La società che ha inventato il bollino di B Corp come riconoscimento per l'impegno su ambiente e società nel business, è accusata di allentare i criteri di ammissione perché negli ultimi tempi ha ammesso nel club anche parecchie multinazionali. È la perdita dell'innocenza del mondo della responsabilità sociale? E chi ha ragione?
Il fenomeno mondiale delle B Corp è sotto esame dal mondo stesso della sostenibilità che ha contribuito a far crescere. Il fronte dei duri e puri del movimento, le società nate all’insegna della responsabilità sociale e dell’equilibrio tra il “purpose” e il profitto, non vedono di buon occhio la conquista dello status di B Corp da parte di multinazionali – come la Nestlè che l’ha conquistato per Nespresso – che fino a ieri di quei valori non sapevano che farsene. E hanno cominciato a sollevare pubbliche proteste.
Ottenere la certificazione di B Corp, cioè di impresa che sostiene un nuovo modello di business, non solo orientato a far soldi ma anche alla promozione del rispetto dell’ambiente, al benessere dei dipendenti e della comunità in cui opera, a una governance equilibrata e che è disposta a misurare queste performance e migliorarle nel tempo, anche da noi è diventato un trend. In Italia le B Corp sono già più di 200 e l’incremento si fa sempre più rapido. Come avviene anche nel resto del mondo, visto che è arrivato a 6400 il numero delle imprese che fanno parte del club.
Essere B Corp non è un titolo onorifico, perché per ottenerlo occorre superare un esame complesso su ben 200 goal, superati i quali la certificazione arriva, ma non per sempre: ogni tre anni l’esame va ripetuto e comunque il monitoraggio di B Lab Global, che attribuisce il punteggio, è continuo. Il processo dell’esame costa, a seconda dei paesi e del fatturato dell’impresa, una cifra che va dai 500 dollari ai 50 mila, ma evidentemente ne vale la pena, perché consente alle imprese di lanciare un messaggio forte sul proprio impegno di trasparenza e di miglioramento sugli obiettivi dichiarati che il pubblico valuta positivamente.
B Lab è nata 17 anni fa negli Usa come società no profit, per iniziativa di tre compagni di università. Se all’inizio calamitava più che altro piccole imprese che volevano mettere in evidenza come era diverso il loro modello di business, ora il cerchio si è allargato e ha finito per includere anche multinazionali che fino a poco tempo fa era inimmaginabile potessero passare attraverso le maglie di B Lab: società controllate da Unilever e Danone, compagnie telefoniche, grandi brand come Nespresso.
Ora le piccole aziende – molte delle quali vedevano quelle multinazionali come l’antagonista da cui differenziarsi e prendere le distanze – si chiedono se il cerchio non si sia troppo allargato. Ma B Lab ribatte che ottenere la certificazione è un impegno che va aldilà dell’immagine, che non è puro greenwashing in quanto le società devono impegnarsi a incorporare da un punto di vista giuridico nell’impresa il nuovo status e la missione che si sono dati, come avviene negli Usa, o almeno aggiungere l’impegno su ambiente e ricadute sociali nel proprio statuto, come avviene in Uk.
Poter sovrapporre il vessillo B Corp sul proprio marchio è però ciò che dà più risultati alle imprese che l’hanno conquistato: più vendite se si tratta di prodotti di consumo, messaggi pubblicitari più efficaci e in linea con lo spirito del tempo, persino maggiore attrattiva nel reclutare personale. Ma non c’è, in cambio, nessun obbligo su come usare il proprio utile o vincolo nella distribuzione dei dividendi, dicono i critici.
Chi lancia l’appello all’integrità originaria e B Lab ha già ottenuto una mezza vittoria. B Corp Global, l’organizzazione mondiale che assegna il punteggio, ha annunciato che vuole rinforzare tra gli standard richiesti 10 argomenti, che vanno dalla giusta remunerazione del lavoro ai diritti umani, alla diversità e all’inclusione, e che li renderà meno flessibili e interpretabili soggettivamente.
La stessa B Corp, pur cedendo su qualche aspetto delle critiche, va però per la sua strada: ha un arretrato di tremila domande in attesa di giudizio, ed è convinta che ormai del riconoscimento saranno in pochi a voler fare a meno. Essere B Corp conviene.