La parola al dottore commercialista
Bonus edilizi: le ragioni della crisi

In due anni, i crediti fiscali erogati per ristrutturazioni edilizie hanno raggiunto i 38 miliardi di euro. Per il 10% si sono rivelati delle frodi, quasi interamente per il bonus facciate. Ma l'intero sistema dei crediti fiscali richiede una messa a punto. La criticità? La transizione da detrazione a moneta fiscale. Come evitarne le conseguenze negative? Ecco le proposte dei Dottori commercialisti, che inaugurano una nuova rubrica di Fchub

Francesco Falcone e Paola Piantedosi
Falcone
Piantedosi

Il 10 febbraio 2022, in audizione presso la V Commissione Bilancio del Senato, il Direttore Generale dell’Agenzia Entrate ha illustrato l’impatto sull’economia italiana di una delle misure volte a favorire la ripresa economica post Covid-19. 

In due anni sono stati erogati dallo Stato oltre 38 miliardi di euro, sotto forma di crediti di imposta, che hanno alimentato il circuito delle cessioni e dello sconto in fattura, tracciato, con qualche indeterminatezza di troppo, dal D.L. 34/2020, se è vero, come ora si apprende dalle stesse fonti istituzionali, che circa il 10% delle operazioni sarebbero state attuate in frode alla legge.

Questa straordinaria misura non costituisce, in verità, una novità nel nostro ordinamento, riconducendosi nell’alveo degli strumenti volti ad incentivare il mercato edilizio italiano, afflitto non solo da problemi di tenuta, ma pure dalle difficoltà manifestate dallo Stato nel “consumo” del suolo e nella riqualificazione dell’esistente. 

La genesi della norma risiede, infatti, nel testo unico delle imposte sui redditi, e precisamente nell’attuale formulazione dell’art.16 bis TUIR, che consente ai contribuenti italiani di detrarre parte dell’ammontare delle spese sostenute per interventi di ristrutturazione edilizia, ripartendole in più annualità, dall’IRPEF dovuta in ciascun anno.  

La questione, algebricamente piuttosto lineare, prevederebbe di conseguenza che, in presenza di un debito IRPEF, sia possibile detrarre una quota delle spese di tale natura, riducendo l’importo dell’imposta. 

Nel corso degli anni alla detrazione per ristrutturazione edilizia si sono aggiunte altre misure, concettualmente simili, tese a migliorare la resa funzionale energetica degli immobili con forme di efficientamento diverse, ma premiate allo stesso modo dallo Stato.

Nel pieno della crisi pandemica, il Governo Conte ha provato, probabilmente, ad applicare una strategia di incentivazione allo sviluppo di tipo keynesiano, utilizzando la leva del sistema delle detrazioni, per un duplice scopo: amplificare il valore degli incentivi di efficientamento energetico e sismico ed immettere sul mercato “diritti alla detrazione fiscale” derivati, impropriamente definiti “crediti fiscali”. 

Tanto al fine di favorirne la circolazione tra operatori istituzionali, nella convinta e condivisibile idea che la loro cartolarizzazione, anche al prezzo di pesanti commissioni, potesse invogliare i cittadini ad apportare migliorie significative agli immobili, fruendo di un indiretto intervento pubblico.

L’effetto moltiplicatore in effetti c’è stato. Insperato ed a volte eccessivo. 

Alcune lacune funzionali si erano, invero, acclarate sin da subito, visto che già a partire dal mese di settembre 2021, il successivo Governo ha dovuto introdurre correttivi d’urgenza, che hanno finito per mandare in crisi, a valle, l’intero processo. 

Il vulnus evidenziato dall’Agenzia delle Entrate è, difatti, formalmente ineccepibile, essendo incentrato sull’assenza quasi totale di strumenti preventivi di controllo nella costruzione generale del valore dei benefici distribuiti con gli strumenti emarginati.

Tale carenza, tuttavia, dettata forse dalla contingenza nella quale il Governo Conte ha dovuto operare, non è stato l’unico elemento di criticità a gravare sulla misura, che ha risentito altresì dell’incidenza di ulteriori fattori, tanto da determinare il fermo assoluto del settore nelle prime settimane del mese di gennaio di quest’anno.

La crisi del modello incentivante è, infatti, ascrivibile pure allo stesso processo di cartolarizzazione previsto dal D.L. 34 del 2020, che, così come strutturato, attrae di fatto una domanda ridotta ad un numero modesto di operatori. 

E questo perché la cartolarizzazione de qua non riguarda crediti, liquidi, esigibili e compensabili integralmente, trattandosi di “moneta fiscale”, ma diritti alla detrazione d’imposta, utilizzabili con un sistema pro-rata variabile nel termine di cinque anni – per i casi di superbonus e sismabonus – o di dieci – per i casi di ristrutturazioni edilizie tradizionali o bonus facciate.

Così, se pure il terminale oggettivo della cessione, riguardando strumenti utili a compensare imposte in cinque o dieci anni, potrebbe potenzialmente interessare operatori con una proiezione di attività di medio termine e con una concreta aspettativa di risultati economici positivi, da cui discenderebbero debiti fiscali compensabili, la reale attuazione dello strumento si scontra con lo scenario economico nel quale è stato introdotto.

In presenza, invero, di una delle crisi economiche internazionali più gravi, l’interesse ad acquistare questo tipo di moneta fiscale si è ridotto ad una platea di pochi soggetti.

Di questi, peraltro, quelli di diretta promanazione pubblica, che hanno continuato a immettere liquidità sui mercati, acquistando crediti – o meglio diritti alla detrazione – per diversi miliardi di euro, hanno dovuto frenarsi, essendosi probabilmente accorti che, senza un limite marginale entro cui operare, non sarebbero stati in grado di soddisfare la crescente ed indeterminata richiesta proveniente sia da imprese del settore che da comuni cittadini.

Indubbiamente, la sollecitata introduzione di strumenti di verifica antifrode è una necessità, non essendo disciplinata, a monte del processo di accreditamento del valore dei benefici a carico dello Stato, alcuna forma di controllo preventivo, se non nel caso degli incentivi per superbonus e sismabonus, garantiti dalla asseverazione e dalla apposizione di un visto di conformità.

La manifestazione fraudolenta di maggiore rilevanza si è, infatti, materializzata, come confermato dal Direttore dell’Agenzia Entrate, proprio sul fronte degli altri benefici, per così dire più “agevoli”, come il Bonus Facciate, per i quali non era stata prevista alcuna validazione preventiva.

Il Bonus facciate, in particolare, strumento introdotto per favorire il rifacimento esteriore, fronte strada, dei prospetti degli edifici ubicati in determinate aree, non contemplava alcun formale limite di spesa e nemmeno un parametro di corrispettivi cui fare riferimento per contenere il pericolo di abusi. 

A quanto pare le correzioni introdotte dal Governo, anche per il tramite dei suggerimenti offerti dai dottori commercialisti italiani, oltre che dall’Agenzia delle Entrate, hanno consentito una rapida individuazione ed emersione del dato di fraudolenza, evidenziato, come detto, in circa il 10% del valore degli interventi realizzati e quasi integralmente riferibile proprio al richiamato Bonus Facciate. 

Resta, invece, ancora aperto il tema legato alla incredibile condizione nella quale sono precipitate le imprese operanti nel restante 90%, che, a partire dal mese di ottobre 2021, hanno dovuto subire, loro malgrado, non solo il rallentamento delle cessioni dei crediti fiscali ma finanche l’inspiegabile rigetto delle richieste ad opera di diverse istituzioni finanziarie primarie del Paese, nonostante l’espletamento di reiterati processi di due diligence. 

Gli interventi del Governo, ripetuti in corsa durante l’esercizio 2021 ed oggetto di ulteriore revisione nei primi mesi dell’anno 2022, hanno verosimilmente contribuito ad un clima di  incertezza, fortemente legato al rischio di corresponsabilità dell’acquirente in buona fede di un credito fiscale, che potesse successivamente risultare viziato da elementi di fraudolenza a monte, se non addirittura posto sotto sequestro dall’autorità giudiziaria. 

Probabilmente, però, al netto delle ulteriori indispensabili correzioni normative e funzionali, il fraintendimento generale resta incentrato sulla natura dell’oggetto della cessione: un diritto alla detrazione fiscale, che si completa dopo diversi anni ed è appetibile per una domanda non facilmente individuabile, se non in riferimento a pochi grandi operatori. 

La repentina sovrapposizione nel mercato di soggetti interessati esclusivamente a fare da collettori di credito da rivendere, marginando su differenziali di prezzo, non ha certo reso giustizia alla bontà di una misura, nata con tutt’altra finalità. 

Si è consentito, infatti, di trasformare la “moneta fiscale” da misura agevolativa e di incentivo a strumento gestito e negoziato da imprese assai lontane da quelle che lo hanno originato. 

Aiuterebbe invece, presumibilmente, restituire dignità all’intero impianto normativo, riducendo drasticamente i tempi di uso delle detrazioni, incentivandone la naturale fruizione in forma di compensazione ed ampliando, di conseguenza, la platea di soggetti interessati ad acquisirne i valori tra fornitori delle imprese, istituti di credito di dimensioni inferiori, imprese del comparto edile. 

Modifiche alle quali non si potrebbero fondatamente opporre conseguenze negative in termini di mancato gettito per lo Stato. 

Non si può sottacere, infatti, che siano contemporaneamente in vigore misure di sostegno alla cittadinanza, assai meno produttive, specie negli stessi termini moltiplicatori degli investimenti, di dimensioni non dissimili, che incidono negativamente sul bilancio statale, restando definitivamente a carico dell’intera comunità.