In Filigrana

di Giuseppe G. Santorsola

Bce: si può pensare che stia sbagliando politica monetaria?

Il trend discendente dell'inflazione. I profitti delle imprese che potrebbero assorbire il prevedibile e legittimo tentativo di aggancio dei salari all’aumento dei prezzi, senza innescare la temuta spirale. Ora siamo in territorio restrittivo (sopra il psicologico 4%) ed ulteriori rialzi “rischiano di provocare danni ingiustificati all’economia”. Una critica ragionata alla politica monetaria

Giuseppe Guglielmo Santorsola
santorsola

Chi mi conosce riconoscerà che, generalmente, ho quasi sempre condiviso le scelte adottate dalle Banche Centrali nel rispetto della loro funzione istituzionale. Nell’attuale situazione, propongo qualche perplessità sulla efficacia delle misure adottate nella nuova situazione eccezionale che si è manifestata dopo il febbraio 2022. In particolare, nel 2023, privo di nuove circostanze particolari, ma denso di conseguenze cumulative degli eventi precedenti.

Concentro l’attenzione sull’azione della BCE per evidenti motivi di interesse rispetto all’area economica cui appartiene l’Italia. Già nel 2009 Ben Bernanke sostenne che tempi eccezionali richiedono misure straordinarie. Ripetere l’adozione di misure ordinarie e “classiche” non corrisponde a quanto richiesto oggi ad una Banca Centrale. Tanto più nella situazione della BCE che agisce come banca centrale senza una Nazione di riferimento in un’area economica in cui 20 Paesi non dispongono di una propria Banca Centrale autonoma nelle scelte di politiche monetarie. Circostanza delicata nel contesto della prima congiuntura con inflazione dalla nascita dell’euro.

Sotto un profilo tecnico, innalzare i tassi d’interesse nelle condizioni attuali è misura largamente attesa; si può discutere se un rialzo di 425 punti base in 12 mesi sia misura eccessiva ed è di per sé un dato senza precedenti che, per giunta, si innesta su un tessuto economico già provato da una grave crisi energetica e si coordina (in senso negativo) con il progressivo rimborso dei prestiti TLTRO erogati dalla BCE alle banche. Un combinato assorbimento della liquidità immessa negli ultimi 3 anni con le politiche di bilancio restrittive connesse con il ritorno del Patto di Stabilità, riformato o no, fattore che introduce un ulteriore elemento di incertezza.

La valutazione non condivisa concerne proprio il fattore incertezza che viene trasmesso agli operatori economici attraverso le scelte di comunicazione che non corrispondono a quanto necessario per le imprese di ogni natura per affrontare scelte di investimento, approvvigionamento, budgeting e produzione. Ho spesso espresso la convinzione che nessuno desideri una recessione e che la misura modesta delle variazioni del PIL sia risultata finora migliore e più lenta di quanto temuto. Tuttavia – altra considerazione già esposta – all’avvicinarsi del 2024, il PIL dei principali Paesi UE è più o meno lo stesso registrato alla fine del 2019. Quasi metà del decennio risulta trascorso senza alcun sviluppo nell’area UE, mentre altre aree geografiche, pur rallentando, ne hanno tratto vantaggio in termini relativi. Da un punto di vista geo-politico molte nazioni stanno perseguendo proprie scelte di posizionamento e di relazione, attratte dai BRICS, allentando in prospettiva i propri rapporti con la UE e con gli USA. BRICS ed i Paesi da loro attratti, generano ormai un PIL non troppo inferiore a quello dei Paesi del G7, anche se distribuito su una popolazione superiore a 4 miliardi contro i 700 milioni di abitanti in area G7.

Ulteriormente, la UE non dispone di alcuna azienda effettivamente leader nel settore tecnologico avanzato e nel comparto delle energie alternative, condizione che mina le prospettive future. Le regole o le direttive di ampia profondità che condizionano Ue ed USA rendono difficile il recupero nei prossimi anni, Il progressivo prevalere delle regole in campo ESG, assolutamente necessarie nella prospettiva di lungo periodo, rende complesse le scelte di più corto periodo. Il timore è quello di un’area UE compliant all’Action Plan 2030, ma fragile strutturalmente.

In questo scenario, il trend di aumento dei tassi disegnato dalla BCE a partire da luglio 2022 prospetta un rischio per l’Eurozona nei prossimi mesi. Si imputa alla Bce di aver atteso ad apportare i rialzi e di aver accelerato troppo nella fase successiva; inoltre, si è enfatizzato eccessivamente in merito all’obiettivo statutario primario (il 2% del tasso target di inflazione), accantonando quello secondario (accompagnare le politiche economiche). È statisticamente vero che l’inflazione sia in trend discendente, ma non per effetto dei tassi quanto dei prezzi dei beni che ne avevano determinato la crescita. Anzi, l’effetto secondario del rialzo dei tassi genera ulteriori costi e rialzi che alimentano il perdurare di spinte inflazionistiche.

Il ciclo di rialzo dei tassi e di rimborso dei prestiti erogati dalla Bce alle banche, combinato con l’assorbimento della liquidità assolutamente sovrabbondante potrebbero progressivamente erodere fino a 5% al PIL del quarto trimestre 2024. Nello specifico, si tratta di 3,8% attribuibili all’effetto del rialzo dei tassi ed altri 1,4% causati dell’eliminazione degli aiuti per mitigare l’impatto della crisi energetica (dati Bloomberg). Sotto questo profilo, sembrano apparire oggi erronee (nel lungo periodo) le scelte attuate dal 2016 al 2022 con i tassi negativi e la accondiscendenza della politica monetaria easy, accentuate dalle esigenze monetarie sorte durante la pandemia. Una sommatoria algebrica di misura contingenti corrette con effetto cumulativo non positivo.

Se osserviamo i tassi in un contesto statistico di lungo periodo, essi sono attualmente poco sopra la media a 100 anni (che è circa il 4%) e non sono giudicabili “alti”. Sono invece saliti celermente (da 0% a 5% in 12 mesi) e in modo proporzionalmente fuori controllo (5/0 è uguale a infinito….), evidenziando un costo in tutti i beni e servizi che non era presente dall’inizio del secolo (quando i tassi UE si erano allineati al ribasso in attesa dell’attivazione dell’area monetaria dell’euro). Resta indubbio come sia più semplice risultare per una Banca Centrale accondiscendente e “easy” piuttosto che restrittiva e cara. I momenti di rialzo precedenti dei tassi hanno caratterizzato anche il 2009 e il 2011, ma partivano da livelli dei tassi non bassissimi, hanno avuto durata inferiore all’anno, sono stati gestiti da una BCE non ancora protagonista come dopo il 2012 e, non ultimo, conseguivano ad eventi economico-finanziari (crisi finanziaria e dei debiti pubblici) e non esogeni (pandemia e guerra).

Infine, è venuta a mancare la coerenza delle scelte BCE con quelle della FED che ha anticipato i rialzi dei tassi, ma in un contesto economico reale più brillante che ne consente un “atterraggio morbido” non configurabile nel contesto UE. Negli USA agiscono da stimolo per gli investimenti, nella UE da freno.

Infine, è opportuno sottolineare un altro aspetto imperfetto non suggerito anche dalla migliore stampa economica. Le scelte adottate vengono ricondotte generalmente alla Presidente della BCE (come altrettanto era durante la presidenza Draghi), mancando di sottolineare come le scelte strategiche siano di competenza del Comitato Direttivo (composto da 26 membri) e vengano gestite dal Comitato Esecutivo (composto da 6 membri). Il Presidente ha un ruolo importante nel gestire la formazione delle decisioni tattiche del CE, avendo anche un voto doppio in caso di pareggio nelle votazioni e contribuendo in modo importante al coordinamento nel CD per delinearne le scelte strategiche. L’efficacia del ruolo della Presidenza risiede proprio nella capacità di gestire la formazione delle decisioni. In quest’ambito si insinua qualche perplessità sulla efficacia nel ruolo il che impatta sulla efficienza del complesso dell’azione monetaria, manifestando la sensazione di incertezza e di non unitarietà.

In altri termini, molti commenti evidenziano l’attuale prevalere dei “falchi” rispetto alle “colombe” nel CE della BCE in ragione della diversa composizione attuale rispetto a quella in essere negli anni precedenti. In questa lettura, è opportuno segnalare come – salvo eventi diversi – questa composizione resterà in essere almeno fino al 2026 con l’ulteriore possibilità legata alla sostituzione del membro irlandese (considerabile “colomba), in scadenza nel 2024.

Alcuni altri banchieri centrali del CD hanno indicato una strada diversa, discostandosi dalla visione oggi prevalente; un rilevante punto di svolta per l’indirizzo della politica monetaria della Bce nei prossimi mesi. Partendo dalla premessa che i rialzi finora attuati erano necessari per flettere le aspettative d’inflazione ed uscire da una politica monetaria troppo accomodante, ora siamo in territorio restrittivo (sopra il psicologico 4%) ed ulteriori rialzi “rischiano di provocare danni ingiustificati all’economia”.

Infatti tutti i dati a disposizione indicano un rientro delle aspettative di inflazione, lo shock dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici è sostanzialmente assorbito (salvo spunti speculativi). La trasmissione ai prezzi al consumo di questi effetti è solo questione di tempo ed è già in atto (salvo comportamenti speculativi). Inoltre, i profitti delle imprese potrebbero aiutare ad assorbire il prevedibile e legittimo tentativo di aggancio dei salari all’inflazione, senza innescare la temuta spirale. L’evento pandemico è superato, mentre quello bellico sta cristallizzandosi nel tempo come di consueto dai tempi del Vietnam. La BCE ha un suo compito ben preciso cui attenersi, ma tutto quanto qui sinteticamente esposto induce a considerare con attenzione anche l’obiettivo secondario del suo mandato per non fallire o allungare il conseguimento del primo.