Le banche sono state componente importante nel processo di contrasto delle spinte recessive determinate dall’esplodere della pandemia a livello globale. Aver verificato la tenuta del sistema può essere di conforto ora che la congiuntura economica volge nuovamente in senso sfavorevole
È difficile guardare alla congiuntura economico-finanziaria attuale senza ricavarne una sensazione di preoccupazione. Nell’arco di pochi mesi, meno di un anno, gli indicatori sono passati dalla promessa di un’intensa ripresa post-pandemia alla possibilità di una stagnazione, o peggio recessione di respiro internazionale. La dinamica economica ha risentito di una molteplicità di fattori, tra loro in gran parte interconnessi e la cui durata è difficile prevedere: aggressione russa all’Ucraina con conseguente difficoltà nell’approvvigionamento energetico e alimentare; spinte inflazionistiche elevate in una fase in cui la politica monetaria è già orientata alla rinuncia al tono accomodante adottato negli ultimi anni; rallentamento della crescita in Cina senza il proporsi di nuovi soggetti trainanti la crescita mondiale; etc.
Se si guarda alla vicenda economica più in profondità e soprattutto in un’ottica di medio-lungo termine la valutazione dello scenario cambia in misura apprezzabile, non perché è minore l’altezza delle onde ma perché più forte è la consapevolezza della capacità di tenuta della nave. Gli elementi che contribuiscono a determinare questo cambio del mood sono numerosi e di diversa importanza. Senza la pretesa di censirli tutti, qui di seguito ne verranno proposti alcuni, assumendo come angolo di lettura il circuito bancario italiano ed europeo.
Il primo e forse più importante di questi fattori è il successo dell’azione di contrasto che si è riusciti a costruire nei confronti delle spinte recessive determinate dall’esplodere della pandemia a livello globale. Nell’arco di settimane ampi settori della catena produttiva si sono bloccati o quasi. Se si è evitato un collasso economico non recuperabile (o comunque di difficile superamento) è stato grazie all’azione decisa e autorevole delle istituzioni economiche nazionali e internazionali che si sono coordinate per mettere le banche in condizione di svolgere una imponente azione anticiclica.
Mentre nel 2008-09 le banche erano state in molti paesi tra le cause principali della crisi e l’ostacolo da rimuovere il più rapidamente possibile, nel 2020-21 sono state il muro di contenimento di una frana di proporzioni eccezionali. È alla riforma della regolamentazione bancaria che ha portato da Basilea 2 a Basilea 3 che si deve riconoscere una parte importante di questo successo. Con Basilea 3 si sono sanate importanti debolezze di Basilea 2: è stato riequilibrato il rapporto tra rischi creditizi e rischi finanziari, questi ultimi di fatto dimenticati da Basilea 2; si è preso in considerazione il rischio di concentrazione e quello operativo; si sono introdotti requisiti di liquidità; si è posto un limite al risparmio patrimoniale conseguibile con l’uso di modelli interni (output floor); etc. Senza nasconderne le debolezze ancora esistenti e l’incompiutezza di alcuni percorsi, la riforma normativa disegnata nella seconda decade degli anni 2000 ha consentito ovunque alle banche di resistere all’urto del trauma pandemico.
A ridimensionare le preoccupazioni contribuisce poi un’altra considerazione altrettanto importante: il mare agitato, prima dalla pandemia e adesso dai fattori sopra ricordati, ha condizionato solo in parte i processi di trasformazione strutturale in corso da anni. Malgrado le non favorevoli condizioni esterne, cioè, la nave ha proseguito l’attività di rafforzamento avviata. Per fare un esempio, tra il 2012 e il 2021 il sistema bancario italiano ha ridotto del 13% il numero dei dipendenti e del 34% quello degli sportelli (-2 e -8%, rispettivamente nel 2021). La quasi totalità delle realtà europee ha compiuto percorsi simili, a volte anche più intensi.
Si sono aperti così crescenti spazi per lo sviluppo digitale e parallelamente si sono poste le basi per un sostanziale irrobustimento della redditività. Se è vero, infatti, che in un primo tratto questo processo comporta non trascurabili oneri (spesa per esodi + investimenti digitali), nelle fasi successive (quella attuale) se ne vedono i significativi benefici (al netto della recente spinta inflazionistica, la dinamica dei costi risulta azzerata e nei casi virtuosi invertita).
Continua anche l’impegno per migliorare la gestione dei crediti deteriorati. Progressi importanti sono stati acquisiti per i crediti classificati come sofferenze che le banche gestiscono in ottica liquidatoria. Adesso però è necessario un salto qualitativo nella gestione delle inadempienze probabili, divenute la componente principale (oltre la metà) dei NPLs. Una gestione proattiva di queste posizioni da un lato richiede modelli organizzativi avanzati e ampie strutture (più frequenti per istituti di grande dimensione, meno per banche medio-piccole), dall’altro lato però promette importanti contributi per il conto economico (recupero integrale o comunque ampio di situazioni di difficoltà).
Un ulteriore elemento che consente di stemperare le preoccupazioni è il cauto ottimismo che proviene da chi ha responsabilità di governare il sistema. Non lo scontato ottimismo istituzionale ma la piena conferma, nonostante il tono sfavorevole della congiuntura, della tabella di marcia del processo di riassorbimento delle deroghe normative, in gran parte introdotte allo scoppio della crisi pandemica.
Alcuni esempi. A luglio sono è stato avviato il ripristino dei precedenti criteri di idoneità per le attività conferite in garanzia per prestiti della Bce (collateral pool). È in fase terminale senza alcuna prospettiva di estensione il regime transitorio che consentiva di diluire nell’arco di un quinquennio gli effetti contabili riconducibili all’entrata in vigore del principio contabile IFRS9. A marzo è terminata la possibilità introdotta nel 2020 di escludere dal calcolo dei rispettivi coefficienti di leva finanziaria determinate esposizioni verso banche centrali.
A sostenere questo percorso di progressiva normalizzazione non è solo la consapevolezza che le banche (escludendo particolari situazioni) hanno ampio spazio per poter procedere agli aggiustamenti ma anche le favorevoli indicazioni provenienti dall’andamento dell’attività.
In proposito due esempi, entrambi riferiti all’Italia. Il tasso di deterioramento dei prestiti alle imprese che hanno usufruito di moratorie continua a diminuire convergendo verso i valori relativi a imprese non beneficiarie di alcuna misura di supporto o beneficiarie solo di garanzie sui prestiti (a giugno 2022, il primo era poco sopra il 2% gli altri due a 0,5 e 0,8%, rispettivamente). Continua anche a diminuire l’anomala disponibilità di liquidità delle banche: l’eccesso rispetto alla riserva obbligatoria depositata presso la Banca d’Italia è risultato, nel periodo di mantenimento terminato a novembre, pari a 324 miliardi, 70 in meno rispetto ad aprile.
Ogni vicenda storica ha le sue peculiarità e quindi molto difficilmente le crisi future si proporranno in forme simili al passato. Il complesso sistema di prescrizioni, regole e controlli introdotto a carico del circuito bancario nella passata decade si è dimostrato efficace. Se e quali rischi nuovi proporrà l’attuale congiuntura non è possibile stabilirlo. Tuttavia aver verificato la tenuta del sistema di intermediazione in una fase di massima difficoltà come la crisi pandemica è certamente fonte di conforto.