IMPRESE&ASSICURAZIONI/COSA È CAMBIATO CON LA PANDEMIA
A ridurre i rischi ti aiutiamo noi

intervista a Luciano Lucca, presidente di Assiteca

Nessuna impresa aveva messo la pandemia tra i rischi prevedibili. E nessuna compagnia di assicurazioni oggi è disposta ad assicurare da un rischio di questo tipo. Ma una strada per correre ai ripari c'è: la spiega il primo broker assicurativo in Italia

di Paola Pilati

La pandemia ha cambiato qualcosa nel rapporto tra le aziende italiane e le assicurazioni? Fanalino di coda in Europa quanto ad attitudine a stipulare polizze, abbiamo finalmente cominciato a guardare il rischio con altri occhi, a percepire il bisogno di proteggerci?

Qualche segnale c’è, anche se debole e penalizzato da un’industria assicurativa poco innovativa, soprattutto nella distribuzione. La conferma viene da Assiteca, il più grande Gruppo italiano nella gestione dei rischi d’impresa e nel brokeraggio assicurativo, con un fatturato di 80,5 milioni di euro nel bilancio chiuso a giugno 2020, quotato alla Borsa di Milano nel segmento AIM dal 2015. 

«La pandemia è stato un fatto anomalo e improvviso, che nessuna impresa aveva messo in conto tra i rischi prevedibili della propria attività, come l’incendio o il furto», dice Luciano Lucca, presidente di Assiteca. «Conseguentemente, sta prendendo piede anche da noi – mentre all’estero è già molto diffusa – la polizza detta “interruzione delle attività”. Quella che tutela da un fermo della produzione causato da eventi esterni. Contemporaneamente, è aumentata la consapevolezza dei rischi informatici. E anche su questo fronte le aziende cominciano a cercare una copertura».

Le spese assicurative per le imprese quindi sono in aumento…

«Certo. Ma qui entriamo in campo noi broker».

In che senso?

«Una parte del nostro mestiere è quella di suggerire alle aziende clienti – oltre 5.000 – le attività migliori per contenere quel costo. Il trasferimento al mercato assicurativo e la scelta della polizza arriva solo alla fine: prima occorre mettere in campo dei piani d’azione per garantire la business continuity. Cioè procedure in grado di evitare che un evento imprevisto, come nel caso pandemia, possa fermare la produzione, o almeno possano ridurne i danni».

E queste misure di prevenzione servono a contenere il costo della polizza?

«Certamente. Ormai la figura del broker è in misura crescente una figura che offre consulenza – con esperti che hanno poco a che fare con il mondo assicurativo – con l’obiettivo di tutelare il patrimonio dell’impresa e prevedere i rischi. Solo dopo entra in campo l’attività di intermediazione che ha l’obiettivo di individuare il miglior prodotto assicurativo in termini di costi e garanzie per i  clienti. Oggi il ruolo del broker è quello di affiancare l’azienda per renderla più resiliente».

Oggi però il vostro fatturato è ancora al 90 per cento rappresentato dall’attività di intermediazione delle polizze. 

«Vero. All’estero però le multinazionali nostre concorrenti hanno una componente di consulenza importante sul fatturato. È quello il futuro delle società di brokeraggio anche in Italia. Anche in ragione del fatto che certi rischi gli assicuratori non» li vogliono coprire.

Perché?

«Lo dimostra l’atteggiamento del mondo assicurativo nei confronti della pandemia: per ora nessuno è disposto ad assicurarla. E durante l’ultimo rinnovo dei contratti, che in Italia di solito scadono il 31 dicembre, sono state inserite clausole che dicono, a scanso di equivoci, che i rischi pandemici non sono coperti».

Questo vale solo per l’Italia? Oppure all’estero si trova un atteggiamento diverso?

«No. È un trend generale del mondo assicurativo. D’altra parte l’anno scorso i Lloyd’s hanno stimato sinistri per 107 miliardi a causa della pandemia. Una cifra non sostenibile per il sistema assicurativo».

Pensa che alcune coperture assicurative per rischi estremi debbano essere sostenute da un soggetto pubblico?

«All’estero – in Francia e in Spagna, ad esempio – esiste un sistema per cui gli eventi catastrofali non vengono lasciati in capo al privato, ma entra in campo un consorzio grandi rischi. In Italia, nonostante i rischi idrogeologici siano evidenti e gli eventi frequenti, si è tentato tre o quattro volte di fare il consorzio, ma non è mai andato in porto».

Per quale motivo?

«Per il conflitto tra Stato e Assicuratori: il primo voleva imporre i costi, i secondi non lo accettavano. E poi: chi avrebbe mitigato i costi maggiori che sarebbero emersi, le assicurazioni o lo Stato? Così non se n’è fatto niente. Senza contare che l’obbligo di assicurare  tramite il consorzio sarebbe stato  vissuto dai cittadini come una nuova tassa e quindi politicamente negativo. E pensare che i molti miliardi che ogni anno lo Stato paga per i danni naturali potrebbero essere pagati da un sistema consortile o mutualistico».

Che tipo di soluzioni si potrebbero immaginare?

«L’ecobonus per le ristrutturazioni antisismiche, accompagnato al vantaggio fiscale, è stata una buona idea. È una strada da percorrere. Bisognerebbe comprendere  anche i rischi idrogeologici, in modo che chi investe in protezione venga in qualche modo premiato».

Lei descrive un mondo delle compagnie di assicurazione in Italia molto resistente alle novità. Ma l’industria delle assicurazioni è stata più danneggiata o più beneficiata dalla pandemia?

«È un mondo statico. Nel 2020, poi, con meno auto in circolazione e gli stabilimenti fermi, ci sono stati meno incendi, meno furti, meno incidenti.  Solo nel settore auto pare abbiano risparmiato sinistri per 2,5 miliardi circa. Quindi perché cambiare?».

Nel vostro portafoglio offerte avete soprattutto compagnie italiane, non c’è concorrenza dall’estero?

« Poca, il mercato italiano è fortemente condizionato da tre player, Generali, Unipol e Allianz, che da sole fanno circa il 50 per cento del mercato nel ramo danni. Ora si sta aprendo il mercato europeo: arrivano con il modello della “managing general agencies”, che vuol dire affidare a operatori (tra cui i broker) di fiducia la capacità di sottoscrivere per loro conto, senza necessità di avere una organizzazione stabile. Questo apre interessanti opportunità di concorrenza tra operatori. Anche i Lloyd’s che con la Brexit hanno dovuto cambiare modello assicurativo e oggi sono una compagnia di assicurazioni con sede a Bruxelles – cosa che non erano mai stati – e cercano di aumentare la loro presenza in Italia con il medesimo strumento».