MERCATI
Attenti al rischio inflazione

intervista a LUCA DE BIASI wealth business leader di Mercer Italia

Le banche centrali, a cominciare dalla Fed, considerano l'aumento dell'inflazione un fenomeno transitorio. Ma il rialzo dei tassi sui bond governativi e altri indicatori rappresentano un'altra aspettativa dei mercati. Un esperto spiega perché si rischia di intervenire quando sarà troppo tardi. E come difendere i propri investimenti

Paola Pilati

Rassicurare, troncare sopire… Sul rischio inflazione la Federal Reserve sembra ispirarsi al Manzoni: sebbene l’indicatore dei prezzi abbia rialzato la testa e abbia messo in fibrillazione i mercati, i banchieri centrali smorzano e parlano di un fenomeno transitorio. Niente di preoccupante, dunque. 

Eppure la quiete è tutt’altro che regnante tra i gestori dei grandi fondi di investimento, tra gli advisor dei patrimoni, tra chi ha messo i suoi risparmi in Borsa: «Se riparte l’inflazione il mercato prende una bella botta», afferma Luca De Biasi, wealth business leader di Mercer Italia, «la Borsa ha la capacità di inglobare l’inflazione quando è normale e abbastanza contenuta. Ma quando il processo è rapido e diventa velocemente iperinflazione, il mercato azionario passa il classico brutto quarto d’ora…».

Come mai da un contesto di tipo deflazionistico lo scenario è così cambiato, con la brusca frenata dei titoli tecnologici, lo scivolone delle criptovalute, i tassi dei bond in risalita? Come spiega quello che sta accadendo?

«La correzione del mercato è arrivata proprio sui dati dell’inflazione, che da sei mesi a questa parte ha rialzato la testa. Negli Usa la breakeven inflation a 10 anni oggi è al 2,43 per cento mentre l’anno scorso era all’1,99. E non è un fenomeno solo americano: in Germania lo stesso indicatore è a 1,36, ben sopra lo 0,91 dell’anno corso. Segno che i mercati non credono che sia un fenomeno tanto transitorio».

Ma in questo caso le banche centrali hanno i mezzi per intervenire.

«Quello che preoccupa il mercato è proprio il fatto che si sottovaluti il fenomeno: se è transitorio, le banche centrali non saranno disposte a toccare i tassi. Ma intanto nell’economia reale i prezzi alla produzione sono saliti e le aziende li trasferiscono a valle per non erodere i propri margini. E il passo degli aumenti che stiamo osservando è molto veloce. Anche perché la ripresa è molto veloce».

Insomma si pensa che le banche centrali si possano far prendere alla sprovvista…

«Se uno guarda i numeri, l’inflazione sta già creando problemi, tant’è vero che i tassi delle obbligazioni governative stanno salendo. I Bund erano meno 0,30 qualche tempo fa, ora meno 0,16, dunque in risalita. Il Btp è salito all’1,18 per cento e ora sta intorno all’1. Il Tresury Usa è a 1,7. I tassi salgono perché c’è preoccupazione per il timore che la politica monetaria non possa governare questa situazione. Che non riesca cioè a uscire dagli stimoli monetari perché è ostaggio del mercato: è bastato che la Fed parlasse di una piccola marginale di idea di intervento, che i mercati hanno reagito e messo le cose in chiaro».

Qual è la sua opinione sull’inflazione?

«Secondo me è un fenomeno un po’ più strutturale, che va tenuto a bada con un intervento coraggioso di politica monetaria, cioè rendendola meno espansiva. Questo creerà problemi a certi asset finanziari, quelli con delle valutazioni troppo spinte, prodotte proprio grazie all’interpretazione delle banche centrali».

Negli Usa il finanziere Ray Dalio parla addirittura di un futuro inflazionistico, in cui i contanti saranno “spazzatura”. Non è un po’ eccessivo?

«I tassi di inflazione si autoalimentano. E quando l’inflazione riparte è difficilmente controllabile. Oggi una causa è sicuramente monetaria, perché c’è troppa liquidità in giro. Ma c’è anche un altro fattore: un eccesso di domanda molto concentrata e molto limitata nel tempo. Siamo usciti dalla pandemia e vogliamo tutti le stesse cose, andare al ristorante, in vacanza… c’è una domanda fortissima di beni e servizi, il Covid ha bloccato alcune fabbriche come quelle dei semiconduttori, non ci sono i container, la domanda che prima era spalmata in quattro mesi ora si concentra in una settimana. Senza contare gli stimoli fiscali. Le banche centrali a un certo punto dovranno precipitarsi a rimodulare gli stimoli, ed è per questo che i mercati sono un po’ ondeggianti».

Cosa sta succedendo al mercato dei bond?

«Per ora non c’è una fuga. Quando il Bund si avvicinerà alla parità sarà un momento importante. Ora i Treasury sono all’1,7, mentre il decennale tedesco è allo 0,13 per cento. Ma penso che sia destinato ad aumentare. Come ci si difende? Prima di tutto avendo il coraggio di andare sulle obbligazioni “inflation linked”, che non rendono nulla ma ti difendono dall’inflazione; la seconda mossa è quella di sottopesare la parte lunga della curva, tenendosi su scadenze molto brevi; terzo, cercare nel mondo obbligazionario con una strategia non legata ai tassi di interesse».

Lei crede nell’investimento nelle criptovalute?

«No, non le vedo come una asset class».

La differenza tra titoli “value” e titoli “growth” è sempre valida? E su quali puntare?

«È più che mai valida. Se si pensa che i tassi possano salire, i titoli growth non sono più adatti. Prendiamo i titoli tecnologici, che hanno avuto una grande performance. Questi titoli hanno una proxy di duration molto lunga perché rispetto ai titoli value non distribuiscono i dividendi, è come se fossero degli zero coupon bond, ma puntano sull’apprezzamento in conto capitale. Ebbene, con i tassi più alti questi titoli possono essere sfavoriti. È il momento di tornare sulla parte value dei listini. Anche perché le valutazioni di Borsa sono molto alte, mentre i titoli value hanno una quotazione più bassa e offrono un margine di sicurezza all’investitore».

I titoli value di oggi sono diversi da quelli del passato, tipo le Generali?

«Il titolo value è un concetto: un valore non altissimo rispetto al prezzo di mercato, e la distribuzione di buone cedole. Quando ai segmenti, sono quelli di sempre: farmaceutici, utilities, assicurazioni. Certo, se vent’anni fa lo era la General Electric, oggi non lo è più».

E i tecnologici, la robotica, l’intelligenza artificiale? Insomma tutti quei settori che sembrava assicurassero grandi prospettive?

«Sono scelte tematiche. E poiché sono i temi del futuro, sono scelte intelligenti da fare. Ma nel lungo periodo e con molta pazienza».