Le leve strategiche per ottenere una redditività adeguata e sostenibile nel tempo sono diverse tra banche grandi e piccole? L'efficienza operativa tra le top performer e le altre è cambiata nel corso di vent'anni? E qual è l'indicatore chiave per spiegare la differenza tra le banche migliori e quelle peggiori? Uno studio dà le risposte
Uno dei temi più dibattuti in ambito bancario è il ruolo della dimensione nella determinazione della performance di una banca. L’idea generale è che le banche di maggiori dimensioni siano più efficienti, mentre quelle più piccole siano più abili nell’offrire servizi personalizzati e nel rispondere meglio alle esigenze del territorio di riferimento. I policy maker, da un lato, attribuiscono valore alle operazioni di consolidamento, partendo dal presupposto che una maggiore integrazione finanziaria possa favorire il trasferimento del rischio e la stabilità sistemica. Allo stesso tempo, tuttavia, alle autorità è chiara l’importanza di preservare una certa “biodiversità” all’interno del sistema bancario, riconoscendo il ruolo delle istituzioni di dimensioni minori.
In questo dibattito si inserisce la nostra ricerca, il cui obiettivo è investigare la relazione tra dimensione e redditività bancaria. Come noto, il presidio della redditività, pur esprimendo solo un aspetto della performance bancaria, è cruciale, poiché l’equilibrio economico rappresenta un pilastro fondamentale dell’equilibrio gestionale di una banca. Banche più redditizie tendono a essere più solide patrimonialmente, sia per effetto dei maggiori utili reinvestiti, sia per la capacità di attrarre capitale sui mercati.
Questo spiega perché il rispetto delle condizioni di redditività sia un obiettivo perseguito non solo dalle singole banche, ma anche dalle autorità di supervisione, dal momento che condizioni di scarsa redditività protratte nel tempo possono incentivare pratiche subottimali, come comportamenti eccessivamente prudenti o, al contrario, strategie troppo rischiose. La combinazione di questi fattori compromette l’allocazione efficiente delle risorse, mina l’efficacia della trasmissione degli impulsi di politica monetaria e mette a rischio la stabilità sistemica. Contestualmente, il supervisore richiede alle banche di perseguire obiettivi di redditività “sostenibili” nel tempo, evitando strategie di breve termine che potrebbero comportare l’assunzione di rischi eccessivi.
Quali fattori distinguono le banche che ottengono performance migliori (top performers) rispetto alle altre? Qual è il ruolo della dimensione nello spiegare i differenziali di redditività tra le migliori e le peggiori?
Per rispondere a queste domande, abbiamo analizzato un ampio campione di banche europee, simili per modello di business (tutte orientate all’intermediazione creditizia tradizionale), ma diverse per dimensione (minori, piccole, medie e grandi, classificate in base al valore degli attivi). L’analisi copre un arco temporale di vent’anni, includendo fasi di crescita (2000-2006), di estrema turbolenza (il doppio shock della crisi finanziaria globale e della crisi del debito sovrano: 2007-2012) e il periodo successivo alle crisi (2013-2019). Si tratta di un orizzonte sufficientemente lungo da incorporare non solo fasi diverse del ciclo economico, ma anche dell’evoluzione della politica monetaria, considerando che il tasso di riferimento della BCE è passato dal 4,75% nel 2000 allo 0% nel periodo 2015-2019.
L’idea di base è stata quella di confrontare le caratteristiche distintive (a partire dalla dimensione, ma non solo) delle banche top performers rispetto a quelle caratterizzate da livelli di redditività inferiori a una certa soglia (il valore mediano del RoE e del RoA). Il concetto di top performer è definito sulla base della redditività di ciascuna banca rispetto a tale valore di riferimento, sia considerando l’intero campione, sia confrontando le banche all’interno della propria classe dimensionale. Tra le caratteristiche prese in considerazione, oltre alla dimensione, figurano la capitalizzazione, la struttura della raccolta, la tipologia dei ricavi, la qualità del portafoglio prestiti, l’efficienza operativa e l’assetto istituzionale.
L’analisi dell’evoluzione della redditività bancaria nel ventennio considerato ha evidenziato una serie di fatti interessanti. Il differenziale di performance tra banche di dimensioni diverse (a vantaggio delle banche grandi) è concentrato negli anni pre-crisi. Anche banche di dimensioni minori figurano tra le top performers. L’indicatore che si è rivelato più rilevante nello spiegare la differenza tra le banche migliori e quelle peggiori è il cost-to-income ratio. Il gap di efficienza operativa tra le banche top performer e le altre è rimasto sostanzialmente invariato nel corso dell’intero ciclo economico.
Fino a che punto la probabilità di una banca di registrare livelli di redditività superiori rispetto alle concorrenti dipende dalla dimensione?
I risultati della ricerca mostrano chiaramente che l’appartenenza a una specifica classe dimensionale non aumenta la probabilità di essere una banca top performer. Indipendentemente dalla dimensione, efficienza e qualità del credito risultano i principali fattori associati a livelli elevati di redditività. Inoltre, anche confrontando banche della stessa classe dimensionale, la probabilità di essere una top performer (all’interno di quella specifica categoria) resta strettamente legata alla capacità di gestire i costi operativi e il rischio di credito. In definitiva, dunque, le leve strategiche per ottenere una redditività adeguata e sostenibile nel tempo risultano le stesse sia per le banche di maggiori dimensioni, sia per quelle più piccole.
*La versione integrale dell’articolo è pubblicata sull’ultimo numero di Rivista Bancaria