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Altri strumenti ibridi di finanziamento delle S.p.A.: le obbligazioni con diritti di partecipazione e gli strumenti di “partecipazione all’affare”. Ma sono davvero un affare per il mercato?

Oltre agli strumenti finanziari partecipativi, la riforma del diritto societario ha previsto ulteriori strumenti, a contenuto parzialmente predeterminato, per il finanziamento non bancario alle imprese. Si analizzano gli “strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società”, contemplati dall’art. 2411, comma 3, c.c., e gli strumenti finanziari di “partecipazione all’affare”, che la società può emettere all’atto della deliberazione costitutiva di un patrimonio destinato, indicando “specificamente i diritti che attribuiscono”, previsti dall’art. 2447-ter, comma 1, lett. e.

Raffaele Lener
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1. Accanto agli strumenti finanziari partecipativi (che non fanno dell’investitore un socio, ma possono comunque attribuirgli diversi diritti, fra cui il voto in assemblea) – analizzati in un precedente articolo- la riforma del diritto societario ha previsto ulteriori figure, per così dire, speciali, di strumenti finanziari a contenuto parzialmente predeterminato. Anche queste figure ulteriori sono (sarebbero) destinate al mercato, al fine di ampliare la platea dei possibili finanziatori non bancari delle imprese.

Proviamo ad analizzare specificamente due strumenti, per vedere cosa realmente aggiungano al panorama dell’esistente.

La prima figura è quella contemplata dall’art. 2411, comma 3, c.c., che estende la disciplina delle obbligazioni “agli strumenti finanziari, comunque denominati, che condizionano i tempi e l’entità del rimborso del capitale all’andamento economico della società”. In questo caso la norma prevede chiaramente strumenti di tipo para-obbligazionario, non di tipo “corporativo”. L’investitore qui è obbligazionista, non certo socio.

La seconda figura speciale è prevista dall’art. 2447-ter, comma 1,lett. e, che parla di strumenti finanziari di “partecipazione all’affare”, che la società può emettere all’atto della deliberazione costitutiva di un patrimonio destinato, indicando “specificamente i diritti che attribuiscono”. A questi strumenti – diversi dalle obbligazioni – non sembra peraltro, almeno in principio, che lo statuto possa attribuire diritti simili a quelli dei soci, ma esclusivamente poteri di controllo: il titolare non dovrebbe poter partecipare alla gestione dell’affare. Anche la loro assemblea speciale non è quella dell’art. 2376 c.c., pensata per le categorie di azioni, ma è piuttosto assimilabile all’assemblea degli obbligazionisti.

Chi può avere interesse ad acquistare simili strumenti ibridi?

2. Gli strumenti “para-obbligazionari” sono sicuramente una sottospecie delle obbligazioni; e ciò li distingue dagli strumenti finanziari partecipativi “generali”. Hanno però anche una disciplina specifica, che riguarda tre aspetti: (i) il limite quantitativo all’emissione (pari al doppio del patrimonio); (ii) le modalità di emissione: per questi ibridi para-obbligazionari è sufficiente una delibera consiliare, mentre per gli strumenti partecipativi è richiesta la previsione statutaria, anche se non necessariamente seguita da una delibera assembleare, se lo statuto già ne chiarisce il contenuto a sufficienza (condizioni di emissione, contenuto dei diritti, previsioni specifiche per i casi di inadempimento, legge di circolazione, se trasferibili); (c) la disciplina delle assemblee speciali.

Fermo restando questo specifico regime, non vi è ragione per negare che a questi strumenti possano essere attribuiti anche diritti di partecipazione alla gestione della società.

Dunque, uno statuto di s.p.a. può prevedere l’emissione di strumenti finanziari partecipativi a fronte di un apporto in denaro, dotati di diritti amministrativi (con l’ampia libertà consentita dall’art. 2346) e di diritti patrimoniali sostanzialmente assimilabili a quelli indicati dall’art. 2411, comma 3 (cioè con totale o parziale rimborso alla scadenza, commisurato all’andamento dell’attività sociale), ma bisogna rispettare in ogni caso i limiti quantitativi all’emissione di cui all’art. 2412.

Il problema sembra, in realtà, porsi in una diversa prospettiva: non tanto se si possa attribuire un qualche diritto corporativo ai possessori di strumenti finanziari assimilabili alle obbligazioni, quanto piuttosto se si debba imporre comunque il rispetto dei limiti all’emissione di obbligazioni agli strumenti finanziari ibridi, emessi ai sensi dell’art. 2346, che prevedano il rimborso, anche parziale, del capitale apportato, pur ove i) li si renda in qualche modo partecipi del rischio d’impresa, parametrando l’entità del rimborso ai risultati economici della società e ii) li si doti di diritti corporativi.

L’ibridazione dello strumento para-obbligazionario non può valere a sottrarlo alle norme che ne limitano l’emissione. Non si può ammettere che si cambi il nome a un’obbligazione facendo perdere all’investitore le garanzie del titolo obbligazionario (come, per ragioni diverse, a suo tempo avvenuto nei noti casi Cirio e Parmalat).

Non vedrei, invece, il problema dell’organo competente a deciderne l’emissione, né quello dell’organizzazione e della tutela dei diritti dei portatori di siffatti strumenti ibridi. Vero è che il codice prevede genericamente l’applicabilità della disciplina sulle obbligazioni a tutti gli strumenti finanziari che abbiamo chiamato “para-obbligazionari”. Tuttavia, ciò può dirsi solo per gli strumenti privi di diritti corporativi. Nel caso che ci occupa, invero, lo strumento finanziario “ibrido” si inserisce nell’organizzazione sociale e interferisce (potenzialmente) con le prerogative degli azionisti. Non solo, ma la limitata tutela dell’obbligazionista avrebbe poco senso di fronte ai poteri di “autotutela” che derivano al possessore dall’attribuzione di diritti corporativi.

Deve dunque concludersi nel senso che il rinvio completo alla disciplina delle obbligazioni si ha solo per gli strumenti para-obbligazionari privi di diritti corporativi, mentre il rinvio opera solo parzialmente (cioè solo con riguardo ai limiti quantitativi all’emissione) per gli strumenti dotati di diritti amministrativi.

E’ stato scritto che siffatti strumenti obbligazionari ibridi potrebbero solo attribuire diritti corporativi minori. Quali sarebbero però questi diritti “minori”? Il potere di ispezione dei libri sociali? La partecipazione senza voto all’assemblea? Generici poteri di vigilanza/controllo, per così dire, atipici? E un simile sforzo, in fondo, solo per radicare la competenza per l’emissione in capo all’organo amministrativo. Meglio dire in modo tranchant che ben possono essere attribuiti anche diritti corporativi, ma in questo caso si applica la disciplina degli strumenti partecipativi e non quella delle obbligazioni, se non per i limiti quantitativi, applicabili – lo si ripete – ovunque vi sia diritto al rimborso dell’apporto, pur se (in parte) dipendente dai risultati degli esercizi sociali.

Dunque, a ben vedere, abbiamo obbligazioni cui possono essere attribuiti diritti tipicamente del socio (fra cui il voto). Una contaminazione anomala, ma certamente nuova, in questi termini, per il nostro mercato.

3. Sono più facili da capire, invece, gli strumenti finanziari di partecipazione all’affare: le sovrapposizioni con la categoria degli strumenti partecipativi, in caso di ibridazione del modello, sembrano qui minori. Infatti, come si accennava, il possessore avrebbe, in principio, solo poteri di controllo e non di “partecipazione alla gestione”. Quindi, potrebbero a esso attribuirsi diritti ulteriori, appunto, di controllo o di informazione senza per ciò snaturare lo strumento.

Anche in questa ipotesi è, peraltro, possibile una ulteriore ibridazione dello strumento, con conseguente applicazione della disciplina degli strumenti partecipativi, ove si attribuiscano diritti corporativi non limitati al controllo sulla gestione.

In questo caso siamo di fronte a strumenti che consentono all’investitore di partecipare ai risultati di uno dei rami di attività della società, con poteri di controllo sulla gestione. E fin qui si capisce.

Attribuire a questi strumenti anche poteri di partecipazione alla gestione, soprattutto non limitati alla amministrazione di quel singolo ramo, è bensì reso possibile dalla legge, ma è arduo capire a cosa serva. Si rischia di fare soltanto confusione.

Non sempre l’ibrido dell’ibrido è da guardarsi come un’occasione di arricchimento del mercato.