Compagnie assicurative e fondi pensione, private equity e family office stanno facendo lievitare il mercato degli alberghi di lusso con operazioni milionarie. A Roma e non solo. Ragioni, cifre e prospettive
Nel 2022 la bilancia commerciale turistica ha registrato un incremento del 200 per cento del saldo attivo sull’anno precedente. E questo non solo perché gli stranieri sono tornati in massa a viaggiare da noi, ma anche perché, come spiega Alessia Garibaldi, architetto, titolare di uno studio che lavora con e per gli albergatori e questo mondo lo conosce da vicino: «In tanti hanno imparato che lavorare da remoto e viaggiare nello stesso tempo è possibile. Questo ha dato vita a un nuovo segmento di domanda: quello di chi cerca negli alberghi il “leasure” e il comfort, non solo una stanza per dormine». Risultato di questa effervescenza turistica: «Gli alberghi hanno potuto raddoppiare i prezzi, soprattutto nelle città più gettonate», aggiunge Garibaldi.
Persino il presidente degli albergatori Bernabò Bocca, alla convention organizzata da Pambianco sul settore, ha ammesso che «sono arrivati i ricavi pesanti». Il gruppo spagnolo NH dichiara che il 2022 è stato un anno record (360 milioni di fatturato), Starhotel e Hotelturist hanno chiuso con un più 190 e un 119 per cento in più rispettivamente, Alpitur con un più 284 per cento, tanto per fare qualche esempio.
L’exploit del 2022, però, non è il frutto solo della fine del covid e della ripresa della vita libera da costrizioni sanitarie, ma di un cambiamento completo dei connotati del business dell’ospitalità, alla base del quale c’è il fatto che la finanza, la grande finanza dei fondi di investimento, dei family office, dei private equity, dei fondi pensione e di quelli assicurativi, ha scelto di entrare come protagonista nel settore, mettendo in moto una girandola di nuove iniziative alberghiere, di passaggi di proprietà milionari, di operazioni immobiliari che hanno reso disponibili sul mercato dell’ospitalità edifici che prima non lo erano.
A Roma, per esempio, nel palazzo Salviati-Cesi di via del Corso, patrimonio Unesco, ha aperto il suo hotel di lusso il gruppo thailandese Six Senses dove prima c’era la Banca di Roma; la famiglia Ferragamo ha venduto il suo hotel Castiglion del Bosco di Montacino a un family office internazionale per 180 milioni; sempre a Roma il fondo Cascade Investments di Bill Gates si è assicurato per 170 milioni di euro palazzo Marini, a Piazza San Silvestro, destinato a diventare un albergo superlusso; a Venezia è passato di mano da un fondo all’altro lo storico Excelsior del Lido.
Ma il trend per la prima volta si sta allargando anche a mete non considerate finora dalle grandi catene e dai grandi investitori. «Mentre il mercato dell’hospitality prima riguardava solo ai 4 centri “prime” – Roma, Milano, Firenze e Venezia – ora si espande anche in altre città: a Napoli sta aprendo la catena Radisson, Genova è richiestissima considerando che con l’Alta velocità si potrà raggiungere Milano in 45 minuti, Rocco Forte ha raddoppiato gli investimenti in Sicilia, il gruppo Melpignano si sta ampliando in Puglia, torna l’interesse per Cortina d’Ampezzo. È un segnale forte per il mercato, un segnale di svolta per il paese», afferma Alessia Garibaldi.
L’altro elemento che sta cambiando i connotati del mercato dell’hospitality italiano, oltre all’arrivo della finanza, è quello dell’interesse dei grandi brand, le grandi catene internazionali che con un fuoco di fila di nuove aperture stanno facendo fare un salto di qualità al tradizionale profilo alberghiero italiano, per l’80 per cento costituito da alberghi piccoli, massimo a tre stelle. Le nuove aperture, sia di catene straniere – la maggioranza – che di catene italiane, sono state 80 nel corso del 2022, con la prevalenza di 4 e 5 stelle.
Il 2023 non sarà da meno, perché si prevede supererà il 2019, in un crescendo di iniziative: solo a Roma – che era rimasta indietro rispetto a Milano – apriranno nei prossimi due anni altre duemila camere superlusso. Molto diverse però da quelle del lusso dalle catene americane, dove tutti gli alberghi si devono assomigliare. Oltre al recentissimo Six Senses, che è un esempio del nuovo trend, ha appena aperto nell’area dei Fori Palazzo Velabro (gestito della LHM di Cristina Paini; nella foto di Danilo Scarpati, la vista che offre ), in un palazzo del Settecento rivisitato negli anni ’60 dall’architetto razionalista Luigi Moretti e oggi trasformato in un albergo di lusso che fornisce anche il comfort della residenza privata (alcune suite hanno la cucina), destinato a piacere proprio a quel nuovo segmento di viaggiatori di cui si diceva all’inizio, per i quali è stata coniata la definizione di “bleisure”, un misto di business e leasure. «Il concetto è “a room is not enough”», spiega Alessia Garibaldi, che ha guidato la trasformazione dell’immobile – appartenente alla compagnia Unipol – in un design hotel: «Una volta negli hotel dominava la brand identity, ora un hotel deve esprimere il contesto in cui è calato, raccontare la città, fornire esperienze, stupire il cliente, per cui è importante l’aspetto creativo, il design, la componente artistica». Deve avere una personalità unica, insomma, che soddisfi le aspettative di novità dei nuovi viaggiatori.
A illuminare il boom del business alberghiero servono però altri due elementi non secondari. Uno è quello che è più facile l’operazione immobiliare sull’albergo – soprattutto per gli stranieri – di quella nel residenziale. «Questo perché fare un albergo non richiede di essere legati al territorio, mentre per fare case un immobiliarista lo deve essere. Poi, perché le amministrazioni comunali non dicono no a nuove aperture di grandi alberghi, in quanto danno prestigio alla città e creano un ottimo indotto», aggiunge Alessia Garibaldi.
L’altro elemento del boom è il rendimento dell’investimento. «In base alla mia esperienza del settore», dice l’architetto Garibaldi, «il proprietario dell’immobile, che lo ristruttura e poi lo affida in gestione, ha un rendimento medio che va dal 4 al 6 per cento a seconda della location. Il gestore, che si occupa degli arredi e paga l’affitto, già in due o tre anni comincia a guadagnare.
Mentre Milano si è ormai “londonizzata” nell’immagine ed è diventata un brand anche nell’accoglienza, la capitale è in parte terreno ancora vergine. Qui molte cose possono accadere. «Credo che Roma debba guardare alla sua storia più recente, rendere la sua immagine più contemporanea e non solo legata agli antichi romani», afferma Garibaldi. Come? «La parte più divertente e interessante è l’architettura dell’epoca fascista, quella degli anni ’40, in cui hanno lavorato grandi architetti. I primi a capirlo, come al solito, sono stati quelli della moda, non a caso Fendi si è istallata al “Colosseo quadrato” dell’Eur. E in un palazzo degli anni ’40, in piazza Augusto imperatore aprirà l’hotel Bulgari. Ci sono ancora tanti palazzi nati per fare attività sportive che potrebbero diventare degli alberghi. La sfida per un architetto sarebbe di ammorbidirli, farli vivere sotto un’altra allure, quella dell’accoglienza. Il grande salto lo potrebbero fare le amministrazioni pubbliche: gli immobili più belli a Roma ce li hanno loro. E la chiesa».