Intervista a Gilberto Taccari, co-founder e Head of Technology di faire.ai
La partnership con Mia-Plaform per ampliare il bacino dei rispettivi clienti. Una piattaforma che rende possibile l’analisi del comportamento finanziario della clientela retail nel credito al consumo. Un ecosistema di servizi che permettono a qualunque industry di utilizzare i dati per migliorare la conoscenza dei propri clienti. Ecco come una fintech sfrutta le opportunità dell'Open Banking
Faire.ai è una fintech B2B specializzata nell’automazione del credito al consumo che sfrutta l’Open Banking (PSD2) come fonte di dati e utilizza il machine learning e l’intelligenza artificiale per stimare i modelli di rischio dei consumatori. Da inizio anno Faire.ai ha stretto una partnership con Mia-Platform, tech company che realizza piattaforme digitali cloud native per supportare banche istituzioni e società finanziarie nell’ottimizzare i processi di erogazione di prestiti alla clientela.
Gilberto Taccari, Co-founder e Head of Technology di faire.ai spiega le motivazioni che hanno spinto falla partnership e il futuro dell’Open Banking.
Qual è l’obiettivo alla base della partnership tecnologica tra faire.ai e Mia-Platform?
«La partnership ha un duplice obiettivo: arricchire l’offerta di Mia-Plaform verso i propri clienti aggiungendo i nostri servizi di analytics e fornire a faire.ai un canale per l’acquisizione di nuovi clienti qualificati, consapevoli del valore della tecnologia nel settore finanziario. Negli ultimi due anni, in faire.ai abbiamo costruito una piattaforma API che, sfruttando i dati transazionali di conti di pagamento e le moderne tecniche di ML, rende possibile l’analisi del comportamento finanziario di clientela retail con un focus sul credito al consumo. Abbiamo realizzato quello che in gergo si chiama “Product as a Service” e, nativamente, il nostro servizio è usufruibile attraverso API. Da questo nasce la naturale partnership con un player come Mia-Platform che facilita l’integrazione di soluzioni API-based».
Chi sono i vostri clienti e qual è il vostro mercato geografico di riferimento?
«Il nostro è un portfolio di clienti ampio, che spazia dall’ecosistema delle banche e degli istituti di credito fino al mondo utility in tutto il mercato italiano. Abbiamo concepito la nostra piattaforma proprio per sfruttare il dato transazionale come elemento qualificante e come chiave di volta per aprire scenari di business solitamente inesplorati dai player tradizionali e una reale possibilità di raggiungere target più ampi. Questo significa anche che, grazie alla nuova centralità del dato transazionale e la solidità della componente tecnologica, i limiti una volta esistenti anche in termini geografici possono essere ridisegnati secondo una logica più inclusiva. Il settore del credito tradizionalmente soffre dei limiti strutturali dell’analisi della storia creditizia delle persone, fortemente influenzata dalla territorialità del soggetto richiedente. La nostra vision e la nostra proposta tecnologica rovesciano questo paradigma completamente».
Chi sono i vostri competitor?
«Il fintech è il nostro habitat naturale, questo ci porta a interagire (e non necessariamente a competere) con molti player tecnologici: dai provider PSD2 ai sistemi di pagamento, dagli operatori del credito che sfruttano servizi digitali ai credit bureau. A marcare in maniera più netta la differenza di faire rispetto al contesto è il fatto che non proponiamo un prodotto o un pacchetto di prodotti. Il nostro è un vero e proprio ecosistema di servizi professionali che combinano la tecnologia con un profondo know-how di prodotto che permettono a qualunque industry di estrarre valore dai dati, migliorare il grado di conoscenza dei propri clienti e rispondere al meglio ai bisogni della clientela».
A suo avviso, quanto l’impiego degli strumenti di intelligenza artificiale volti a democratizzare l’accesso al credito è un bisogno dovuto al fatto che aumentano i crediti inesigibili?
«È difficile stabilire se il rapporto tra i due elementi sia consequenziale, ma non c’è dubbio che esista tra loro una forte correlazione. Il mercato è cambiato senza che però, contestualmente, cambiasse l’offerta di servizi di credito. I limiti strutturali che prima abbiamo citato hanno accentuato il divario tra le esigenze dei clienti e le procedure standard di valutazione della solvibilità. L’avvento di novità tech basate su AI hanno avuto il ruolo fondamentale di creare la percezione che fosse, per gli operatori tradizionali, arrivato il momento di modificare il proprio approccio».
La possibilità di stimare profili di rischio per i consumatori ridurrebbe il volume di NEL, che dopo la pandemia e relative moratorie, rischia di aumentare?
«Fare una previsione di medio periodo è complesso, soprattutto in questo momento in cui la contrazione del contesto macroeconomico, caratterizzato per esempio da inflazione e rialzo dei tassi di interesse, espone la situazione finanziaria delle persone a forte stress e ad oscillazioni. In generale però, basandoci sulla nostra esperienza, ampliare le maglie del risk assessment includendo la storia transazionale dei clienti arricchisce i modelli decisionali e permette di avere una fotografia molto più nitida delle capacità finanziarie di un privato. Differentemente da ciò che accade per un credit bureau, dove si conservano solo dati storici pregressi, l’Open Banking consente di analizzare i mutamenti e di individuare dei trend che solo le attitudini di spesa possono mostrare».
Qual è il futuro dell’Open Banking in Italia considerando che nel paese c’è ancora una importante carenza di innovazione?
«Il percorso è ancora lungo, ma credo davvero si possa guardare al futuro con ottimismo. Già oggi è possibile notare la presa di coscienza da parte dei player di settore di quali opportunità possa sbloccare l’Open Banking, sia come risorsa tecnologica, sia come rinnovamento dei modelli di business. Nel corso dei prossimi anni si assisterà sicuramente ad un progressivo aumento dell’adozione dei dati transazionali degli utenti come abilitatori di servizi sempre più in grado di rispondere alle esigenze dei consumatori. A favorire il cambiamento sarà un potente combinato disposto di domanda crescente del mercato e l’adeguamento normativo a livello europeo. Da questo punto di vista, è lecito confidare che la PSD3 possa rappresentare un’occasione di profondo rinnovamento».