Rischio e controllo – e le collegate attività – sono due facce della stessa medaglia: la performance dell’ente. Considerare i controlli un adempimento necessario e non coglierne il ruolo valoriale implica rinunciare al potenziale insito nell’attivazione di un efficace sistema organizzativo
I fondi pensione italiani hanno sperimentato la rivisitazione degli assetti di governance, con l’introduzione delle funzioni di controllo, secondo una logica molto simile, ancorché non perfettamente sovrapponibile, a quella di altri enti vigilati.
La disciplina delle funzioni di controllo – funzioni “fondamentali” – si alimenta di tre aree: revisione interna (terzo livello), gestione del rischio e funzione attuariale (secondo livello). La revisione interna contribuisce al miglioramento dei meccanismi di governo aziendale, proteggendo ed accrescendo il valore dell’organizzazione, la quale nella forma giuridica è, in Italia, associazione senza scopo di lucro. Alla funzione di risk management è attribuito lo scopo di attivare un efficace sistema di gestione dei rischi, oltre che eventuali attività di conformità, non essendo prevista la funzione di compliance tra quelle fondamentali. Infine, la funzione attuariale – riservata agli attuari – è obbligatoria solo per le forme pensionistiche che coprono rischi biometrici.
Sotto il profilo organizzativo, la disciplina offre specifiche alternative di collocamento e di linee di riporto. La revisione interna, a riporto diretto del Consiglio di Amministrazione, può essere anche incardinata in capo al Collegio Sindacale. Questa scelta non tiene in dovuto conto alcuni aspetti “logistici”, considerato che il Collegio non è dotato di propria struttura ma anzi si avvale delle funzioni di controllo per le proprie verifiche, e – in assenza di adeguata dotazione di struttura e di strumentazione – privilegia una “economicità organizzativa” che crea una innaturale commistione tra funzione, incaricata di effettuare in via operativa i controlli, e organo di controllo, responsabile della supervisione e del monitoraggio dell’attività dispiegata dalla singola funzione.
La gestione del rischio e la funzione attuariale hanno, diversamente da quanto avviene negli intermediari finanziari, uno spiccato contenuto operativo e concorrono alla gestione del fondo pensione, talché, anche a livello organizzativo, ben possono porsi all’interno delle aree operative. È possibile, infatti, che le funzioni siano incardinate nel Consiglio di Amministrazione o siano di staff al Consiglio, con titolari autonomi ed indipendenti.
In alternativa le funzioni possono essere poste alle dipendenze del Direttore Generale con riporto al vertice dell’esecutivo, che provvede poi alla rimessa al Consiglio, né è esclusa la possibilità di incardinare la funzione di gestione del rischio sul Direttore Generale così come pure l’unificazione di Finanza e risk management.
Tuttavia, soprattutto per i fondi a gestione diretta, potrebbe essere più funzionale distinguere tra direzione finanziaria e direzione rischi, nel rispetto della separazione tra operatività e controllo, senza inficiare concettualmente il ruolo strategico delle funzioni di secondo livello. D’altronde, la dizione di funzioni “fondamentali” lascia trasparire un riconoscimento esecutivo diverso tra fondi ed intermediari finanziari.
Se il sistema dei controlli interni è funzionale all’ottimizzazione della perfomance, è necessario individuare quali rischi rilevino nell’ambito delle gestioni in esame. In proposito, una prima elencazione è offerta proprio dal legislatore al comma 4 dell’art. 5-ter del D. Lgs. 252/2005, che individua rischi tradizionali di tipo finanziario (tasso, mercato, liquidità, credito) ed attuariale (biometrico), fattori ambientali, sociali e di governo societario (ESG) e fattispecie di carattere generale (rischio operativo).
Degno di nota è il successivo comma 5 che recita: «con riferimento ai rischi che gravano sugli aderenti e beneficiari, il sistema di gestione dei rischi ne tiene conto nella prospettiva dell’interesse degli stessi» e lascia aperta la possibilità di interpretare i “rischi che gravano su aderenti e beneficiari” come una ulteriore categoria di rischio.
L’interrogativo non è ozioso. Nelle forme societarie, il “netto contabile” esprime il valore dell’impresa. Nel bilancio dei fondi pensione, il valore corrispondente è “attivo netto destinato alle prestazioni”, talché ciò che in altri contesti è rubricato “risultato di esercizio”, nel caso del fondo assume la dizione di “variazione dell’attivo netto destinato alle prestazioni”.
Pertanto, se i rischi rilevano per gli impatti che producono a livello reddituale, in questo ambito rilevano quelli che possono incidere sulla variazione dell’attivo netto. Le voci che vi contribuiscono sono:
Il saldo della gestione previdenziale, somma algebrica delle contribuzioni al fondo e delle erogazioni, produce effetti depressivi sul valore dell’attivo netto quando esprime un dato negativo e un sistema di variazioni patrimoniali che, in un regime a capitalizzazione, non incide sull’equilibrio della forma di previdenza complementare bensì ne manifesta l’evoluzione demografica.
L’impatto ultimo di queste dinamiche è l’impossibilità del fondo di continuare ad alimentare un montepremi sufficiente a generare una rendita pensionistica integrativa. Qui, le possibilità effettive di intervento sono ristette all’allargamento, se percorribile, della platea degli iscritti. Fattispecie di rischio operativo, quali errori nel processo liquidatorio o ritardi nel processo contributivo, pure possono trovare allocazione in questo ambito e, parimenti, elementi di mitigazione nei processi di controllo.
Il margine della gestione finanziaria, alimentato dai risultati della gestione finanziaria, è l’altro fattore che incide sulla variazione dell’attivo netto destinato alle prestazioni. Qui rientrano tutti quegli elementi che deprimono l’attivo, talché i rischi finanziari sono legittimati a essere inclusi nella mappatura. L’effettiva capacità di controllo da parte del fondo dipende però dal potere gestorio di cui il fondo stesso dispone. Si comprende, quindi, almeno in linea di principio, il ruolo svolto dalla funzione finanza e dalla funzione di gestione dei rischi con riferimento alle attività da realizzare, sia in termini di asset allocation sia in termini di risk management.
Il saldo della gestione amministrativa, alimentato dai contributi destinati alla copertura degli oneri amministrativi e l’importo di questi ultimi, risente degli eventuali impatti dei rischi operativi e contribuisce alle variazioni dell’attivo netto allorquando eventuali avanzi o disavanzi siano ribaltati sugli aderenti in quanto “contribuenti” originari.
Tenendo presente che tutti i risultati che alimentano il conto economico del fondo pensione esprimono impatti che incidono sul valore delle risorse disponibili per le prestazioni, non vi sono rischi che “non” gravano sugli aderenti e sui beneficiari, talché il comma 5 di cui sopra, deve intendersi come un richiamo generale, finalizzato alla massima valorizzazione degli interessi degli stakeholder, alla diligenza nell’esecuzione degli incarichi da parte di amministratori, manager e dipendenti.
In conclusione, emergono alcuni punti di riflessione utili per strutturare al meglio il sistema dei controlli interni. Il primo elemento è la collocazione organizzativa delle funzioni: le scelte organizzative hanno riflessi sulla sostanza dei processi. Economicità, efficienza ed efficacia sono forze centrifughe, il cui governo è affidato al Consilio di Amministrazione.
Altro punto essenziale è la cultura del rischio. L’impianto attuale vede ancora prevalere il controllo sul rischio. Tuttavia, rischio e controllo – e le collegate attività – sono due face della stessa medaglia: la performance dell’ente. Considerare i controlli un adempimento necessario e non coglierne il ruolo valoriale implica rinunciare al potenziale insito nell’attivazione di un efficace sistema di controllo.