approfondimenti/politica economica
Asset quality review: un caso di harakiri politico

L’analisi della Banca centrale europea determinerà le necessità di ricapitalizzazione delle banche. Con le regole decise a Cannes nel 2011 il sistema italiano sarà penalizzato. E la nostra economia ne pagherà a lungo le conseguenze

Antonio Taverna

Fra qualche settimana si conosceranno gli esiti dell’Aqr ( Asset quality review) delle banche europee e sapremo se saranno necessarie nuove ricapitalizzazioni.

In attesa di conoscerne il risultato, che questa volta sarà prevalentemente legato alla recuperabilità dei crediti concessi alla clientela, è opportuno soffermarsi per una riflessione sul ruolo della politica nelle decisioni che furono prese quando si adottarono le nuove regole per la determinazione del capitale regolamentare delle banche. Regole i cui effetti hanno già comportato la necessità di ricapitalizzazione delle banche europee negli ultimi anni.

Nel 2011, il Consiglio Europeo di fine ottobre e il G-20 tenutosi a Cannes nei giorni successivi hanno sancito che le regole adottate dall’Eba per gli stress test dovevano essere adottate per l’effettiva determinazione del patrimonio regolamentare delle banche e, in particolare, il criterio mark-to-market doveva essere applicato per la valutazione dei titoli di Stato, inclusi quelli che le banche detengono sino a scadenza. L’effetto di quest’ultima regola è stato l’immediato disastro per le banche dei Paesi periferici che hanno dovuto svalutare i titoli di Stato; non solo quelli della Grecia, paese che era sotto tutela e all’origine della decisione.

Il Presidente della Consob in un’audizione alla Commissione Finanza e Tesoro del Senato nel marzo 2012 coglieva puntualmente gli aspetti penalizzanti delle nuove regole per il sistema bancario italiano.

Nell’intervento indicava sia le critiche per l’applicazione del criterio mark-to-market, sia gli effetti negativi per le nostre banche connessi alla diversità dei criteri utilizzati per il calcolo del coefficiente patrimoniale nei vari paesi dell’Ue. Inoltre, egli non mancava di commentare il diverso metro usato dall’Eba per la valutazione dei titoli illiquidi rispetto a quelli di Stato, cioè ha consentito che non fosse applicato per la loro valutazione il mark-to-market. Questi titoli sono massicciamente presenti nei bilanci delle banche francesi e tedesche e non in quelli delle banche italiane. Si tratta di qualche miliardo di euro in più o in meno nel patrimonio regolamentare.

Dal testo dell’intervento si coglie la solita triste realtà: la politica italiana al momento delle decisioni era assente o distratta da altro. Il Consiglio Europeo e il G-20 sono organismi politici ed è impensabile che nel frangente la burocrazia ministeriale, che tra l’altro vigila sulle Fondazioni bancarie, non avesse rappresentato gli effetti di quanto si andava a decidere; soprattutto considerando che dopo qualche mese la Consob dava un commento circostanziato sugli effetti negativi delle nuove regole. Neppure il Governo tecnico nato immediatamente dopo Cannes ha saputo porvi riparo.

L’impressione è che a Cannes il Paese abbia fatto harakiri, mentre la politica proclamava la solidità delle banche e il benessere delle famiglie e dei ristoranti.

Purtroppo quelle decisioni sono come un virus i cui effetti sono difficilmente immunizzabili. L’economia italiana sarà vulnerabile lo sarà ancora per tanto tempo, sia per l’enorme debito pubblico sia per il carattere banco-centrico del sistema imprenditoriale, sia per la sua incapacità a tutelare gli interessi del paese.

Le forze centrifughe che nel Paese criticano l’Ue non hanno difficoltà a trovare elementi di supporto anche nel mondo delle banche, gli argomenti non mancano. Ad esempio si deve notare che la flessibilità che l’Ue nega alla politica economica, è, come detto, consentita nei fatti all’applicazione delle regole bancarie. Non solo la Germania e la Francia, ma anche la Gran Bretagna e altri paesi nordici ne traggono vantaggi, o quantomeno altri paesi, tra cui l’Italia, sono penalizzati dalla stretta osservanza delle regole.

Probabilmente sarà così anche per i risultati dell’Aqr; ciò anche se non ci sarà bisogno di ricapitalizzazioni. Sarà sufficiente che il patrimonio regolamentare calcolato con le regole italiane sia più alto di quello determinabile applicando le regole vigenti in altri paesi per concretare un’asimmetria penalizzante per il sistema economico italiano. Ne conseguiranno svantaggi per la provvista, per l’erogazione del credito e quindi per le imprese, non ultimo per la concorrenza, pietra miliare dell’Ue.

Il Ministro Padoan sarà in grado di riuscire là dove altri hanno fallito e ottenere l’omogenea applicazione delle regole almeno nell’Ue?

In fondo, l’Italia è tra i paesi dove il risparmio delle famiglie è ancora un’attività importante mentre il loro debito è più contenuto rispetto alla gran parte dei paesi dell’Ue. Sono peculiarità che al tavolo dell’economia europea sono conosciute ma non sufficientemente valorizzate.

Certo, qualcuno anteporrà il tema delle riforme, indispensabili pure nel settore del credito. Basti pensare che le banche italiane rappresentano circa il 10% delle banche soggette all’Aqr, di gran lunga la più folta presenza nazionale, e chiedersi perché non si è proceduto alla concentrazione come negli altri paesi. Tuttavia, il bisogno di riforme di alcune economie nazionali non giustifica le asimmetrie regolamentari tra le banche europee e nemmeno si capisce perché le  regole dell’Aqr non debbano valere per tutte, siano esse, grandi o medie o piccole. Potrebbe succedere che l’esplosione di una bolla nei paesi “virtuosi” produca effetti disastrosi sulle banche locali non soggette alle verifiche Eba/Bce. Allora tutti i ventotto paesi dell’Ue saranno chiamati a sostenere direttamente o indirettamente i costi per la protezione dei depositanti; la crisi dei sub-prime insegna.