Osservatorio Banche
Banche, magico 2021

Le banche italiane si apprestano a chiudere il 2021 con risultati relativamente brillanti. Diversamente dal passato, questa volta i fattori di rischio sono prevalentemente nello scenario economico generale

Silvano Carletti
Carletti

Le banche italiane si apprestano a chiudere il 2021 con risultati contabili relativamente brillanti. Dopo le prime due trimestrali dell’anno, lo confermano con autorevolezza i conti relativi ai primi 9 mesi. L’utile dei 6 maggiori gruppi quotati (circa due terzi dell’intero circuito bancario italiano) risulta aumentato di quasi 5 mld (+123%) rispetto al corrispondente periodo del 2020. Se si vuole essere pignoli e si escludono le operazioni una tantum che alterano significativamente i conti nei due periodi, il progresso si riduce di qualche centinaia di milioni (a 4,4 mld, +90%), ma rimane comunque notevole.

Questi numeri sollecitano due domande tra loro chiaramente legate: è tutto oro quello che luccica? È un risultato che può essere confermato nel futuro? Qualcuno risponde con un ottimismo forse eccessivo (Corriere della sera: Le banche vincenti). 

Un possibile punto di partenza è il confronto internazionale. Secondo la Banca d’Italia, nel primo semestre 2021 il RoE annuale del sistema bancario italiano, al netto delle componenti straordinarie, è stato pari all’8,9% (6 punti percentuali sopra il corrispondente dato del giugno 2020). Lo stesso parametro rilevato dall’EBA (European Banking Authority) per l’insieme delle 125 principali banche europee si attesta al 7,4% con un incremento di 7 pp nei dodici mesi. 

Se si passa ad esaminare le principali voci del Conto Economico le analisi della Banca d’Italia e dell’EBA risultano largamente simili.

Per quanto riguarda il margine d’interesse si tratta di un contributo sostanzialmente nullo: +0,1% è l’incremento per le banche italiane nei primi 9 mesi del 2021. In un contesto di tassi poco variato, la dinamica di questa posta è stata influenzata dalla stasi dei volumi del credito (-0,1%) che riflette il forte incremento del 2020 largamente favorito dall’accesso alla garanzia pubblica. Se nel 2020 questa politica di sostegno ha favorito il finanziamento bancario rispetto alla raccolta con titoli di debito, nel 2021 si sta assistendo ad una robusta ripresa della raccolta obbligazionaria (i collocamenti lordi delle imprese italiane nei primi  nove mesi hanno raggiunto i 51 mld, un valore storicamente elevato).  

Sul margine d’interesse pesa anche l’eccesso di liquidità che caratterizza attualmente le banche italiane: a novembre la liquidità in eccesso rispetto alla riserva obbligatoria ammontava a circa 400 mld (95 mld in più rispetto a marzo); il suo mantenimento presso l’Eurosistema ha originato nel 2021 un costo di 1,1 mld, quasi 4 volte quello rilevato nel 2020 (280 mln).

Nel formulare qualunque previsione si deve considerare il rilevante accumulo di liquidità di famiglie e imprese, circostanza che ovviamente condiziona la dinamica del credito. Tra fine 2019 e giugno 2021 le imprese hanno incrementato le loro disponibilità liquide di oltre 100 miliardi.

Nel recente recupero di redditività ugualmente poco rilevante è stata la dinamica dei costi che anzi nel caso italiano sono aumentati (+ 7,3% nei nove mesi 2021 per le sei maggiori banche quotate). 

I processi di trasformazione della struttura operativa attualmente in corso di realizzazione da un lato richiedono importanti investimenti, dall’altro determinano significative riduzioni di spese solo nel medio termine. Nell’immediato, quindi, le loro ricadute sul conto economico sono sfavorevoli. I numeri del BPM documentano bene lo spessore del ridisegno strutturale della macchina operativa in cui molte banche sono impegnate: nel 2017 la rete BPM contava circa 2250 sportelli, oggi scesi a 1430, 150-200 dei quali saranno chiusi entro il 2024; le operazioni gestite on-line dalla clientela erano il 74% del totale nel 2019, oggi l’83%, con l’obiettivo di superare il 90% nel 2024; il tutto supportato da investimenti in IT che dai 100 mln del 2020 dovrebbero salire a 170 mln annui nel triennio 2022-24. 

I ricavi da commissione hanno invece fornito un contributo decisamente importante alla crescita dei proventi, contributo decisamente più rilevante per le banche italiane di quanto non si rilevi per la media delle banche europee. Se si guarda al progresso del RoE annuo nella prima metà dell’anno, l’apporto delle commissioni è pari ad oltre un quarto nel caso delle banche italiane (1,7 su un totale di 6 punti percentuali), solo un sesto per l’ampio campione esaminato dall’EBA (1,3 su un totale di 7 pp).

Nei primi 9 mesi del 2021 la crescita delle commissioni nette spiega oltre due terzi della crescita del totale dei ricavi delle maggiori banche italiane e per 4 di questi 6 gruppi l’ammontare delle commissioni nette supera il margine d’interesse. L’esistenza di ulteriori ampi spazi di crescita è ben percepita dalle maggiori banche italiane che hanno individuato proprio in questa tipologia di ricavi uno dei principali driver dei loro piani di sviluppo.

La componente che più ha contribuito al miglioramento del risultato finale è certamente la riduzione delle rettifiche. In questo caso le indicazioni della Banca d’Italia e dell’Eba sono convergenti anche sul piano quantitativo: per entrambe, a questa posta contabile si deve circa il 60% dell’incremento del RoE netto. A propiziare questa favorevole evoluzione molte circostanze con tre ben al disopra delle altre: l’efficace contrasto del contagio e la conseguente generale ripartenza economica; l’ampia azione di risanamento del portafoglio portata avanti negli anni pre-pandemia; l’ampio volume di accantonamenti prudenziali effettuati lo scorso anno per fronteggiare le possibili ricadute della pandemia. Tutte e tre destinate a non evaporare rapidamente.

Considerevole la forza della ripartenza economica italiana: la crescita reale del Pil dovrebbe risultare prossima al 6% per l’anno in corso e superiore al 4% nel prossimo. Nel sondaggio congiunturale della Banca d’Italia, la quota delle imprese che si attende di chiudere l’esercizio in utile è pari al 71%, 9 pp in più rispetto al 2020 e poco inferiore al dato degli anni precedenti.

Le banche italiane hanno affrontato lo shock economico determinato dalla pandemia muovendo da una posizione complessivamente solida per quanto riguarda la qualità degli attivi. Rispetto al picco del 2015 lo stock degli NPL risulta ridotto di oltre due terzi; l’incidenza nel portafoglio dei prestiti irregolari al netto delle svalutazioni è scesa dal 7% del 2015, al 2% del 2020, con quasi chiusura del gap rispetto alle banche significative europee (da 6 ad appena mezzo punto percentuale). Anche nel 2020 l’insieme delle posizioni in sofferenza cancellato dai bilanci (25 mld) ha largamente ecceduto il flusso delle nuove sofferenze (8 mld).  

Prevedendo un deciso deterioramento della qualità del loro portafoglio prestiti, non diversamente dal resto dell’Europa, nel 2020 le banche italiane hanno incrementato le rettifiche in misura rilevante (+33%, 4,3 mld in più). Pur essendo la situazione generale ancora lontana dalla normalità, molti elementi autorizzano a guardare al futuro con un’intonazione meno negativa, giustificando un ritorno a stanziamenti non troppo diversi da quelli prevalenti negli anni pre-pandemia. 

Il riassorbimento delle moratorie, ad esempio, sta avvenendo senza  tensioni. Da marzo 2020 sono state approvate circa 2,6 milioni richieste di moratoria, per un importo di 271 mld; a metà novembre 2021 quelle ancora in corso erano appena un quinto (537mila) per un totale di 60 mld (48 riferibili alle imprese, 8 alle famiglie produttrici e consumatrici). La quasi totalità di quelli che hanno concluso la moratoria ha ripreso a pagare regolarmente; tra quelli che ne beneficiano ancora  circa un quarto ha richiesto una proroga. 

Per quanto riguarda i prestiti da classificare allo stadio 2 secondo la norma contabile IFRS 9 (significativo aumento del rischio di credito) si registra a giugno 2021 un evidente rallentamento nel ritmo di crescita. Questa constatazione ha però bisogno di due qualificazioni: la prima è che per le banche significative l’incidenza sul totale dei crediti in bonis (15,9%) supera di circa 4 punti quella media dell’area dell’euro; la seconda è che questo insieme di crediti a rischio è cresciuto del 35% per le banche minori. 

Nell’insieme il sistema sta tenendo meglio di quanto non avvenuto nelle due recessioni precedenti, merito anche della più fornita cassetta di strumenti predisposta nel tempo dalle autorità, a cominciare dalle GACS (Garanzie sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze) introdotte nel 2016: nell’ultimo quinquennio la loro presenza ha facilitato il perfezionamento di 27 operazioni per un valore lordo di libro di circa 75 mld (il 40% di tutte le operazioni di cessione di NPL effettuate nel periodo).