In ordine alla sussistenza del nesso di c.d. occasionalità necessaria, l’Arbitro ha avuto modo di chiarire, per un verso, che l’art. 31, comma 3, del TUF contempla la responsabilità solidale dell’intermediario per i danni arrecati dal consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, prescindendo dalla sussistenza dell’elemento della colpa imputabile all’intermediario nella sorveglianza sull’attività del consulente, essendo ciò espressione della più generale responsabilità di cui all’art. 2049 c.c.; per altro verso, che, al fine di affermare la responsabilità dell’intermediario per il fatto del consulente è, comunque, necessaria la sussistenza di un rapporto di “necessaria occasionalità” tra le incombenze affidate ed il fatto illecito del consulente, ravvisabile – in linea con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità – “in tutte le ipotesi in cui il comportamento di questi rientri nel quadro delle attività funzionali all’esercizio delle incombenze di cui è investito” (cfr. decisioni ACF nn. 1506, 2896 e 3700). In tale prospettiva, non ha rilievo che il comportamento del consulente abbia nei fatti esorbitato dal limite fissato dall’intermediario abilitato, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall’inserimento del consulente nell’attività svolta dall’intermediario e si sia realizzata nell’ambito delle finalità in funzione delle quali l’incarico è stato conferito. Rileva, piuttosto, la circostanza che al cliente (o terzo) in buona fede potesse ragionevolmente apparire che l’attività posta in essere nei suoi confronti, e che gli abbia causato un danno, rientrasse nell’incarico affidato al consulente dall’intermediario abilitato.
Nel caso in esame, l’unico elemento che ricollegherebbe gli illeciti in contestazione all’intermediario è l’utilizzo da parte del consulente dell’indirizzo di posta elettronica dell’Intermediario; nessuno dei documenti o moduli in atti è, infatti, riconducibile a quest’ultimo, ad eccezione del contratto quadro, del contratto di deposito e del contestuale questionario di profilatura, sottoscritti in proprio dal ricorrente, cui non risultano essere seguiti, però, investimenti. Ne deriva che non può ritenersi che la condotta illecita del consulente sia stata resa possibile a cagione dell’utilizzo della casella postale con dominio dell’Intermediario (e, più in generale, dalla funzione che svolgeva presso quest’ultimo).