presidenti (tra cui Mario Draghi) l’action plan per l’Unione dei mercati dei capitali si collocava come pilastro nell’ambito del più ampio piano di investimenti per l’Europa, il c.d. Piano Juncker. Il progetto Capital markets union, originariamente articolato in tre fasi (la seconda è in atto; la fase finale da realizzare, al più tardi, entro il 2025), si propone come noto l’obiettivo di realizzare un più forte e integrato mercato dei capitali, per favorire una sostenibile condivisione privata dei rischi nell’area euro, aumentandone la resilienza sistemica, in un quadro caratterizzato dalla frammentarietà di trading venues differenti per natura giuridica, cui corrispondono differenti regole di vigilanza e obblighi di compliance di differente appeal.

I principi ispiratori del Piano vertevano su: (i) ampliare le opportunità di investimento in progetti infrastrutturali e imprese quotate europee; (ii) ancorare la realtà finanziaria all’economia reale, per convogliare la raccolta di capitali per il finanziamento delle imprese sui mercati, con particolare attenzione alle esigenze delle SMEs(iii) promuovere un sistema finanziario più stabile e resistente agli shock, attraverso l’incremento degli investimenti a lungo termine; (iv) aumentare l’integrazione finanziaria e la concorrenza per una più efficiente riallocazione dei rischi a beneficio della competitività europea. Al riguardo, le misure a breve termine imperniavano: sulla cartolarizzazione dei crediti l’incremento della liquidità e la liberazione di capitali bancari; sul framework Solvency II il finanziamento dei progetti infrastrutturali di lungo periodo; sulla rimozione degli ostacoli e sulla valorizzazione delle obbligazioni garantite, la protezione degli investitori; sul venture capital il finanziamento delle SMEs non quotate; e, last but not least, l’intervento sui prospetti per rimuovere le barriere all’accesso dei mercati.

Appena un anno dopo l’avvio dell’implementazione del Piano, nel giugno 2016, la tabella di marcia registrava una prima esogena battuta d’arresto: le dimissioni del commissario europeo britannico, Lord Jonathan Hill, responsabile per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e la Capital markets union, a seguito dell’esito del referendum Brexit, sembravano allontanare irrimediabilmente il completamento dell’integrazione per la fase di convergenza da compiersi entro il 2019.

Esattamente l’anno successivo, al contrario, prendeva avvio – come da programma – la revisione intermedia dell’action plan, che ha tirato la somma dei progetti compiuti e calendarizzato quelli da compiere. A seguito della consultazione pubblica avviata nel gennaio dello stesso anno, le azioni contrassegnate come prioritarie riguardavano in primo luogo il rafforzamento dell’impianto di vigilanza europeo, al fine di renderlo maggiormente efficace e uniforme; in secondo luogo il cambiamento del microclima normativo in senso più confortevole per le SMEs; la revisione del trattamento prudenziale delle imprese di investimento; la ponderazione della possibilità di un quadro comune per il rilascio di licenze e passaporti per le attività di tecnologia finanziaria; la presentazione di misure a sostegno di mercati secondari per il recupero del valore degli NPLs; la formulazione di proposte per assicurare un seguito effettivo e fattuale alle raccomandazioni fornite dal gruppo di esperti ad alto livello sulla finanza sostenibile; l’agevolazione della distribuzione e della supervisione transnazionale di FIA e OICVM; l’elaborazione di orientamenti sulle vigenti norme europee inerenti al trattamento delle suddette operazioni transfrontaliere e di una cornice adeguata per la risoluzione alternativa delle controversie europee in materia di investimenti (l’Italia è già ben avanti sul punto, si pensi all’ACF); la posa in opera di una strategia globale dell’Unione per l’attuazione di misure a sostegno della crescita dei mercati locali e regionali.

In linea con quanto prefissato nella mid-term review, è di questo mese la comunicazione “Completing Capital Markets Union by 2019 – time to accelerate delivery” della Commissione europea, che, nei giorni seguenti, contestualmente alla disclosure del Fintech action plan e dell’action plan sulla Sustainable Finance, ha pubblicato le proposte legislative annunciate per: (i) potenziare il mercato transfrontaliero dei fondi di investimento; (ii) aumentare il livello della investor protection nelle transazioni transfrontaliere in titoli e crediti; e (iii) promuovere il ricorso alle rassicuranti obbligazioni garantite come fonte di approvvigionamento di risorse finanziarie a lungo termine. Nondimeno la Commissione ha esortato i colegislatori ad assicurare la rapida adozione delle riforme fondamentali per il completamento della Capital markets union, con riferimento alle proposte per il rafforzamento della vigilanza, alla ristrutturazione delle imprese e alle nuove frontiere del risparmio.

In particolare, riguardo l’omogeneizzazione transfrontaliera dei fondi di investimento, si punta alla eliminazione degli ostacoli che – fino ad oggi – hanno limitato il ricorso a FIA e OICVM, semplificandone la distribuzione e incrementando il livello di concorrenza.

Per quanto concerne, invece, l’individuazione della normativa applicabile alle operazioni transfrontaliere in titoli e crediti, nell’ottica di promuovere investimenti cross-border prevenendo il verificarsi dei rischi sistemici ad essi connessi, e per agevolare la liquidità e l’accesso al credito, le nuove norme chiarirebbero la legge applicabile in caso di controversia vertente sulla cessione di un credito avvenuta su una base transnazionale: di norma, si applicherebbe la legge del paese in cui il creditore ha stabilito la propria residenza abituale. Coerentemente, la Commissione ha altresì adottato una comunicazione per stabilire quale sia la legge nazionale applicabile per determinare l’appartenenza del titolo nell’operazione in parola.

Infine vi è il complesso di norme comuni sulle citate obbligazioni garantite europee, per la promozione di standard e best practices per favorire la diffusione di tali strumenti come fonte di finanziamento stabile e vantaggiosa sotto i profili della tutela dell’economia generalmente intesa.

In conclusione, come da road map, la Commissione è riuscita nell’intento iniziale di presentare le proposte entro la primavera corrente ed è in attività per portare a completamento quelle pendenti. Ma, per sua stessa ammissione ed esortazione, l’obiettivo integrazione dei mercati dei capitali dell’Unione non può essere raggiunto in forza del solo operato della sola Commissione: la palla ora al Parlamento e al Consiglio, per accelerarne così il completamento prima della naturale scadenza del 2019.