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RICETTE PER LA COMPETITIVITA'
All'Europa serve il 28mo regime

I dazi interni, l'eccesso di burocrazia, i processi legislativi faticosi... Tutte questioni a cui si addebita la mancanza di competitività del mercato unico. Così prende piede una soluzione: quella del 28mo regime. Ecco in che cosa consiste e perché potrebbe funzionare

Paola Pilati

Non solo Trump con il suo DOGE, affidato ai tagli di Elon Musk: anche la Germania ha il suo ministro per la modernizzazione dello Stato e la digitalizzazione, Karsten Wildberger, che curiosamente promette di usare, per realizzare la propria missione, armi obsolete come il martello e il cacciavite.

L’obiettivo, comunque, è chiaro: ormai tutti sono d’accordo nel voler ridurre l’eccesso di regolamentazione, la ridondanza di norme, la complessità burocratica, vista non solo come un onere ma anche come una camicia di forza al libero esercizio dell’intrapresa, allo sviluppo, in ultima analisi alla capacità di competere.

Infatti la battaglia contro il “red tape”, ciò che forbitamente noi chiamiamo “lacci e lacciuoli” (copyright Guido Carli) e che include anche i “dazi interni” additati Mario Draghi come extra costi per l’economia, è ormai un mantra che si ripete in Europa e ha il suo colpevole nell’apparato della burocrazia, spesso più potente di chi governa. A partire dalla burocrazia di Bruxelles.

La parola d’ordine è dunque sfoltire, decostruire, semplificare. Secondo la stima della presidenza danese di turno del Consiglio Ue, le regole che sono attualmente in discussione costeranno, ogni anno, ai governi nel loro insieme, 38 miliardi di euro, al mondo del business 86 miliardi, oltre al costo – stimato questo dalla Commissione – di 150 miliardi di euro l’anno, sempre per le imprese, per soddisfare gli obblighi europei.

Prendersela solo con la burocrazia sembra però una manovra diversiva rispetto alle responsabilità della politica dei 27, dove le resistenze dei singoli Stati finiscono per rendere qualsiasi processo difficile e faticoso, soprattutto se quel processo punta a superare le regole nazionali per una regolamentazione unitaria di livello europeo. Oltre che burocratico, insomma, il problema è innanzitutto politico.

Accresciuto, poi, dalle lobby che agiscono a Bruxelles ( il loro numero è più che raddoppiato dal 2012, sostiene il FT https://www.ft.com/content/850845d0-f383-4971-a425-28d6824887ee). Qualsiasi domanda di nuove norme suscita l’opposizione di chi ha prosperato con quelle vecchie, il “nimbysmo” trova buona accoglienza negli elettorati, il neoliberismo – che vuol dire fiducia nel mercato, deregulation, alleggerimenti fiscali – è stato tradito dal suo stesso portabandiera, Donald Trump, che sembra nei fatti preferire il dirigismo dello Stato. E rischia di fare scuola anche da noi.

Tanto più è difficile fare nuove regole e armonizzazioni e anche disfarne altre (come la messa in discussione della data della scomparsa del motore termico sta dimostrando), tanto più prende piede una nuova soluzione. Quella del 28mo regime.

Di cosa si tratta? Di una sorta di passaporto di un 28mo stato virtuale dell’Unione, offerto alle imprese che vogliono operare nell’aerea senza rimanere intrappolati nel dedalo delle diverse regole imposte dai 27, un passaporto che offra un’entità legale pan-europea, una EU-inc., che renda l’eco-sistema europeo più attraente anche per chi dall’estero vuole investire.

Nel Rapporto di Enrico Letta (https://www.consilium.europa.eu/media/ny3j24sm/much-more-than-a-market-report-by-enrico-letta.pdf), l’adozione di un 28mo regime per il business è tra le proposte per rendere il mercato unico meglio attrezzato alle sfide dell’oggi, per trasformarlo davvero in un mercato europeo.

“Per gli imprenditori o le PMI che desiderano muoversi nel Mercato Unico, il panorama del diritto commerciale presenta una complessità scoraggiante, che comporta costi considerevoli. Imprenditori desiderosi di avviare un’attività, sia a livello nazionale che transfrontaliero, si trovano costretti a costituirsi come entità francese, tedesca o italiana a causa dell’assenza di un

quadro societario europeo adatto alle PMI”, si legge nel Rapporto Letta.

E non è soltanto la necessità di superare il patchwork di leggi che regolano, per esempio, le procedure fallimentari o il diritto d’autore, il fisco, il diritto del lavoro o la tutela dei consumatori, a demotivare le imprese, soprattutto quelle piccole, a investire e crescere oltre i propri confini nazionali.

C’è, nell’attuale frammentazione del mercato unico, anche l’impossibilità di fare riferimento a fonti di finanziamento diverse da quelle nazionali, che inchioda al nanismo molta imprenditoria. E che toglie il vantaggio che hanno quelle che operano in mercati grandi come gli Usa o la Cina. Mentre il mercato europeo da 450 milioni di consumatori resta asfittico.

Con un diritto societario unico che regoli le future EU-inc. le imprese saranno libere di scegliere se utilizzare o meno le regole del 28 regime o preferire quello nazionale, ma senza avere gli impedimenti – e i costi occulti – che oggi scoraggiano chi vuole oggi valicare i confini.

Certamente resta da affrontare l’aspetto più spinoso del 28 regime, che è quello fiscale: dove pagheranno le tasse sugli utili del proprio business le EU-inc.? La soluzione più ovvia sarebbe quella di pagarle nella misura e con le regole delle varie giurisdizioni, a seconda di dove si svolge il business. Augurando che non sia proprio questo lo scoglio su cui il 28mo regime finisca per incagliarsi.

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