La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27442 del 30 ottobre 2018 si è di recente soffermata sul rilievo degli interessi di mora ai fini della determinazione del costo complessivo del finanziamento: ha chiarito che gli interessi di mora soggiacciono alla disciplina antiusura, e ha preso le distanze da coloro che ritengono che il saggio limite per gli interessi di mora vada determinato aumentando quello previsto per gli interessi corrispettivi di 2,1 punti percentuali.
Quello dell’usura rappresenta, oltre che un problema millenario(1), anche uno dei temi più discussi del diritto bancario, come dimostrano non solo le copiose produzioni scientifiche, ma anche i repertori giurisprudenziali.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27442 del 30 ottobre 2018 si è di recente soffermata su un aspetto di tale istituto fortemente dibattuto (complice anche la comprovata insipienza di un legislatore incerto ed ondivago)(2), e cioè quello del rilievo degli interessi di mora ai fini della determinazione del costo complessivo del finanziamento.
Sul punto non è dato riscontrare posizioni univoche.
Infatti, opinioni divergenti si registrano non solo sul problema “a monte” del se gli interessi di mora assumano rilievo ai fini usura (an), ma, una volta sciolto positivamente tale interrogativo, anche sulle modalità con cui valutare la loro eventuale natura usuraria (quomodo), nonché sulle conseguenze che si pongono “a valle” di tale accertamento.
A ognuno di tali quesiti la Cassazione ha fornito apposito riscontro con la pronuncia in commento.
In ordine al primo punto (an), la terza sezione di Piazza Cavour ritiene che “gli interessi convenzionali di mora” sono equiparabili agli interessi corrispettivi, e dunque anch’essi “non sfuggono alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente a quello stabilito dall’art. 2, comma 4, l. 7.3.1996 n. 108, vanno qualificati ipso iure come usurari”.
Tale equiparazione si fonda, innanzitutto, sul tenore letterale della legge d’interpretazione autentica n. 24 del 28 febbraio 2001 (in conversione del d.l. 394/2000), la quale ha precisato che ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge (i.e. tasso soglia), a qualunque titolo siano stati convenuti, e dunque, anche se pattuiti per sanzionare l’eventuale inadempimento del debitore.
Del resto, sul piano storico, gli interessi di mora sorsero per compensare il creditore dei frutti perduti del capitale non restituito, e quindi per riprodurre (sotto forma, però, di risarcimento) la funzione di remunerazione del capitale che era già propria degli interessi corrispettivi.
Anche a livello sistematico, poi, le due tipologie di interessi sarebbero assimilabili, in quanto “ambedue costituiscono la remunerazione d’un capitale di cui il creditore non ha goduto: nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente”.
In entrambi i casi, infatti, la naturale fecondità del denaro comporta come conseguenza un “danno” per il creditore, poiché, con riguardo agli interessi corrispettivi, egli si priva di una res fruttifera, e con riferimento a quelli di mora, non la riceve tempestivamente, in guisa che entrambi gli interessi ristorano il differimento nel tempo del godimento del capitale, distinguendosi tra loro solo nella fonte (solo il contratto nel primo caso, il contratto e la mora nel secondo) e nella decorrenza (immediata per i primi, differita ed eventuale per i secondi), ma non nella funzione.
Sul piano teleologico, infine, la Cassazione non manca di evidenziare che, quando il legislatore ha riformulato l’istituto dell’usura (l. 108/1996) lo ha fatto sia per tutelare le vittime di tale prassi e sia per garantire il corretto svolgimento delle attività economiche, per cui, escludere dall’applicazione di tale disciplina gli interessi previsti dall’art. 1224 c.c. sarebbe incoerente con le suddette finalità, e condurrebbe al risultato paradossale che per il creditore sarebbe più vantaggioso l’inadempimento che l’adempimento, potendo egli stabilire qualsivoglia tasso per gli interessi moratori (non soggetti ad alcun limite).
Chiarito, dunque, che anche gli interessi di mora soggiacciono alla disciplina antiusura (an)(3), la Cassazione prosegue nel suo ragionamento fornendo anche il parametro sulla base del quale stimare l’eventuale loro natura usuraria (quomodo).
In particolare, fermo restando l’erroneità della tesi che ritiene di dover sommare interessi corrispettivi ed interessi di mora e di confrontare il risultato di tale addizione con il tasso soglia(4), i giudici di legittimità prendono le distanze anche da coloro che ritengono che il saggio limite per gli interessi di mora vada determinato aumentando quello previsto per gli interessi corrispettivi di 2,1 punti percentuali (5).
Infatti, la Suprema Corte ritiene che l’esigenza di individuare un unico tasso soglia per interessi corrispettivi e moratori (6) si ponga, non solo sulla base della loro sostanziale equiparabilità, ma anche poiché sarebbe impossibile, in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi dell’art. 2 l. 108/96, ma in base ad un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia.
Quanto, infine, alle conseguenze (quid iuris) che deriverebbero da una pattuizione usuraria degli interessi di mora, la Cassazione (questa volta con una mera petizione di principio, e senza fornire alcun argomento a supporto) ritiene che, nonostante l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, non si possa applicare anche per questi ultimi la sanzione prevista dal secondo comma dell’art. 1815 c.c.(6), per cui, ferma restando la nullità di clausole che stabiliscano interessi di mora sopra-soglia, secondo la Suprema Corte è comunque ragionevole riconoscere al creditore danneggiato per lo meno gli interessi al saggio legale.
Così sintetizzata la sentenza della Cassazione. La sensazione è, tuttavia, che tale arresto non sarà risolutore della questione ma produrrà solo un ulteriore contributo a un dibattito che avrà (forse) fine allorquando sopraggiunga un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, sulla scia di quanto già accaduto per le questioni legate all’usura sopravvenuta (Cass. civ., S. U., 24675/2017) e al trattamento della commissione di massimo scoperto (Cass. civ., S. U., 16303/2018).
Non sono, infatti, trascorsi neanche 20 giorni dal deposito di tale sentenza, che il Tribunale di Roma (22 novembre 2018, n. 22543) ne ha parzialmente (ma esplicitamente) preso le distanze con riguardo alla questione relativa al tasso soglia da considerare ai fini usura, poiché, secondo i giudici di merito, date le ontologiche differenze tra interessi corrispettivi ed interessi di mora, per questi ultimi è necessario considerare il tasso soglia previsto per gli interessi corrispettivi, ma innalzandolo di 2,1 punti percentuali.
1 L’espressione è di G. Alpa, Usura: un problema millenario, questioni attuali, in Contr., 1996, 181.
2 L’inciso appartiene a G. L. Carriero, Credito, interessi, usura: contratto e mercato, in Banc. bor. tit., 2016, 93 ss.
3 La posizione della Cassazione è suffragata da numerosi precedenti conformi: ex multis, Cass. civ., 27442/2018, 23192/2017, 350/2013, nonché, anche se solo incidentalmente dalla Corte Cost., n. 29/2002, e nella giurisprudenza di merito, daTrib. Torino 17 novembre 2016, Trib. Bari, 8 novembre 2016, Trib. Roma, 27 maggio 2015, Trib. Milano 3 dicembre 2014,Trib. Napoli, 28 gennaio 2014, nonché dalla Banca d’Italia nei suoi Chiarimenti in materia di legge usura del 03 luglio 2013.
Per la tesi opposta (nel senso che gli interessi di mora sfuggono alla disciplina di cui all’art. 644 c.p., sulla base di argomentazioni che non è possibile riproporre in questa sede, ma che sono principalmente fondati sulla ontologica e funzionale differenza tra interessi corrispettivi ed interessi moratori), si vedano, Trib. Verona, 30 aprile 2014, Trib. Roma, 26 gennaio 2016, Trib. Milano 08 giugno 2017, nonché le decisioni dell’Arbitro bancario e finanziario, sia nelle sue composizioni territoriali – Coll. di Napoli 125/14 – che nel suo organo nomofilattico – Coll. Coord., nn. 1875/14 – 3412/2014.
4 Questa impostazione è del tutto minoritaria, ma continua ad essere sostenuta in alcune aule di tribunale; ex multis, Trib. Enna, 12 gennaio 2015; Trib. Udine, 26 settembre 2014;Trib. Padova, 13 maggio 2014.
5 È questa la soluzione proposta da Trib. Milano, 3 dicembre 2014, e di recente daTrib. Roma 22 novembre 2018, n. 22543, sulla base del criterio fornito dall’Autorità di vigilanza nel Comunicato del luglio del 2013.
6 Nello stesso senso si è espresso il Trib. Napoli, 28 gennaio 2014, nonché, indirettamente anche la Cass. civ., 4 ottobre 2017, n. 23192.
7 Che il secondo comma dell’art. 1815 c.c. operi solo per gli interessi corrispettivi, è stato sostenutoanche daTrib. Milano, 28 gennaio 2014. Non mancano, però, opinioni di segno contrario (Trib. Torino, 17 novembre 2016;App. Venezia, 18 febbraio 2013).
8 Per un commento di tale sentenza si vedano, in luogo di molti, i contributi di G. Carriero, Usura sopravvenuta. C’era una volta? e G. La Rocca, Usura sopravvenuta e “sana e prudente gestione” della banca: le Sezioni Unite impongono di rimeditare la legge sull’usura a vent’anni dall’entrata in vigore, in Foro it., I, rispettivamente c. 3282 e 3285; G. Guizzi, Le Sezioni Unite e il de profundis per l’usura sopravvenuta, in Corr. giur. 2017, 1495 ss.; G. Fauceglia, L’usura sopravvenuta nella Cassazione Sezioni Unite n.24675/2017: più interrogativi che risposte, in Banca, borsa etc., 2018, 310 ss.; P. Bartolomucci, L’usura sopravvenuta al vaglio delle Sezioni Unite, in Giur. it., 2018, 40 ss.
9 Tale decisum delle Sezioni Unite è stato annotato, tra gli altri, da C. Colombo, Commissione di massimo scoperto e disciplina antiusura: le Sezioni Unite avallano il principio di simmetria ed impongono la comparazione separata, in Corr. giur,2018, 1343 ss.