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RIVOLUZIONI TECNOLOGICHE E FINANZA
Alcuni consigli per investire sull'AI

Dal lancio di ChatGPT nel novembre del 2022 la nuova tecnologia ha trainato il Nasdaq verso nuovi record e ha creato opportunità di crescita in direzioni mai immaginate prima. Ecco quanto può valere questo mercato e su quali segmenti di imprese puntare, secondo UBS

Paola Pilati

L’impatto dell’intelligenza artificiale sull’economia globale sarà simile all’introduzione delle nuove tecnologie che hanno accompagnato le tre grandi rivoluzioni industriali. Proprio per questo, AI potrà diventare anche una delle più grandi opportunità d’investimento nella storia dell’umanità.

A lanciare questo messaggio è il Chief Investment Office di Ubs Global Wealth management, che analizza in un report nuovo di zecca – Artificial intelligence: Sizing and seizing the investment opportunity – il boom degli investimenti attivati finora in questo campo e quelli che ancora più copiosamente arriveranno. E cerca soprattutto di mettere a fuoco qual è, nella catena del valore del business dell’AI, il segmento più promettente per chi vuole investire adesso.

L’avvento di AI può cambiare radicalmente il modo di produrre, può garantire maggiore efficienza e agevolare la crescita economica, ma anche mettere in pericolo quel 40% della forza lavoro globale che, secondo il Fondo monetario, ne sarà impattato. Può aumentare la distanza tra le diverse aree del mondo, lasciando indietro quelle meno attrezzate in termini di capitale e di risorse umane. E agevolare le imprese più grandi del mondo – quelle con i cash flow più robusti – a diventarlo ancora di più.

Ma nessuno dei rischi ventilati può oscurare la forza travolgente di AI e la sua velocità a imporsi come l’avvento di un nuovo ciclo: dal lancio di ChatGPT nel novembre del 2022 la nuova tecnologia ha trainato il Nasdaq verso nuovi record e ha creato opportunità di crescita in direzioni mai immaginate prima.

Non si tratta, insomma, di una bolla, come fu quella delle dotcom, ma l’alba di un nuovo mondo, dicono gli analisti di UBS, o meglio di un nuovo modo per gestire le attività del vecchio mondo sopravvissuto alla grande crisi finanziaria: quello in cui le nostre vite hanno incominciato ad essere governate da internet, in cui lo smartphone è stato adottato dall’80% della popolazione mondiale, in cui il cloud è diventato vitale per le imprese, in cui insomma la tecnologia ha continuo bisogno di grandi numeri per standardizzarsi, ma non può mai smettere di cercare valore in salti successivi, in nuove onde di sviluppo.

Quanto vale il mercato dell’AI? Le stime vanno da 1,3 trilioni di dollari (Bloomberg) a 4,4 trilioni (McKinsey). La ricerca di Ubs stima che la creazione di valore di questa tecnologia potrebbe ammontare a circa 1,2 trilioni di dollari entro il 2027.

L’impatto più importante, AI lo dovrebbe produrre sotto forma di aumento della produttività in una fascia ben precisa di lavoratori, quelli che svolgono mansioni intellettuali (sono un miliardo nel mondo) ai quali l’AI generativa consentirà di aumentare la capacità di trovare soluzioni, di disegnare nuovi servizi, di creare strategie di business. Per esempio, l’uso di GitHub Copilot rende gli sviluppatori più veloci del 55%. E il Boston Consulting Group stima che le operazioni di customer service diventeranno, con l’AI generativa, più efficienti del 30-50%. Guadagni di produttività che surclassano sia quelli dell’introduzione del PC (più 18% dal 1986 al 2000), che quelli di internet (più 20% dal 2000 a oggi).

Le società protagoniste di questa nuova caverna di Ali Babà si muovono su diversi segmenti: Google, per esempio, disegna i suoi propri chips, lavora sui modelli di linguaggio, sulla produttività e sulla pubblicità; Nvidia si concentra solo sui GPU (graphics processing unit), che sono componenti del server di AI, Microsoft diversifica investendo in altre società, come appunto OpenAI, di cui ha il 49%.

Segmenti che sono appunto le tre fasi di sviluppo del business di AI che UBS individua per definire le prospettive in termini di creazione di valore.

Il primo è quello delle società abilitanti – come Nvidia – che si occupano dell’infrastruttura fisica, la progettazione di chip, la produzione di semiconduttori, i servizi cloud, i data center, la produzione di energia.

Ci sono poi le società di intelligence, che vengono alimentate dal lavoro delle precedenti, quelle che sviluppano modelli linguistici di grandi dimensioni o possiedono dati da trasformare in informazioni utili.

Infine l’ultimo segmento del business è quello delle società di applicazioni, che come quelle di intelligence sono società di software, utilizzano algoritmi e dati per costruire app per usi specifici.

Il primo segmento – dove si trovano per esempio i cloud service provider come Amazon AWS, Microsoft Azure, Google GCP – ha bisogno di grossi investimenti in infrastrutture per i server e la loro alimentazione, e UBS stima che potrà generare 185 miliardi di dollari di valore entro il 2027. Naturalmente, se dovesse aumentare la corsa verso la costruzione di nuovi centri di supercomputer, e quindi la competizione tra di loro, la prospettiva di  ricchi margini potrebbe aumentare.

Il secondo segmento è quello in cui si concentrano tutte le funzioni del cervello della AI generativa, dai suoi algoritmi ai modelli di linguaggio (LLM, large language models). Vi operano società come OpenAI, Anthropic, Mistral, ma anche Google e Meta. Calcolare il suo valore è più complicato, perché l’esperienza di monetizzazione di questi servizi è ancora all’inizio e si basa in gran parte su abbonamenti. Per quanto riguarda Open AI, il dato di riferimento è quello del fatturato 2023 (fonte “FT”), pari a 2 miliardi di dollari, con un margine lordo del 25%. È quindi un segmento che potrebbe avere, di qui al 2027, una crescita forte.

Altrettanto difficile da prevedere è la crescita del segmento delle applicazioni: le applicazioni software potenziate dall’AI, come quelle dette co-pilot o di personal assistants (l’esempio è quello di Microsoft GIT HUB, oggi con 1,3 milioni di utenti), sono quelle che offrono maggior potenziale di redditività nel tempo, ma siamo allo stadio nascente.

La stima, comunque, è che per il 2027 producano un giro d’affari di 395 miliardi di dollari.

Definire questa “catena del valore” serve a UBS per chiarire che ciascun segmento deve creare valore in misura sufficiente a giustificare i costi del segmento precedente.

L’esempio lo offre Gartner: si stima che il sistema dei data center abbia generato nel 2023 un fatturato di 236 miliardi di dollari, mentre quello del software ne abbia prodotti 915 miliardi e gli IT service 1,39 trilioni.  Questo implica, ragiona il report, che ogni dollari speso in hardware ha generato 10 dollari di fatturato negli altri due. Insomma, per investire occorre valutare bene il rapporto del rendimento potenziale del segmento delle App rispetto al costo dei due segmenti precedenti, quello abilitante e di intelligence.

Questa catena del valore così promettente in termini di margini di profitto, spinge le grandi imprese a posizionarsi in tutti i segmenti. Amazon disegna i suoi AI chip, come pure sta facendo Microsoft. E saranno sempre le società che operano nell’”intelligence” a cercare di espandersi nel territorio delle applicazioni, finendo per diventare i player dominanti in tutti e tre livelli. Insomma lo scenario di UBS prospetta un mondo dominato da oligopoli integrati verticalmente: le “fonderie” dell’AI.

Ragionare su quali settori puntare, in questa fase del business legato all’AI, porta dunque a privilegiare chi produce chips e tutti i componenti fondamentali del primo segmento, incluse le apparecchiature per i data center, il cloud e i semiconduttori. Ma anche la componente “memoria” (DRAM, dynamic random access memory) vivrà una ripresa della domanda, addirittura del 100%, insieme con la high-bandwidth memory (HBM), il segmento usato nelle applicazioni più avanzate dell’AI computing. È insomma questo il settore che offre la migliore combinazione di profili di crescita, utili, e ottimo posizionamento competitivo.

Nel secondo segmento, la chiave della crescita è riposta nello sviluppo dei modelli di linguaggio (LLM), ma essendoci già molti modelli ben addestrati e ormai radicati (ChatGPT di OpenAI che con il suo ChatGPT-4 fa la parte del leone, Gemini di Google, Llama di Meta, Grok di XAI, Mistral e Open Source), ed essendo molto alti i costi del loro training, è difficile che una startup di inserisca in questo settore. La competizione ci sarà, semmai, tra questi stessi Big, sia sui modelli proprietari che su quelli open source, come fa pensare la recente mossa di Mark Zuckerberg di investire in capacità costruttiva con lo shopping di più di 350 mila H100 da Nvidia.

Quali possibilità di crescita ha il segmento delle applicazioni legate all’AI? Le attività più promettenti sono le funzioni di “copilotaggio”, i chatbot che aiutano nel flusso di lavoro, che migliorano la produttività in un ufficio (del 50% secondo Microsoft), e che consentono quindi a chi li produce di aumentare il loro prezzo (Adobe, per esempio, ha rincarato il suo Firefly service del 10%). UBS stima quindi che il settore dei copiloti e degli assistenti virtuali possa crescere, mentre nel medio-lungo termine anche il settore della pubblicità può beneficiare delle applicazioni dell’AI, per esempio aiutando a creare testi, immagini, video per le società di internet con una integrazione dell’AI generativa sempre più veloce nel settore.

In conclusione, l’industria dell’intelligenza artificiale sta rapidamente raggiungendo la maturità. Sia gli investitori dei fondi privati che quelli di venture capital sono in movimento da tempo e i deal diventano sempre più grandi (23,5 milioni di dollari in media nel 2023 contro i 15,2 di cinque anni fa), e non solo negli Usa (che ha il 42% del totale dei deal), ma anche in Asia (con il 30%) e in Europa (al terzo posto con il 23%).

Aumenta il numero degli unicorni, le società valutate oltre il miliardo di dollari. Sono più di mille in tutto il mondo (dato CB insights) e quelli del settore AI erano 186 a fine 2023, in continua crescita, anche fuori dei mercati borsistici, sia negli Usa che in Asia.

Per chi pensa che l’AI sia ancora una tecnologia troppo all’avanguardia, ancora all’inizio del suo cammino, e quindi l’investimento vada ponderato bene, UBS offre un ragionamento. È vero che ci sono voluti diversi decenni per trasformare Arpanet nell’internet attuale, ed è altrettanto vero che ci sono voluti 50 anni per passare dagli albori del cloud computing ad Amazon AWS e 41 anni dal Motorola Dynatac all’iPhone. Ma anche l’AI vanta già una storia lunga 60 anni di esperimenti, tanto da far sì che le tecnologie siano ormai consolidate. In un’ottica di “vista lunga” i fondamentali per investire ci sono. Va fatto con prudenza.