Il mondo delle compagnie assicurative ha chiuso un 2024 in ottima forma. L'Italia è il paese con il maggior numero di compagnie straniere autorizzate. Ma questo non è sempre un vantaggio per la concorrenza. Basta vedere i prezzi delle polizze auto, che restano le più care in Europa. Ecco che cosa emerge dalla relazione del presidente dell'Ivass
Con mille miliardi di portafoglio, di cui circa 300 in titoli di Stato italiani, le assicurazioni sono una potenza di prima grandezza, un pilastro del sistema finanziario nazionale. Ma il loro “tasso di gradimento” nell’opinione pubblica non corrisponde al loro peso: dai prezzi delle polizze sempre in salita all’essere un monolite con poca inclinazione per le regole del mercato, le accuse dei consumatori alimentano da sempre conflitti e reclami (solo quelli all’Ivass sono aumentati del 20% rispetto al 2023).
Ne è consapevole lo stesso Ivass, l’istituto che vigila sul settore, dando l’annuncio, nella relazione appena tenuta dal presidente Luigi Federico Signorini, delle procedure di nomina del collegio dell’Arbitro assicurativo e della sua imminente partenza operativa, dopo anni di rinvii: “non ci nascondiamo le potenziali difficoltà: il numero dei ricorsi potrà essere elevato…”, prevede Signorini.
Una preoccupazione legittima, ma l’Arbitro sarà anche uno scossone salutare per il mondo delle compagnie, che sul mercato italiano hanno sempre prosperato senza troppi ostacoli. D’altra parte il nostro è un paese talmente ricco e attraente, da essere, a livello Ue, quello in cu si è precipitato il maggior numero di compagnie straniere. Oltre alle 89 imprese italiane vigilate, ci sono 987 che provengono dallo spazio europeo e sono autorizzate a operare.
Con quali risultati? Il 2024, riferisce la relazione Ivass, è stato un anno ricco per i bilanci. L’utile complessivo è stato di 10,5 miliardi (dagli 8 del 2023), in crescita di circa il trenta per cento. La raccolta dei premi ha fruttato 151 miliardi, grazie soprattutto al successo del ramo vita (che vale oltre due terzi della raccolta), cresciuto del 21% sull’anno precedente (e quindi meno degli utili), dopo aver vissuto un’ondata di riscatti che avevano allarmato le compagnie. Quanto alla raccolta del ramo danni, è cresciuta del 7,5%, ed è per il 43% fatta di polizze auto.
A fronte di questa raccolta, nel 2024 le imprese hanno pagato agli assicurati 138,2 miliardi (114,4 nel ramo vita per capitali rendite e riscatti e 23,8 nel danni).
Il ramo danni promette di diventare una fonte di crescita più consistente per le compagnie: nei prossimi mesi, a scaglioni, le imprese dovranno adeguarsi agli obblighi della nuova legge e sottoscrivere le polizze per coprirsi dagli eventi catastrofali.
Il bilanciamento tra premi pagati e danni subìti sarà comunque una materia da verificare nel tempo, ma le imprese sanno che finiranno nel mirino se da un lato non riusciranno a dosare la sostenibilità tecnica del nuovo business e dall’altro non garantiranno prontamente alle imprese danneggiate dagli eventi estremi gli indennizzi per la ripartenza. Per questo, ad affiancarle entrerà in campo lo Stato, visto che la legge quadro per la ricostruzione post-calamità, approvata in marzo, prevede una delega al governo per la definizione di schemi assicurativi per gli indennizzi in cui ci sia una combinazione tra ruolo del mercato e interventi pubblici di garanzia.
A livello europeo, la grande novità per il settore è la nuova direttiva Solvency II, che diventerà operativa dal 2027 e che ha l’obiettivo di superare le rigidità del sistema precedente con l’introduzione di meccanismi che modulano gli obblighi normativi in funzione della dimensione, del modello operativo e del profilo di rischio della compagnia, e avrà quindi un impatto sulla dotazione di capitale e sulla governance. Un solo esempio: il nuovo requisito di solvibilità al 14% libererà ben 5 miliardi di capitale oggi vincolato. Che cosa ne faranno le compagnie? Saranno tentate di trasformarlo tutto in dividendi per i propri azionisti oppure in vantaggi per tutti gli stakeholder?
Rendere la gabbia delle regole meno rigida per tutti non si accompagna però a una supervisione più forte a livello europeo: le vigilanze restano nazionali. Qui l’integrazione stenta a fare passi decisivi, e Signorini non esita a levarsi il sassolino dalla scarpa: ci sono differenze regolamentari ingiustificate, incoerenze, ridondanze, complessità eccessive.
Le tante differenze tra Stato e Stato e l’assenza di sistemi di garanzia universali (da noi il fondo di garanzia c’è dal 2024, manca per esempio in Lussemburgo e in Slovacchia) si fa sentire soprattutto in un mercato come il nostro, dove operano tante imprese europee che non rispondono a criteri di sicurezza uguali ai nostri ma obbediscono alle regole della casamadre, spesso piazzata nel paese dal sistema più lasco. Si creano insomma “spiragli per l’ingresso di operatori poco affidabili”, ammette Signorini.
Il risultato è che all’Ivass tocca intervenire quando il guaio è conclamato, come è accaduto con la compagnia lussemburghese FWU, messa in liquidazione coatta dopo aver coinvolto 130 mila ignari assicurati (o imprudenti: meglio sempre informarsi dall’Ivass sulle credenziali dell’assicurazione).
L’attività del vigilante non include il poter mettere bocca sulle tariffe. Eppure è questo l’aspetto che arriva più vicino al portafoglio dei clienti e al loro giudizio sulle assicurazioni. La relazione di quest’anno informa che il prezzo dell’RCauto è cresciuto nel 2024 del 6,5%, ma ha cominciato frenare nell’ultimo trimestre ’24 con un più 0,3 e a scendere nel primo di quest’anno dell’1,7%.
Ma l’assicurazione auto, in Italia, resta la più cara d’Europa. Un record che neanche il “Preventivass”, il motore di comparazione tra le offerte del mercato attivato dal 2023, riesce a scalzare. Perché? C’è la pigrizia degli utenti a utilizzarlo come arma per affrontare il mercato, è vero, ma c’è anche il fatto che le compagnie non segnalano per il Preventivass i prezzi delle polizze reali, quelli che poi praticano effettivamente. E la trasparenza resta un miraggio.