È consolidato l’orientamento dell’Arbitro nel senso di ritenere che il servizio di gestione di portafogli è caratterizzato da un elevato grado di discrezionalità dell’intermediario nell’attuazione delle scelte di investimento per conto del cliente. Ciò tanto più, quando, come nel caso di specie, le scelte di investimento compiute dal gestore sono coerenti con la linea di gestione determinata nel contratto; in particolare, dai rendiconti di gestione, che riportano la composizione del portafoglio alle rispettive date e il peso delle singole asset class rispetto al patrimonio complessivo, si può rilevare la continenza dell’attività dell’intermediario nei limiti di allocazione previsti contrattualmente, con riguardo in particolare agli investimenti in titoli strutturati e certificati ammessi nella misura massima del 50% del patrimonio gestito. Né è prospettabile un deficit di diligenza solo perché gli investimenti non hanno dato al cliente l’esito da questi sperato: come sottolineato dalla Corte di Cassazione 20 settembre 2021, n. 25343, affinché sia effettivamente configurabile una mala gestio da parte del gestore per asseriti risultati negativi della gestione, non è sufficiente il mero scostamento dal benchmark prescelto (altrimenti ricorrendo un’ipotesi di responsabilità sostanzialmente oggettiva), dovendosi, invece, valutare le ragioni di detto scostamento al fine di individuare eventuali, concreti profili di negligenza e/o imprudenza e/o imperizia del gestore medesimo, che, peraltro, possono essere rivelati anche dall’entità dello scostamento stesso.