Nel mese di marzo 2020 la nuova produzione di polizze vita individuali si è ridotta del 45,6% rispetto allo stesso mese del 2019; si prevedono decrementi anche nei rami danni. A fronte del calo del volume di attività, le imprese assicuratrici sono chiamate, nonostante le indubbie difficoltà operative determinate dall’emergenza, a rispettare gli impegni e a offrire supporto e liquidità ad agenti e clienti. Per questi motivi, è necessaria per le imprese una pianificazione della liquidità realistica e completa, e andrà valutato a livello europeo se non permettere anche alle imprese di assicurazione di approvvigionarsi di liquidità direttamente presso la BCE.
L’ultimo decennio ha rappresentato, per l’industria assicurativa italiana, un periodo di crescita e di profonde trasformazioni. All’aumento dei bisogni di protezione da parte di famiglie e imprese si sono affiancate molteplici sfide – da uno scenario prolungato di bassi tassi di interesse alla rivoluzione digitale, dall’invecchiamento della popolazione al mutamento climatico, dall’evoluzione regolamentare alla comparsa di nuovi competitor – che hanno accelerato i tempi del cambiamento del settore e reso necessaria una rapida azione di adattamento da parte delle imprese.
Dal punto di vista prettamente quantitativo, gli ultimi dieci anni hanno registrato un aumento del fatturato, passato dai 117,8 miliardi di euro di premi nel 2009 agli oltre 140 miliardi nel 2019. L’incidenza della raccolta premi rispetto al PIL è lievemente aumentata nel periodo, passando dal 7,7% al 7,9%.
L’assicurazione vita, pur con diverse oscillazioni annuali, ha visto i premi passare, nel decennio considerato, da 81,1 a 106 miliardi di euro, con una crescita di oltre il 30%; l’incidenza sul PIL è aumentata dal 5,3% al 6%.
L’assicurazione danni, per contro, ha evidenziato un decremento complessivo dei premi, passati dai 36,7 miliardi del 2009 ai 34,3 miliardi del 2019. Un andamento, quest’ultimo, condizionato fortemente dal calo dei premi nel settore della r. c. auto, il più importante fra i rami danni. L’incidenza dei premi danni sul PIL si è ridotta dal 2,4% all’1,9%, un valore molto contenuto nel confronto con principali Paesi europei.
Il forte sviluppo dell’assicurazione vita ha rafforzato il ruolo del settore nell’ambito dell’allocazione del risparmio degli italiani: il peso delle riserve tecniche sullo stock complessivo di attività finanziarie delle famiglie, infatti, è salito dal 10,7% del 2009 al 17% circa del 2019, a testimonianza del gradimento crescente per i prodotti assicurativi da parte dei risparmiatori.
Alla fine del 2019, i prodotti tradizionali, di ramo I, hanno rappresentato il 68,5% dei premi vita; i prodotti di tipo linked, di ramo III, il 26,3%. In termini di riserve tecniche, i prodotti di ramo I incidono per il 72% sul totale, quelli di ramo III per il 22%.
Nel decennio considerato, la tendenziale riduzione dei tassi di interessi e l’entrata in vigore delle regole di Solvency II hanno rappresentato un potente incentivo all’innovazione dell’offerta. Sono stati introdotti, ad esempio, i cosiddetti prodotti multiramo, i cui premi sono investiti in parte in gestioni separate e in parte in unit-linked, caratterizzati da asset allocation diversificate. Lo sviluppo di tali prodotti è stato particolarmente significativo nella seconda metà del decennio: la loro incidenza sulla nuova produzione vita è stata, nel 2019, pari al 40%.
Per quanto concerne i rami danni, è da segnalare innanzitutto la significativa contrazione dei premi nel ramo r. c. auto, passati dai quasi 17 miliardi del 2009 ai 13,2 miliardi del 2019.
A tale andamento ha concorso una serie di fattori, in primis la crescente concorrenza fra le imprese.
Si è altresì verificata una riduzione tendenziale della sinistrosità, favorita dalla maggiore sicurezza dei veicoli, dallo sviluppo della tecnologia, dall’introduzione di alcuni provvedimenti legislativi che hanno consentito un più oggettivo controllo sul costo dei sinistri (si pensi, ad esempio, alla norma che ha previsto l’obbligo di accertamento strumentale per le lesioni fisiche di lievi entità).
È da sottolineare, inoltre, il forte impatto avuto dall’evoluzione tecnologica, che ha incentivato l’innovazione di prodotto e di servizio. L’esempio più evidente è la diffusione delle scatole nere sui veicoli, il cui sviluppo è stato particolarmente rapido: se agli inizi del decennio l’incidenza dei contratti assicurativi con scatola nera era al di sotto del 5%, nel 2019 era circa del 22%.
Nel complesso, si è avuto nel ramo r. c. auto un prolungato trend discendente dei prezzi unitari delle coperture: da marzo 2012 a dicembre 2019 i premi medi praticati sono diminuiti di circa il 29%. Questa riduzione dei premi si è accompagnata con una redditività positiva, benché decrescente. Si è perciò realizzato un virtuoso avvicinamento del sistema italiano a quelli dei principali Paesi europei, nonostante il persistere di alcuni fattori strutturali che mantengono più elevato il costo dei sinistri.
Per quanto riguarda l’evoluzione dell’assicurazione danni diversa da quella r. c. auto, gli ultimi anni hanno evidenziato un contenuto ma costante incremento della raccolta. Pari a 19,7 miliardi di euro nel 2009, i premi hanno oltrepassato i 21 miliardi nel 2019. Il tasso di crescita delle coperture non auto, modesto nella prima parte del decennio, è andato via via accelerando, grazie alle politiche di prodotto innovative delle imprese, favorite dall’innovazione tecnologica e dalla crescente spinta del canale bancario. Resta, in ogni caso, un significativo gap di protezione rispetto ai principali Paesi europei, come attesta un rapporto tra premi non auto e PIL che in Italia si aggira intorno all’1%, meno della metà di quanto si riscontra all’estero.
Con riguardo ai profili distributivi, il modello di bancassicurazione nel settore danni ha preso piede più recentemente rispetto ai rami vita e registra un’incidenza ancora contenuta rispetto agli altri canali. Tuttavia, dal 2009 ad oggi la quota della raccolta di premi danni mediante sportelli bancari e postali, rispetto al totale danni, è passata dal 2,9% al 7,5%.
Sul fronte regolamentare, nello scorso decennio si sono registrati numerosi interventi, il più ampio dei quali è rappresentato da Solvency II. Entrato in vigore il 1° gennaio 2016, il nuovo regime di vigilanza prudenziale ha comportato una serie di rilevanti novità rispetto al sistema previgente. Fra di esse, una valutazione market-consistent delle poste di bilancio, un calcolo dei requisiti patrimoniali di tipo risk-based, nuovi requisiti di governance, di risk management e di informativa alla vigilanza e al mercato. Si è trattato di una riforma radicale che ha reso necessari numerosi cambiamenti all’interno delle imprese pressoché in tutte le aree gestionali. L’industria assicurativa italiana si è fatta trovare pronta all’avvio del nuovo regime, sia dal punto di vista operativo sia dal punto di vista patrimoniale.
Nonostante uno scenario economico e finanziario non facile, soprattutto a partire dalla grande crisi di dieci anni fa, gli assicuratori italiani sono riusciti a mantenere una soddisfacente redditività (il ROE è risultato negli ultimi anni superiore a quello medio europeo del settore) e un’adeguata solidità patrimoniale. Sotto quest’ultimo profilo, gli indicatori di solvibilità, anche dopo l’entrata in vigore di Solvency II, si sono mantenuti a livelli di sicurezza; i risultati degli stress test periodici svolti a livello europeo attestano la capacità delle imprese italiane di far fronte a scenari avversi molto severi e di garantire l’adempimento degli impegni nei confronti degli assicurati nel lungo periodo. Questa solidità, del resto, ha consentito al settore di attraversare le due grandi crisi finanziarie, nel 2007-2008 e nel 2011-2012, senza evidenziare criticità sostanziali.
Gli investimenti degli assicuratori italiani – superiori a 900 miliardi di euro – registrano ancora un peso significativo dei titoli di Stato italiano. È in atto da alcuni anni, peraltro, un processo di diversificazione del portafoglio che vede ridursi l’incidenza dei titoli di Stato italiani in favore di altre tipologie di attivi (titoli di Stato esteri, corporate bonds, fondi comuni).
In sintesi, la situazione dell’assicurazione in Italia all’inizio del 2020 era quella di un settore ancora in crescita, con ampie possibilità di sviluppo nel comparto dei prodotti danni non auto; un settore caratterizzato da una cospicua mole di investimenti e da una solida posizione patrimoniale.
In tale contesto è subentrata la crisi dovuta al diffondersi del contagio da coronavirus, un elemento in grado di determinare la più rapida e profonda recessione del mondo occidentale nella storia moderna e, perciò, di cambiare significativamente lo scenario economico, finanziario e sociale in cui le imprese di assicurazione devono operare.
Dallo scorso marzo gli effetti della pandemia di Covid-19 si stanno violentemente ripercuotendo sugli andamenti delle economie di tutti i Paesi.
Secondo le previsioni del FMI, il PIL dei Paesi avanzati potrebbe diminuire nel 2020 di oltre il 6%, come risultato di una fortissima caduta nella prima metà dell’anno, seguita da un recupero nella seconda metà; per il 2021 si avrebbe un’accentuata ripresa, pari al 4,5%, ma non si ritornerebbe al valore precedente la diffusione del virus. Le previsioni del Fondo monetario sono ancora più negative per l’area dell’euro e, in particolare, per l’Italia, dove anche il Governo stima una caduta del PIL dell’8% e un aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL a oltre il 150%.
L’intervallo di variazione delle previsioni economiche è enorme, come forse mai sperimentato in passato. È però diffusa la consapevolezza che la rapidità del recupero dipenderà in misura cruciale, oltre che dalla capacità di limitare il contagio e sconfiggere il virus, dalla tempestività ed efficacia delle misure di politica economica in corso di introduzione in Italia, in Europa e a livello mondiale. In ogni caso, alla fine di questo periodo il livello dei debiti pubblici sarà molto più elevato ed è ragionevole attendersi un allungamento del periodo di tassi molto bassi o addirittura negativi (lower for longer).
In tale contesto l’assicurazione, come ogni altro settore economico, ha dovuto muoversi con tempestività per garantire la sicurezza ai propri dipendenti e collaboratori e assicurare la continuità dei servizi erogati alla clientela. In molti Paesi europei l’assicurazione è stata definita un “servizio essenziale”, una definizione che presenta riflessi sia positivi sia potenzialmente negativi.
Dal primo punto di vista, è indubbio che, in tal modo, il ruolo sociale delle assicurazioni esce rafforzato. Sull’altro fronte, l’assicurazione rischia di essere vista più come un servizio pubblico che come un mercato privato ben funzionante. Non sorprende, pertanto, che si siano registrate, in diversi Paesi, pressioni da parte dei Governi per una lettura “generosa” delle clausole contrattuali al fine di garantire che i costi relativi al Covid-19 possano essere coperti (ad esempio, nelle assicurazioni sanitarie o in quelle per le aziende). Pressioni di questo genere possono mettere a rischio la stabilità complessiva dell’industria assicurativa, come evidenziato di recente sia da organismi rappresentativi del settore sia da Autorità di vigilanza.
Dal punto di vista dell’attività assicurativa, un aspetto delicato, con rilevanti aspetti di novità, riguarda la gestione della liquidità. L’eccezionale volatilità dei mercati finanziari ha effetti diretti che derivano, da un lato, dai margini più elevati richiesti per le operazioni sui mercati dei derivati e, dall’altro, dal possibile aumento dei riscatti per i prodotti vita di tipo linked, quando una parte delle attività investite è illiquida.
Sono però gli effetti indiretti a preoccupare di più. Fra questi, anzitutto, un forte declino del nuovo business. Ad esempio, secondo le stime più recenti, nel mese di marzo 2020 la nuova produzione di polizze vita individuali si è ridotta del 45,6% rispetto allo stesso mese del 2019; si prevedono significativi decrementi anche per quanto riguarda la raccolta premi nei rami danni. A fronte del calo del volume di attività, le imprese assicuratrici sono chiamate, nonostante le indubbie difficoltà operative determinate dall’emergenza, a rispettare gli impegni nei tempi previsti e a offrire supporto e liquidità ad agenti e clienti.
Al momento, l’industria assicurativa italiana si è dimostrata pienamente in grado di gestire queste criticità, ma non va trascurata la possibilità che in uno scenario di intensificazione della recessione globale possa verificarsi un aumento dei riscatti delle polizze vita. Per questi motivi, è necessaria per le imprese una pianificazione della liquidità realistica e completa, con particolare attenzione ad aspetti quali l’esposizione ai mercati dei derivati, la liquidità delle attività in portafoglio (compresi quelli a supporto dei prodotti linked), la gestione dei flussi di cassa, l’analisi delle scadenze dell’assicurazione vita, i prestiti e le attività di riscatto delle polizze.
Dal punto di vista regolamentare, andrà valutato a livello europeo se non permettere anche alle imprese di assicurazione di approvvigionarsi di liquidità direttamente presso la BCE, con l’obiettivo di evitare che la compressione della liquidità costringa le imprese alla vendita forzata di titoli in un mercato depresso.
Considerazioni altrettanto attente devono essere formulate con riguardo ai profili di solvibilità. Il calo del valore dei titoli azionari, tassi di interesse privi di rischio più bassi o negativi e spread creditizi più ampi creano rischi di scostamenti tra attivo e passivo (ALM) particolarmente rilevanti per gli assicuratori vita. Il regime europeo Solvency II è molto sofisticato ma è ipersensibile alla volatilità dei mercati finanziari, come attestano le ampie fluttuazioni degli indici di solvibilità osservate nel mese di marzo.
Solvency II è attualmente in fase di revisione, una fase che originariamente si doveva concludere nel 2020 ma che invece, a causa della pandemia, subirà un ritardo di almeno un anno.
Durante i lavori di revisione è emersa la necessità di apportare significativi miglioramenti, per contrastare meglio gli effetti di prociclicità di un sistema basato su valori di mercato puntuali, applicati a un settore che ha la maggior parte delle sue attività orientate sul lungo termine. Ciò riguarda, in particolare, il meccanismo di aggiustamento della volatilità (Volatility Adjustment), che ha dimostrato in questi primi anni di applicazione di non funzionare in modo corretto, impedendo così alle imprese, in particolare a quelle italiane, di attenuare gli impatti della volatilità artificiale dei mercati sulla propria posizione patrimoniale. È opportuno, dunque, prepararsi a un approccio del tipo “quick fix” per porre rimedio in tempi rapidi a quegli inconvenienti derivanti dall’attuale configurazione di Solvency II che, nel corso della revisione, sono stati già stati chiaramente identificati.
In una prospettiva di più lungo termine, la pandemia può modificare anche radicalmente le sfide che l’industria assicurativa ha di fronte. Citiamo quattro esempi.
Il primo esempio parte dalla constatazione che un ampio uso delle modalità di collegamento digitale ha interessato milioni di lavoratori, studenti e cittadini italiani. Non c’è dubbio che l’organizzazione del lavoro e della distribuzione, anche dell’industria assicurativa, deve saper imparare dalle lezioni di questi giorni. Più in generale, gli investimenti nel settore della cosiddetta “InsurTech” continuano a essere molto rilevanti e sta crescendo in misura molto significativa il numero di partnership tra gli operatori tradizionali e le imprese dell’InsurTech.
Aspetti cruciali e decisivi rimangono quelli dei big data, dell’intelligenza artificiale, dei data analytics. Utilizzando fonti di dati strutturate e non strutturate, gli assicuratori diventano in grado di valutare nuovi rischi, di entrare in nuovi mercati, di rendere i processi gestionali più efficienti. L’innovazione tecnologica, inoltre, consente di immaginare un nuovo modello di gestione del cliente, dove, partendo da un’area di bisogno rilevante, si determina l’opportunità di gestire tutte le necessità del cliente stesso.
Questi sviluppi hanno ricadute importanti per un Paese come l’Italia, in quanto sono in grado di accrescere la consapevolezza dei rischi e una loro più efficiente gestione; una prospettiva di grande rilievo considerato l’ampio gap di protezione che caratterizza oggi la situazione italiana.
Il secondo esempio riguarda l’offerta di maggiore protezione alle persone anziane in un contesto di tassi di interesse “lower for longer”. I tassi di interesse bassi, se non addirittura negativi, mettono in discussione modelli di business ormai consolidati, essenzialmente basati sulla valorizzazione stabile e garantita del risparmio assicurativo, e rendono necessarie forme di adattamento dell’offerta, sia rimodulando le garanzie sia in termini di nuove opzioni di prodotto.
Sul primo versante, va verificato l’interesse degli assicurati per strutture di garanzia che si adattino nel tempo alle condizioni macroeconomiche, mantenendo il carattere distintivo dei prodotti assicurativi tradizionali.
Sul versante dell’innovazione di prodotto, sia l’assicurazione a vita intera che i prodotti di rendita potrebbero essere integrati con la copertura della long-term care e/o delle spese mediche. Gli eventuali pagamenti a fronte dei servizi assicurativi riducono, ovviamente, il valore di riscatto della polizza e l’indennità in caso di morte. Questi prodotti potrebbero servire a soddisfare una domanda per assicurazione sanitaria e malattie gravi che probabilmente crescerà a seguito della pandemia. Sotto il profilo di rendere l’assistenza sanitaria più accessibile sono particolarmente importanti le opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica, in quanto un rapido aumento dei servizi di teleassistenza potrebbe accrescere l’interesse dei non assicurati.
Il terzo esempio riguarda gli investimenti e la potenziale opportunità in Europa di supportare un piano di ripresa che integri la transizione verde e la trasformazione digitale, rispettando nel contempo il mandato fiduciario verso gli assicurati. Il punto cruciale è una regolamentazione che non penalizzi gli investimenti di lungo termine, obbligando a una valutazione su un orizzonte temporale di un anno. Incentivi fiscali per gli investitori finali che accettano un determinato grado di illiquidità delle loro polizze potrebbero, inoltre, rivelarsi efficaci, data la sempre maggiore difficoltà per le assicurazioni e, in generale, le istituzioni finanziarie a effettuare trasformazioni di scadenze.
Infine, il quarto esempio riguarda lo sviluppo di prodotti che coprano il rischio di epidemie. L’esperienza del COVID-19 dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che alcuni eventi – si pensi al risarcimento per l’interruzione di attività delle imprese derivante da pandemia – sono quasi “non assicurabili”, data l’estrema difficoltà di sfruttare il principio basilare della diversificazione dei rischi.
Eppure – spinta dall’enormità degli eventi – l’industria assicurativa globale sta iniziando ad interrogarsi su che tipo di copertura possa essere in grado di offrire, sulla dimensione geografica ottimale del pool di rischi e su come coinvolgere i mercati finanziari, attraverso l’emissione di pandemic bonds.
La convinzione generale è che la copertura contro le pandemie sia certamente impossibile senza una partnership con il settore pubblico. La sfida è capire se si possono trarre insegnamenti dagli schemi già operativi per la gestione delle catastrofi naturali. L’Italia, che è uno dei pochi Paesi a non avere schemi di questo tipo, non deve arrivare impreparata a questa discussione.