OBIETTIVI E SISTEMA PAESE
Il PNRR rischia al Sud

Una serie di osservatori, dalla Banca d'Italia all'Ufficio parlamentare di bilancio, tengono nel mirino la realizzazione del Piano di ripresa e resilienza. E hanno già messo in luce i ritardi e le carenze nella realizzazione dei target. Ecco che cosa c'è da correggere

Paola Pilati

Correre, si dovrebbe correre per realizzare con il ritmo necessario al raggiungimento degli obiettivi le opere del Pnrr. Ma è come pretendere di far fare la maratona a una persona abituata alla carrozzella. L’avanzamento delle opere, più che in ritardo, è esposto al rischio di inciampare nelle tante inadeguatezze del sistema Italia, a cominciare dalla scarsità di personale nei comuni, ai quali è andata complessivamente la fetta importante della spesa, il 50 per cento, con una modalità ecumenica: non c’è praticamente un solo comune che non abbia ottenuto il suo pezzetto di finanziamento.

Mente la presidenza del Consiglio annuncia di avocare a sé la regia del Pnrr, con mezzi e personale concentrati a palazzo Chigi, il monitoraggio del Piano non è però lasciato a se stesso. Anzi, c’è più di un osservatorio già al lavoro, come ha dimostrato un seminario dell’Astrid che ne ha riunito una gran parte intorno allo stesso tavolo virtuale.

Dalla Banca d’Italia all’Ufficio parlamentare di bilancio, dall’Osservatorio del Recovery Plan del Dipartimento di Economia di Tor Vergata all’Irpet, l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana, ci sono molti occhi che seguono l’evolversi del Piano, con la consapevolezza che solo il controllo può far sì che la più grande occasione di ammodernamento del Paese porti i risultati sperati. Peccato che in molti casi questi controlli siano resi difficili dagli errori di comunicazione che arrivano dalla periferia. Un esempio? Il cup, codice unico di progetto, praticamente la sua carta di identità, spesso manca o è sbagliato, mettendo in difficoltà chi deve mappare la situazione.

I risultati di questi controlli, comunque, ci sono, ma non sono tanto incoraggianti. Prendiamo la distribuzione territoriale dei fondi, che prevede il vincolo dell’assegnazione al Sud del 40 per cento delle disponibilità. Non sempre il Sud mostra di farcela a utilizzarle: già a ottobre scorso la relazione del Dipartimento delle Politiche di coesione segnalava che sui 100 miliardi di risorse allocate al Sud fino ad allora, 14 miliardi erano stati ricollocati in altre aree per assenza di progetti. La situazione poi è migliorata? Non sembra, visto che la maggior parte dei pagamenti effettuati prende la strada delle regioni del Nord.

Vuoi a causa degli anni di magra della spesa per investimenti, vuoi per la difficoltà di applicare il nuovo codice degli appalti, c’è insomma, nel Sud, una inadeguatezza radicata che non è facile correggere. Questo anche in comuni grandi come Napoli e Bari, che hanno la metà dei dipendenti comunali di Bologna e Firenze (ponderati per numero di abitanti). Eppure con il Pnrr i comuni del Mezzogiorno dovrebbero spendere il 130 per cento in più rispetto agli anni pre-pandemia, per assorbire le risorse finora assegnate. I dubbi che ci possano riuscire sono forti.

Anche dove gli obiettivi quantitativi possono essere raggiunti, a mancare rischiano di essere gli obiettivi finali, quelli dove si concretizza la qualità dell’intervento realizzato nella logica dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. Un esempio è quello degli asili nido, su cui l’Upb ha fatto uno studio approfondito.

Fotografando oggi la situazione italiana, nel 57 per cento dei comuni non ci sono asili nido e il 40 per cento di questo gap è concentrato nel Mezzogiorno, meno del 52 per cento è al Nord (mentre in Emilia-Romagna, Marche, Umbria, Toscana e Veneto molti comuni hanno già raggiunto i Lep). Bene: l’aggiudicazione dei contratti per costruire gli asili dovrebbe essere fatta entro il prossimo giugno, con l’obiettivo di raggiungere il target di 264.480 nuovi posti in asili nido entro il 2025. Eppure, osserva l’Ubp, anche con la piena realizzazione di tutti i posti finanziati, non tutte le aree raggiungerebbero il Lep pari al 33 per cento di copertura: non accadrebbe in Campania e Sicilia, che resterebbero ancora sotto, mentre altre aree già più dotate, come la Toscana e l’Emilia Romagna, lo supererebbero.

Riguardo tutte queste criticità, il vantaggio è che sono state già messe a fuoco. Ora non resta che verificare se la revisione del Pnrr, che sta per essere messa in cantiere, riuscirà a emendarle in tempo per evitare che, con i ritardi, arrivino anche le sanzioni previste. Cioè il taglio dei prossimi assegni.

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