Ai sensi del combinato disposto dell’articolo 32-ter, comma 1, del TUF e dell’art. 2, comma 1, lett. h), del Regolamento ACF, l’Arbitro conosce le controversie in cui è convenuta una società di gestione UE con succursale in Italia e per questo aderente al “sistema ACF”. In proposito, l’Arbitro ha rammentato che la normativa di rango primario prevede, quale presupposto su cui si fonda l’obbligo di adesione all’ACF, che si tratti di soggetto su cui “la Consob eserciti la propria attività di vigilanza”: il Regolamento ACF, ai fini dell’individuazione degli intermediari rilevanti, rinvia fra l’altro ai soggetti abilitati di cui all’art. 1, comma 1, lett. r), del TUF, ivi comprese le società di gestione UE che operano in Italia mediante una propria succursale. Le società di gestione comunitarie possono, tuttavia, prestare nel paese ospitante servizi d’investimento sia per il tramite della propria succursale, sia in libera prestazione di servizi (tipicamente, attraverso tecniche di comunicazione a distanza), rimanendo, per quest’ultima operatività, assoggettate alla vigilanza dello Stato membro d’origine. Nella fattispecie in esame, dalla documentazione versata in atti non sono rinvenibili idonei elementi, anche solo indiziari, che possano indurre a ritenere che sia stata la succursale italiana, in luogo della casa madre, a prestare servizi d’investimento: il ricorso risulta, pertanto, inammissibile per incompetenza dell’Arbitro a pronunciarsi sulla controversia ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b), del Regolamento ACF.