SISTEMA PRODUTTIVO
Cambiare per non perire: le imprese italiane a cavallo degli shock 2020-2022

Come ha reagito il tessuto produttivo italiano al doppio shock della pandemia e dell'inflazione? Una ricerca indica che le strategie cambiano a seconda della tipologia di impresa. Ecco i diversi identikit

Stefano Costa, Stefano De Santis, Giovanni Dosi, Angelica Sbardella, Maria Enrica Virgillito

Dal 2020 il sistema produttivo italiano è stato attraversato da due profonde crisi ‒ la prima dovuta allo shock pandemico, la seconda legata all’inflazione ‒ che ancora fanno sentire i propri effetti sulle imprese e sollevano queste domande: a) in che misura i tratti comportamentali delle imprese sono mutati a cavallo degli shock? b) come cogliere e misurare tali mutamenti? c) quali risultati hanno prodotto? 

Negli ultimi anni un numero sempre crescente di lavori si è concentrato sugli aspetti macro e microeconomici del doppio shock, così come sulle caratteristiche strutturali e comportamentali delle imprese che hanno contribuito a determinarne la maggiore o minore resilienza.

In tale contesto, nell’alveo della Capability-based theory of the firm, incentrata sulle capacità organizzative e sul saper fare delle imprese, è possibile utilizzare le informazioni raccolte dall’Istat in occasione delle ultime due edizioni del Censimento permanente sulle imprese (2019 e 2023) per rispondere a tali quesiti adottando una nuova prospettiva di analisi, che tenga conto della complessità del tema e nella quale le capacità organizzative, diverse da impresa a impresa, ne determinano l’orientamento strategico, i comportamenti e, in ultima analisi, la competitività. 

Sul piano empirico, ci si basa sulla classificazione delle imprese presentata in nostri precedenti lavori[1], nella quale i tratti tecnologico-organizzativi delle unità produttive (il loro “genotipo”) vengono ricondotti alle loro performance di mercato (il “fenotipo” delle imprese), individuando così una tassonomia composta da quattro profili aziendali, a seconda della propensione delle imprese alla complessità tecnologico-amministrativa e alla tendenza a sviluppare le proprie capabilities prevalentemente all’interno o all’esterno dell’impresa.

Abbiamo così quattro tipologie si imprese: Essenziali, Manageriali, Interdipendenti e Complesse. Replicando la metodologia proposta in quella sede, è quindi possibile mettere in relazione i taxa (i raggruppamenti, ndr.) del sistema produttivo prima e dopo la doppia crisi, al fine di comparare gli orientamenti d’impresa in tempi normali e in tempi di profondi cambiamenti esogeno-ambientali.

L’analisi, infine, si fonda su un campione di oltre 109 mila unità con almeno almeno 10 addetti, rappresentativo di un universo di circa 216 mila imprese (le più rilevanti nello studio della competitività), che impiegano 9,5 milioni di addetti (circa il 54% del totale) e realizzano 629 miliardi di valore aggiunto (circa il 70% del totale).

Due sono i principali risultati. Il primo è rappresentato da una forte persistenza nei comportamenti e nelle risposte delle imprese quando osservate nella dimensione cross-sezionale: i comportamenti che caratterizzano i profili non cambiano tra i due periodi, e nel 2022 le imprese si distribuiscono tra cluster in misura non dissimile da come vi si distribuivano nel 2018: prevalenza di Essenziali e Manageriali, ma con peso economico minore, e performance peggiori, rispetto alle Interdipendenti e alle Complesse.

Trova dunque conferma la struttura neo-duale del tessuto produttivo italiano già evidenziata in letteratura[2], con le imprese “Essenziali” e “Manageriali” orientate a strategie di reazione alle crisi molto circoscritte in termini di scelte organizzative, adozione di tecnologie, gestione delle risorse umane, pianificazione degli investimenti, canali di credito e liquidità, apertura di nuovi mercati.

All’opposto, le “Interdipendenti” e le “Complesse” più limitate nel numero ma più dinamiche, mostrano spiccate capacità di reazione, accelerando le strategie di digitalizzazione, adottando una riorganizzazione dei luoghi e dei processi di lavoro, investendo in nuovi mercati, aprendo nuove direzioni di esportazione e, in particolare, riorganizzando le catene di fornitura per aggirare gli ostacoli all’approvvigionamento dovuti ai colli di bottiglia nelle produzioni dei componenti.

Il secondo risultato si ottiene restringendo l’analisi al sottoinsieme di imprese presenti in entrambe le rilevazioni 2019 e 2022. Questo permette di mettere in luce i processi di transizione tra taxa, mostrando in primo luogo come tali processi riguardino oltre la metà delle imprese che hanno attraversato la doppia crisi. Inoltre l’analisi delle transizioni, attraverso l’applicazione della metodologia delle random forest, permette anche di individuare le singole variabili comportamentali che hanno guidato lo spostamento delle unità da un profilo all’altro.

Di nuovo, l’evidenza empirica conferma che le imprese in grado di migliorare il proprio posizionamento nella struttura produttiva, ossia in grado di compiere dei salti discreti nello spazio delle performance, sono quelle che anche nei difficili anni caratterizzati dalla doppia crisi hanno attivato risposte comportamentali volte ad acquisire e sviluppare innovazioni radicali, implementare processi di apprendimento continui nel personale, riarticolare le catene del valore assumendo una posizione di controllo nel mercato, applicare politiche di prezzo basate su strategie di mark-up.

Nel complesso, la nostra evidenza empirica suggerisce che micro-processi di ristrutturazione sono in atto, con aumento della dispersione tra le imprese e processi di transizione polarizzanti, i cui effetti si manifesteranno soprattutto nel medio periodo; nella misura in cui persistenza e transizione coesistono, ciò implica che il saldo netto di tali processi risulterà nel perdurare e inasprirsi del neo-dualismo del nostro tessuto produttivo, con conseguenze penalizzanti per la dinamica della produttività complessiva del sistema.

Il testo completo della ricerca, Ristrutturazioni del tessuto produttivo tra pandemia e inflazione: comportamenti, persistenze e transizioni d’impresa, è disponibile su www.economiaitaliana.org


[1] S. Costa S. De Santis, G. Dosi, R. Monducci, A. Sbardella, M.E. Virgillito (2020), “Alle radici della stagnazione: una tassonomia della struttura produttiva italiana”, Economia Italiana, n. 2, pp. 73-122; S. Costa S. De Santis, G. Dosi, R. Monducci, A. Sbardella, M.E. Virgillito (2023). “From organizational capabilities to corporate performances: at the roots of productivity slowdown, Industrial and Corporate Change 32(6), pp. 1217–1244.

[2] Si veda, tra gli altri, G. Dosi, D. Guarascio, A. Ricci e M. E. Virgillito (2021). “Neodualism in the Italian business firms: training, organizational capabilities, and productivity distributions. Small Business Economics”, 57(1), 167–189.

Condividi questo articolo