Nel caso di prestazione del servizio di consulenza, l’elevatissima frequenza delle operazioni, praticamente giornaliera, costituisce una circostanza obiettivamente anomala per un’operatività legata alla gestione dei risparmi di una famiglia. Sotto questo profilo la condotta del consulente, del cui operato l’intermediario risponde ai sensi del principio generale dettato dall’art. 1228 c.c., non risulta improntata a canoni di diligenza, dovendosi ritenere che, non solo la consulenza complessivamente svolta fosse non adeguata – non foss’altro che sotto il profilo dell’improprio aggravio dei costi commissionali, pure in sé pienamente legittimi – ma anche che la stessa abbia comportato, proprio per la frequenza, lo svolgimento in forma occulta da parte del consulente di un vero e proprio servizio di gestione individuale di portafogli.
A fronte di ciò, non può non assumere rilievo la circostanza che, nonostante l’elevatissima frequenza delle operazioni e il fatto che le stesse generassero perdite, i Ricorrenti non hanno fatto nulla per cercare di porre rimedio alla situazione ma, anzi, hanno tollerato che il consulente proseguisse in tale anomala operatività per altri tre anni, sino al momento in cui il consulente è passato presso un diverso intermediario. Sotto questo profilo il risarcimento deve essere ridotto, dovendosi ascrivere l’aggravamento delle perdite agli stessi ricorrenti ai sensi dell’art. 1227 c.c.