Banca di interesse nazionale

L’espressione banca di interesse nazionale (acr.: BIN) definiva, all’interno della più ampia categoria delle “aziende di credito”, quelle banche caratterizzate dalla duplice circostanza di essere costituite in forma di società per azioni e di avere una organizzazione di carattere territoriale particolarmente ampia (filiali in almeno trenta province). Ai sensi dell’art. 49 r.d. 12.3.1936 n. 375, convertito in l. 7.3.1938 n. 141 (abrogato prima con l’art. 49 d.lg. 1992/ 481, poi con l’art. 161, comma 1 del TUBC) la qualifica di BIN veniva riconosciuta, previa verifica circa la sussistenza di entrambi i requisiti di cui sopra, mediante un decreto del Ministero del Tesoro, sentito il CICR.

A norma dell’art. 103 della l.b. la qualifica in questione era attribuita alla Banca Commerciale Italiana, al Credito Italiano e al Banco di Roma La maggioranza assoluta del capitale di queste tre banche era in mano all’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale). Quanto al regime giuridico applicabile, ai sensi dell’art. 26 ss. l.b. esse erano parzialmente sottratte alla disciplina dettata dal codice civile per le società per azioni. L’art. 26 vietava alle BIN l’emissione di azioni al portatore (già prima, quindi, dell’introduzione del principio di nominatività obbligatoria dei titoli azionari ad opera della legge del 1962).

Inoltre, lo statuto delle BIN era soggetto ad approvazione del Ministro del tesoro, sentito il C.I.C.R. (art. 27, co. 1) e le relative modifiche potevano essere iscritte nel registro delle imprese solo previa approvazione governativa. (art. 27, c. 2). Queste peculiarità avevano fatto sì che molta parte della dottrina riconoscesse alle BIN natura pubblicistica. Ciò anche perché erano collocate, all’interno della l.b., nella stessa sede dedicata agli istituti di credito di diritto pubblico ed erano sottoposte ad alcune norme dettate per questi ultimi, come p.e. l’assoggettamento degli statuti all’approvazione governativa. Tuttavia, è più esatto ritenere, insieme alla più moderna dottrina, che la disciplina giuridica delle BIN, considerata nel complesso, fosse più coerente ad una natura privatistica.

Le uniche deroghe alla disciplina del codice civile erano quelle strettamente necessarie a tutelare l’equilibrio del sistema creditizio. Taluni autori, poi, hanno ritenuto che le BIN fossero un “tipo nuovo” di società, perché in questi termini si esprimeva la Relazione al Re sul codice civile al n. 191. Secondo questa ricostruzione, le BIN dovevano considerarsi società per azioni “speciali” in quanto strumento della politica economica statale. Questa interpretazione è da escludere con sicurezza, per gli stessi motivi per cui è da escludere la loro configurazione quali enti di diritto pubblico.