L’Arbitro ha, in più occasioni, stigmatizzato il comportamento dell’intermediario che si limiti a definire le operazioni come adeguate al profilo del cliente, depositando una dichiarazione in cui viene genericamente attestata l’adeguatezza dell’operazione. Nel solco di tale orientamento è stato, più volte, ribadito che, al fine di adempiere l’obbligo di rendere al cliente una relazione di consulenza che sia in concreto idonea a consentirgli di capire se e perché le raccomandazioni siano adatte a lui, l’intermediario deve: a) dichiarare non solo se, ma anche in che modo, la raccomandazione corrisponda agli obiettivi d’investimento del cliente e fare riferimento alle informazioni sul cliente da esso utilizzate e su cui si basa l’operazione; b) evitare espressioni generiche, senza rendere informazioni su come esso abbia stabilito che il prodotto consigliato fosse effettivamente adatto al cliente; c) in caso di ricorso a dichiarazioni pre-formulate, garantire che esse siano sufficientemente granulari da fare riferimento ai diversi aspetti della valutazione di adeguatezza e alle diverse caratteristiche del prodotto raccomandato, prevedendo – in ogni caso – la possibilità di aggiungere “ulteriori aspetti” in cui includere informazioni specifiche sui clienti che potrebbero non essere coperte dal modello (cfr. decisioni n. 6753 del 29 agosto 2023, n. 7047 del 5 dicembre 2023 e n. 7123 del 12 gennaio 2024). Nel caso in cui la proposta di investimento contenga diverse operazioni di switch, l’intermediario deve rappresentare l’analisi costi-benefici con modalità tali per cui la stessa risulti conforme alla normativa di settore: non può, dunque, limitarsi a fornire un prospetto dei costi e oneri relativi ai nuovi strumenti da sottoscrivere, senza includere riferimenti ai costi di disinvestimento degli strumenti oggetto delle stesse, non riportando alcun confronto che dia conto degli effettivi costi e benefici derivanti dalle complessive operazioni di switch, né fornendo una puntuale indicazione dei motivi per cui, di volta in volta, i benefici sopravanzerebbero i costi delle operazioni. L’intermediario deve, infatti, svolgere – come richiesto dall’art. 54, comma 11, del Regolamento (UE) n. 2017/565 – un’analisi dei costi e benefici in modo da essere ragionevolmente in grado di dimostrare che i benefici della complessiva operazione erano maggiori dei costi (cfr. decisione ACF n. 6900 del 9 ottobre 2023).
Nel caso di operatività on line, ferma restando la possibilità per gli intermediari di strutturare altre procedure che possano essere considerate equipollenti al canale fisico tradizionale, sono da considerarsi modalità equivalenti alla consegna materiale della documentazione informativa, e tali da far ritenere pienamente comprovato l’adeguato assolvimento da parte dell’intermediario dei relativi obblighi, i sistemi in cui: a) la visualizzazione della scheda prodotto rappresenta un passaggio obbligato per poter disporre l’investimento, richiedendosi la presa visione e accettazione della stessa per poter impartire l’ordine di acquisto; b) tutte le informazioni di dettaglio rilevanti sono inserite direttamente nella pagina dove si trova il comando per impartire l’ordine di acquisto; c) è previsto un link che permette di scaricare il documento ma, in questo caso, con contestuale implementazione di una funzionalità bloccante, che renda cioè possibile impartire l’ordine solo previo richiamo di attenzione del cliente e dichiarazione di aver preso visione della documentazione informativa (ex multis, n. 4358 del 18 ottobre 2021, n. 4386 del 20 ottobre 2021, n. 4438 del 26 ottobre 2021, n. 4827 del 21 dicembre 2021, n. 4997 del 21 gennaio 2022, n. 5242 del 30 marzo 2022, n. 6599 dell’8 giugno 2023, n. 6842 del 25 settembre 2023 e n. 7049 del 6 dicembre 2023).
Secondo il consolidato orientamento dell’Arbitro, la dichiarazione di avvenuta consegna del KID è ritenuta idonea attestazione dell’adempimento dell’obbligo di cui agli artt. 13 e 14 del Regolamento (UE) n. 1286/2014 sui prodotti preassemblati PRIIPs. In modo analogo, la dichiarazione di avvenuta consegna del DIP aggiuntivo IPIB è ritenuta sufficiente a dimostrare l’adempimento dell’obbligo informativo di cui all’art.133, comma 3, del Regolamento Intermediari n. 20307 pro tempore vigente (inter alia,decisione n. 7068 del 19 dicembre 2023). In alcune precedenti decisioni, l’Arbitro ha raccomandato che, per i prodotti multi-opzione, deve sussistere una prova più rigorosa circa la consegna dello specifico KID dell’opzione prescelta (cfr.decisioni ACF nn. 5648, 5759, 5771, 7068). Nel caso di specie, nel modulo di sottoscrizione si fa riferimento ai KID “relativi alle opzioni di investimento prescelte del prodotto”, elencate con le relative percentuali di incidenza sulla composizione del prodotto, e nel verbale della consulenza, anch’esso sottoscritto dal ricorrente, sono elencate le versioni dei KID di tutte le opzioni prescelte e che “le abbiamo consegnato”: l’intermediario collocatore ha, dunque, compiutamente assolto gli obblighi informativi a suo carico tramite, per l’appunto, la consegna del KID.
Ai sensi del combinato disposto dell’articolo 32-ter, comma 1, del TUF e dell’art. 2, comma 1, lett. h), del Regolamento ACF, l’Arbitro conosce le controversie in cui è convenuta una società di gestione UE con succursale in Italia e per questo aderente al “sistema ACF”. In proposito, l’Arbitro ha rammentato che la normativa di rango primario prevede, quale presupposto su cui si fonda l’obbligo di adesione all’ACF, che si tratti di soggetto su cui “la Consob eserciti la propria attività di vigilanza”: il Regolamento ACF, ai fini dell’individuazione degli intermediari rilevanti, rinvia fra l’altro ai soggetti abilitati di cui all’art. 1, comma 1, lett. r), del TUF, ivi comprese le società di gestione UE che operano in Italia mediante una propria succursale. Le società di gestione comunitarie possono, tuttavia, prestare nel paese ospitante servizi d’investimento sia per il tramite della propria succursale, sia in libera prestazione di servizi (tipicamente, attraverso tecniche di comunicazione a distanza), rimanendo, per quest’ultima operatività, assoggettate alla vigilanza dello Stato membro d’origine. Nella fattispecie in esame, dalla documentazione versata in atti non sono rinvenibili idonei elementi, anche solo indiziari, che possano indurre a ritenere che sia stata la succursale italiana, in luogo della casa madre, a prestare servizi d’investimento: il ricorso risulta, pertanto, inammissibile per incompetenza dell’Arbitro a pronunciarsi sulla controversia ai sensi dell’art. 12, comma 2, lett. b), del Regolamento ACF.
Il blocco dell’accesso alla piattaforma di trading on line rappresenta un inadempimento agli obblighi di diligenza e di organizzazione a carico dell’intermediario, tuttavia, non sono riconducibili al disservizio della piattaforma le perdite maturate sull’investimento dal momento della sua costituzione a quello di blocco dell’operatività, sulle quali hanno inciso, evidentemente, tanto l’andamento congiunturale del mercato quanto le scelte del ricorrente nella loro gestione. Nel caso di specie, il Collegio ha ritenuto ragionevole che il mancato accesso alla piattaforma abbia determinato l’impossibilità di adottare la migliore strategia, alla luce dell’andamento negativo degli strumenti, e cioè la chiusura delle posizioni; sicché il danno subito dal ricorrente non può che essere correlato al minor ricavo della successiva chiusura effettuata alle 17:18, rispetto a un’ipotetica vendita immediata alle ore 16:12, come determinato dall’intermediario nell’importo già versato al cliente. Il Collegio ha affermato che non vi è prova di quali sarebbero state le operazioni che il ricorrente avrebbe potuto disporre e con quali esiti eventualmente più favorevoli della valutazione del danno effettuata dall’intermediario; inoltre, ha considerato che quest’ultimo ha garantito sempre la possibilità di operare tramite call center e che il ricorrente ha, in ogni caso, atteso circa quarantacinque minuti dal primo tentativo di accesso fallito per attivarsi e contattare il call center dell’intermediario. Si tratta di elementi fattuali che inficiano irrimediabilmente la sussistenza di un ipotetico nesso di causalità tra il comportamento inadempiente e l’evento dannoso.
Le operazioni non possono essere giudicate inadeguate solo per il fatto che esse sono state eseguite “Fuori Target Positivo”. Come, infatti, chiarito dall’ESMA nei propri “Orientamenti sugli obblighi di governance dei prodotti ai sensi della MiFID II” nella versione del 5 febbraio 2018, in vigore all’epoca dei fatti contestati, “l’individuazione di un mercato di riferimento da parte del distributore non pregiudica la valutazione di adeguatezza”, ciò significando che, “in determinati casi, possono verificarsi divergenze tollerabili tra l’individuazione del mercato di riferimento e l’adeguatezza su base individuale del cliente se la raccomandazione o la vendita del prodotto adempie ai requisiti di adeguatezza applicati sotto il profilo del portafoglio nonché a tutti i requisiti giuridici di altra natura applicabili (compresi quelli relativi alla comunicazione, al rilevamento e alla gestione dei conflitti di interesse, alla retribuzione e agli incentivi)”. Nel caso di specie, al fine di valutare la tollerabilità della “deviazione” operata rispetto al mercato di riferimento, il Collegio ha sottolineato che, sebbene il ricorrente non presentasse tutte le caratteristiche proprie dei clienti riconducibili al mercato di riferimento “positivo”, neppure rientrava nella categoria di clienti rispetto ai quali i prodotti in questione erano stati valutati del tutto incompatibili (c.d. mercato di riferimento “negativo), bensì in una categoria identificata dal gestore e dal distributore come “Target Market Neutral”. Atteso, poi, che nelle valutazioni personalizzate di adeguatezza, contenenti il riferimento al “Target Market positivo”, è detto espressamente che le raccomandazioni erano adeguate rispetto alla “situazione del portafoglio di riferimento e al profilo di rischio del Ricorrente”, il Collegio ha ritenuto che ciò rappresenti, nel caso specifico, motivazione sufficiente dello scostamento rispetto al “Target Market Positivo”.