La regione è cresciuta meno di altre regioni simili a livello europeo e anche rispetto ad altre regioni italiane del Nord. La specializzazione nella moda e nel turismo può aver penalizzato la propensione a investire a livello regionale. La dimensione media delle imprese ne ha limitato l'internazionalizzazione
Dall’inizio del millennio il PIL toscano è cresciuto a tassi inferiori rispetto a quello di regioni europee simili per modello industriale e dimensione economica, in ragione soprattutto di una peggiore dinamica della produttività del lavoro, sulla quale ha inciso anche una più lenta accumulazione di capitale. Tale ultimo aspetto è confermato considerando il tasso di investimento della regione calcolato sia in rapporto all’occupazione sia alle ore lavorate, un divario che ha interessato tutti i macrosettori1.
Focalizzando il confronto sulle sole regioni italiane industrializzate del Nord, per le quali si dispone di dati più dettagliati, il ritardo di investimento della Toscana, emerso sia nelle fasi espansive sia in quelle recessive del ciclo economico, è ascrivibile sostanzialmente a due fattori.
Il primo è la forte specializzazione regionale verso comparti a minor intensità di capitale, elemento che ha accresciuto la propria rilevanza negli anni della ripresa economica, per effetto di una ricomposizione verso alcuni comparti tradizionali, come la moda e il turismo, caratterizzati da bassi tassi di investimento.
Negli anni della pandemia, l’elevata specializzazione toscana nella moda e nei servizi di alloggio e ristorazione può aver ulteriormente penalizzato la propensione a investire a livello regionale. Nella stessa direzione, la minore rilevanza regionale delle industrie alimentari e dei servizi di informazione e comunicazione, che hanno avuto dinamiche di investimento relativamente migliori anche nella crisi pandemica, potrebbe aver inciso negativamente sull’accumulazione di capitale delle imprese toscane. Di contro, un impatto positivo sarebbe legato alla maggiore specializzazione regionale nel farmaceutico e alla bassa incidenza in Toscana del settore dei mezzi di trasporto, colpiti da forti cali nelle vendite.
Il secondo, quantitativamente più rilevante, è la maggiore incidenza in Toscana di imprese di piccole dimensioni e di conseguenza meno internazionalizzate. Dall’analisi dei dati tratti dall’Indagine sulle imprese dell’industria e dei servizi della Banca d’Italia è emerso come, a parità di settore, la più ridotta dimensione media delle aziende toscane, generalmente caratterizzate da maggiori vincoli sia finanziari sia all’espansione sui mercati internazionali, costituisca un fattore determinante nello spiegare il divario sfavorevole nel tasso di investimento rispetto alle regioni industrializzate del Nord prese a confronto. Inoltre, sebbene la Toscana abbia storicamente un’apertura maggiore al commercio estero della media del Paese, il più limitato coinvolgimento nei circuiti internazionali rispetto a quello delle regioni di confronto ne ha ulteriormente condizionato l’accumulazione di capitale e la produttività.
D’altra parte, l’appartenenza a catene globali del valore, soprattutto nel caso di imprese industriali, si è mostrata un fattore di significativa protezione nella recente crisi pandemica con una minore caduta dei fatturati nel 2020, per le imprese più internazionalizzate rispetto alle altre, e con un maggior recupero delle vendite nella fase di ripresa, avviatasi dal 2021.
*Banca d’Italia, sede di Firenze, Divisione analisi e ricerca economica territoriale. Le opinioni espresse sono quelle degli autori e non coinvolgono in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.
1Cfr. Casolaro L., Del Prete S., Papini G. (2022), “Propensione a investire e apertura internazionale: il caso della Toscana”, in Economia Italiana, n. 1/2022, pp. 109-140.