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Regolamentazione e vigilanza bancaria in Europa: cosa non funziona e come cambiare

La grande crisi finanziaria degli anni 2007-08 ha provocato cambiamenti epocali nel business degli intermediari finanziari rafforzando i legami con i mercati finanziari mediante l’utilizzo viepiù spinto degli strumenti inseribili nella securitisation e/o nei derivati. Ripercorrendo aspetti e filoni della grande crisi finanziaria e modalità applicative delle regole e della vigilanza a livello europeo dei nostri giorni, l’analisi sottolinea le relazioni con l’evoluzione della struttura bancaria, indicando l’esigenza per l’introduzione di mutamenti nelle regole e nella vigilanza, sia per la creazione dei presupposti al mantenimento del tessuto delle piccole e medie aziende che tendono al finanziamento presso le banche piccole e medie, e quindi per le basi alla crescita economica, sia per il non innalzamento del rischio sistemico.

Fabiano Colombini
Fabiano-Colombini

Criteri irrazionali nell’erogazione dei prestiti delle banche innalzano il rischio di credito sul portafoglio prestiti e, nel contempo, criteri irrazionali nel trasferimento del rischio di credito mediante securitisation e/o credit derivatives moltiplicano il rischio di credito sul portafoglio strumenti finanziari, originando la subprime mortgage financial crisis che è iniziata negli Stati Uniti nel 2006, si è accentuata nel 2007 e 2008 e si è diffusa negli altri paesi del mondo.

I prestiti a clienti di pessima qualità e la successiva applicazione della securitisation e/o dei credit derivatives, insieme all’inversione ciclica in negativo dei prezzi del mercato immobiliare, producono ripetute insolvenze e, per conseguenza, perdite di valore nella gamma delle asset-backed securities (ABS)  e/o nei credit derivatives. 

Perdite e incertezze creano ulteriori perdite legate al panic selling e alla diffusione della crisi finanziaria, perché gli intermediari finanziari caratterizzati da alti livelli delle ABS e/o dei credit derivatives nell’attivo di bilancio sono colpiti da crisi di sfiducia per riduzioni di valore, sollevando problemi di ricapitalizzazione e fallimenti a più riprese.

Il corretto utilizzo della securitisation, che postula l’applicazione a prestiti di ottima qualità, è pressoché ignorato, innalzando i volumi per la forte espansione del processo di securitisation. Non solo, il corretto utilizzo dei credit derivatives ritrova poco riscontro,  ampliando i volumi per il forte sviluppo legato essenzialmente all’intreccio banche-assicurazioni.

A ben vedere, le grandi banche americane non considerano i riflessi insiti nelle ripetute e scorrette prassi applicative del trasferimento del rischio di credito per i sistemi bancari e finanziari nel loro insieme. Il passaggio da un’ottica di tipo originate to hold (OTH) a una di tipo originate to distribute (OTD) lascia credere agli intermediari bancari la possibilità di cavalcare il boom del mercato immobiliare senza che i rischi relativi al suo rallentamento possano in qualche modo inficiare la salute dei bilanci bancari.

Il modello OTD, nella sostanza, disincentiva le banche da un’adeguata applicazione dei processi di screening e monitoring  e, per conseguenza, fornisce la possibilità  di accesso al credito anche a segmenti di clientela con assai scarse capacità di rimborso. Sennonché la finanza innovativa, inquadrabile nella creazione di ABS e/o credit derivatives, provoca il trasferimento all’esterno dei rischi legati alle bad practices seguite nell’erogazione dei prestiti delle banche. 

Il trasferimento del rischio di credito mediante securitisation e/o credit derivatives non provoca il definitivo distacco e separazione dalla banca originaria perché, rispettivamente nell’ipotesi di notevoli perdite nel veicolo fuori bilancio e nell’ipotesi di inadempimento dell’intermediario fornitore della protezione, la banca originaria è costretta a intervenire sollevando ricadute negative sul piano delle perdite del conto economico e riduzioni del capitale.

Tali circostanze, unitamente all’alto leverage, sottintendono un’alta propensione al rischio delle banche commerciali e anche delle banche di investimento, indicando presupposti per la fragilità del sistema finanziario. 

L’irrazionalità che distingue il sistema finanziario ritrova negli alti profitti conseguiti da banche commerciali, banche di investimento, agenzie di rating, assicurazioni, hedge funds  la risposta. 

La crisi del mercato immobiliare trascina nella crisi i subprime mortgages e le connesse attività, provocando svalutazioni e insolvenze negli strumenti dell’attivo e perdite nel conto economico e, allo stesso tempo, riduzioni della liquidità presso banche e altri intermediari finanziari, indicando più alta propensione al rischio e, quindi, innestando crisi di sfiducia.

Negli USA e in Europa nel quadro delle crisi finanziarie e degli sviluppi successivi, regole e supervisione presentano modifiche e revisioni perseguendo l’obiettivo di una maggiore stabilità per il futuro dei sistemi finanziari, sottolineando diversità di tempi, diversità di approcci, diversità nel processo di ripresa economica decisamente più rapido e intenso negli USA rispetto all’Europa. Il motivo è anche riconducibile alla netta e più rapida applicazione di strumenti pubblici per il ripristino e ritorno a condizioni di relativa stabilità del sistema bancario, che negli USA presenta tempi nettamente più rapidi rispetto all’Europa.

La sollecitazione della vigilanza in Europa verso processi di fusione e incorporazione tra banche si concreta a più riprese in veri e propri impulsi verso il gigantismo bancario, ma si ha ragione di temere l’insorgenza di modi per nascondere veri e propri problemi bancari in chiave strutturale, che rimangono tali e sono pronti a riesplodere ripetendo il solito ritornello dell’esigenza di incremento del capitale che non può essere considerata la soluzione ai problemi bancari. 

Quasi sempre i problemi bancari sono legati all’efficienza dal lato costi, dal lato ricavi e dal lato profitti, aggiungendo le possibilità di sfruttamento di economie di scala e di scopo. L’incremento del capitale postula basi più robuste per il superamento di situazioni originate da perdite nel conto economico e da crisi, ma al tempo stesso solleva il problema impellente dell’aumento della base dei profitti per la remunerazione del capitale che è cresciuto. Tale circostanza è confermata dalla ripetizione di più fasi temporali, una seguita dall’altra, che inducono le autorità di vigilanza alla richiesta di nuovo capitale da aggiungere al precedente o, più di frequente, dal ripristino di un adeguato livello. 

Quest’ultimo elemento, riscontrabile a più riprese nel panorama bancario europeo, testimonia drammaticamente un problema di “distruzione di capitale” per gli azionisti, e a livello di sistema con progressiva perdita di valore delle azioni quotate in borsa e, nell’ipotesi più favorevole, ricupero di condizioni per una corretta gestione della banca.

Le forzature verso processi di aggregazione bancaria non appaiono vantaggiose, né sul piano dei risultati netti in termini di efficienza totale, né sul piano del governo del rischio sistemico, perché le spinte verso il suo innalzamento vengono potenziate all’ampliarsi delle dimensioni bancarie e alla progressiva riduzione delle piccole banche. Il che solleva riflessi da non sottovalutare a livello micro e a livello macro. L’istanza verso l’accrescimento dimensionale presenta incongruenze perché sembra rafforzativa a livello di sistema bancario ma talvolta sottintende implicazioni negative.

Nell’Unione Europea il modello one size fits all presuppone uguali regole per tutte le diverse banche al fine di non alterare il mercato bancario. Negli Stati Uniti, invece, dimensioni e business model delle banche distinguendo tra banche di piccole-medie dimensioni e banche di grandi dimensioni, presuppongono diversità di regole.

Regole aggiustate nel tempo e divenute sempre più complesse e articolate in Europa tendono all’innalzamento dei costi di compliance, da considerare alla stregua di costi fissi che incidono di più sulle piccole e medie banche semplicemente perché i volumi produttivi tendono a essere più bassi. L’uniformità nelle regole europee dovrebbe perseguire l’obiettivo di “evitare distorsioni competitive e arbitraggio regolamentare”, ma è doveroso argomentare in termini opposti, creando vantaggi per le grandi banche e influendo negativamente sulla competitività delle banche piccole e medie, distinte da un modello di business tradizionale.

Le aggregazioni bancarie sollecitate dalle autorità di vigilanza provocano progressivamente la riduzione delle banche piccole e medie che sono quelle che hanno i maggiori contatti sui territori per il finanziamento e lo sviluppo delle piccole e medie imprese e, per conseguenza, producono l’assottigliamento dei presupposti alla crescita economica.

Pertanto, regole uniformi appesantite e rafforzate da misure aggiuntive e sovrapposte della vigilanza per l’incremento del capitale prendendo singoli settori operativi (si veda ad esempio il settore degli NPLs) appaiono fuorvianti, molto concentrate, poco lungimiranti. 

Emerge un quadro penalizzante per le piccole e medie banche, spesso ben gestite e sorvegliate e, al tempo stesso, emerge un quadro di riduzione del loro numero e di rafforzamento delle grandi banche pur sempre più lontane dalle realtà locali.

Regole uniformi in ottica europea appaiono negative per il corretto e fisiologico quadro strutturale, a detrimento delle piccole e medie banche e invece a vantaggio delle grandi banche. Vigilanza orientata e parziale in ottica europea  appare  non correttamente impostata per l’attività di controllo sulle banche, spingendo in modo esasperato sul processo di innalzamento del capitale a più riprese senza distinzioni sui reali punti critici nella gestione della banca. 

Regole e vigilanza così impostate e operanti a livello europeo costituiscono senza dubbio una spinta alla riduzione del tessuto delle piccole e medie banche nei diversi paesi, rendendo di fatto strutturalmente più complicato il processo del finanziamento alle piccole e medie imprese e, quindi, infittendo il gap finanziario che distingue le piccole e medie imprese e che le rende diverse e più discriminate rispetto alle grandi imprese. Tale ultima circostanza produce due conseguenze: l’impulso al potenziale innalzamento del rischio sistemico e ancora il negativo impatto sul gap finanziario per investimenti e processi produttivi e, quindi, sulle capacità di crescita economica.

Le sollecitazioni e le spinte verso più grandi dimensioni bancarie appaiono nella sostanza iniziative non molto valide e dense di rischi per la stessa economicità e performance delle banche, perché il processo di rimunerazione deve tener conto di un livello più alto del capitale.

Si tratta di un reale rafforzamento bancario? Vi sono molti dubbi perché, pur invocando le grandi dimensioni per sfruttamento delle economie di scala e, aggiungiamo, di scopo, appare fuorviante sussistendo condizioni di efficienza perseguibili complessivamente dal lato dei costi, dal lato dei ricavi e dal lato dei profitti. Solitamente, queste ultime indicate tendono a sopravanzare le economie di scala e di scopo sulla scorta di studi econometrici.

Cambiare le regole da uniformi a proporzionali, cambiare la vigilanza da uniforme a proporzionale e da singoli obiettivi alle intere realtà complesse e integrate, ridurre i costi di compliance e perseguire il rafforzamento interno delle singole banche mantenendo validi presupposti alla permanenza di un tessuto di piccole e medie banche costituiscono di per sé i tasselli da perseguire in ottica della ricerca di più validi presupposti alla crescita economica in Europa e, specie, in Italia.