Il cambio di passo della Banca centrale europea va in controtendenza rispetto all’adozione di “regole” che, a partire dagli anni '80 e fino alla grande crisi finanziaria, aveva rafforzato l’indipendenza istituzionale della banca centrale e portato alla fissazione di obiettivi numerici e automatismi di condotta che garantivano disciplina e trasparenza nelle decisioni delle autorità di politica monetaria
La recente decisione della Banca Centrale Europea di uscire dagli 8 anni di tassi negativi sul mercato monetario ha sorpreso solo relativamente. La forte dinamica dell’inflazione nell’Eurozona, seppure per larga parte ancora “esogena” e imputabile al caro energia e alla impennata dei prezzi di materie prime e beni alimentari, non consentiva di rimandare ancora un primo intervento di “normalizzazione” della politica monetaria, da parte della Banca centrale.
Normalizzare, d’altronde, non vuol dire passare ad una politica restrittiva. Nelle intenzioni della BCE, la liquidità rimarrà ampia grazie al reinvestimento (fino alla fine del 2024) dei rimborsi ottenuti dagli acquisti di titoli condotti attraverso il programma di emergenza pandemico (PEPP). Reinvestimento “svincolato” dall’applicazione della cosiddetta capital key rule, come lo erano anche gli acquisti originari, e che quindi consente alla BCE una prima linea di difesa flessibile contro eventuali attacchi speculativi che dovessero concentrarsi, senza fondamento, su uno o più paesi dell’Eurozona, minando il meccanismo di trasmissione delle scelte di policy alla struttura dei tassi di interesse.
Il reinvestimento degli acquisti condotti attraverso il programma base di quantitative easing (APP), invece, avrà probabilmente una durata inferiore, era previsto terminare a fine anno, e non sembra ci siano ostacoli a rispettare i piani annunciati. Anche perché a Francoforte ci si è dotati di un ulteriore “arma” da attivare in caso di necessità, lo strumento di protezione della trasmissione della politica monetaria (TPI).
Si tratta di niente di più che un ritorno alla pratica ordinaria, in passato, da parte delle banche centrali di regolare con maggiore flessibilità la liquidità nel sistema finanziario attraverso acquisti (o vendite) discrezionali di titoli sul mercato secondario (operazioni di mercato aperto) senza vincolarsi ex ante a farlo solo in modo temporaneo (attraverso quelle operazioni che in gergo si chiamano repos o reverse repos).
Grazie al TPI, che i media hanno ribattezzato “scudo anti spread”, la BCE avrà libertà di acquistare, in teoria senza limiti ma impegnandosi a non modificare la base monetaria complessiva nell’Eurozona, titoli, prevalentemente governativi, di maturità compresa tra uno e dieci anni.
La giustificazione di tali interventi sarebbe da rinvenire nella constatazione di movimenti di prezzo sui mercati obbligazionari ritenuti essenzialmente riconducibili all’attività di agenti “speculatori”, in quanto non motivati da situazioni macroeconomiche in forte squilibrio per un paese membro, dall’adozione da parte dello stesso di politiche non coerenti con il quadro e le raccomandazioni della UE, da una sua mancata compliance al fiscal framework o da una palese insostenibilità del debito pubblico.
Come è evidente, siamo al ritorno pieno all’acclamazione dei benefici di un approccio fortemente discrezionale alla politica monetaria, in chiara controtendenza rispetto all’adozione di “regole” che aveva portato, a partire dagli anni ’80 e fino alla grande crisi finanziaria, al rafforzamento dell’indipendenza istituzionale della banca centrale e alla fissazione di obiettivi numerici e di automatismi di condotta che garantivano disciplina e trasparenza nella condotta delle autorità di politica monetaria.
È vero che quasi mai in pratica le banche centrali hanno agito seguendo rigidamente una “regola” di condotta, ma è innegabile che negli anni ’90, ad esempio, l’evoluzione dei tassi sui federal funds negli Usa, o dei tassi di policy in tanti altri paesi, sia stata molto coerente con l’applicazione di una tra le tante versioni disponibili della “Taylor rule” 1, un meccanismo per la prima volta utilizzato dall’economista di Stanford John Taylor, che collegava le scelte di politica monetaria in termini di tassi di interesse a breve alla deviazione di inflazione e output rispetto ai valori target delle banche centrali.
John Taylor accusò pubblicamente Alan Greenspan di aver contribuito ad originare la grande crisi dei mutui subprime quando, a partire dai primi anni 2000, la FED sembrò abbandonare l’adozione dei suggerimenti che la “regola” forniva, mantenendo troppo bassi, per troppo tempo, i tassi sui federal funds. Anche quando i tassi furono portati al loro zero lower bound, dopo il fallimento di Lehman Brothers, nel pieno della grande crisi finanziaria, le banche centrali, oltre a creare nuovi “canali” di fornitura di liquidità ai diversi operatori attivi nel sistema finanziario, per scongiurarne il collasso, iniziarono a seguire, per prima sempre la FED, dei sentieri di espansione della base monetaria, rigidamente fissati nell’ammontare mensile di acquisti di titoli e nelle caratteristiche di eligibilità degli strumenti acquistabili (per poi allargare eventualmente “le maglie” nei momenti più delicati).
Ora, la BCE ammette esplicitamente di aver bisogno di piena discrezionalità nel valutare di volta in volta la necessità di adottare interventi idonei a proteggere l’ordinato meccanismo di trasmissione alla finanza e all’economia reale delle sue decisioni di politica monetaria. Con un approccio meno rigido e vincolante rispetto a quello collegato alle Outright Monetary Transactions (OMT), annunciate nel 2012 da Mario Draghi nel suo famoso intervento sul Whatever it takes.
Queste ultime infatti, consentono acquisti illimitati sul mercato secondario di titoli governativi di un paese dell’Eurozona fiscalmente fragile ed esposto ad attacchi speculativi a patto che tali acquisti siano interamente “sterilizzati” (come è anche previsto nel caso del TPI) in termini di base monetaria complessiva e, soprattutto, “condizionati” alla sostanziale rinuncia da parte del paese stesso alla propria sovranità fiscale, dato che si impone il contestuale intervento sul mercato primario dei titoli del Meccanismo Europeo di Stabilità e l’assoggettamento delle decisioni di finanza pubblica ad un esplicito benestare da parte di Commissione UE, BCE e Fondo Monetario Internazionale (la famigerata “troika”, tanto invisa ai sovranisti e ai populisti).
Le OMT non sono mai state utilizzate, si tratta di un tipico esempio in cui l’annuncio di una “politica” è sufficiente a generare i risultati voluti, senza neanche il bisogno di implementarla. È evidente come nell’affiancare a tale strumento rigido e “dormiente” un TPI non regolato ex ante da alcuna condizione, di natura totalmente discrezionale, che addirittura non esclude neanche la possibilità per la BCE di orientare gli acquisiti a titoli non governativi (in caso di necessità), la nostra banca centrale abbia deciso di passare ad un approccio pragmatico e lontano da “dogmi e assunzioni di fede”.
Una buona notizia? Si vedrà, qui occorre sottolineare che, come ammesso dalla stessa BCE, saranno i dati sull’inflazione a determinare le prossime scelte sui tassi, nel timing e nella dimensione. La forward guidance viene oggi fortemente ridimensionata (limitandola sostanzialmente al solo reinvestimento dei rimborsi derivanti dal PEPP) e la discussione e il dibattito in seno al Consiglio Direttivo diventeranno sempre più centrali.
Un Consiglio Direttivo in cui si vota in 21, e in cui i benefici tipici dei processi decisionali collettivi – la gradualità, la ricerca del consenso e il ripudio di soluzioni “estreme”- potrebbero tuttavia essere sovvertiti dai costi collegati ad agire troppo tardi e con eccessiva timidezza. La flessibilità di un approccio discrezionale ottiene i risultati migliori quando si riesce a coniugarla con la credibilità e la trasparenza di annunci chiari e realizzabili.
Che le nuove “regole” sull’obiettivo fisso di una inflazione al 2% nell’Eurozona e di un approccio simmetrico a deviazioni dallo stesso verso l’alto e verso il basso, contenute nella recente revisione della strategia di politica monetaria della BCE dell’anno scorso, lo siano è al momento ancora tutto da verificare.
1Si vedano Taylor, 1993 e 1999, Clarida, Galì e Gertler (1998, 2000) e Curcio e Di Giorgio (2000)
Riferimenti Bibliografici:
Clarida, R., Galì, J., Gertler, M., 1998. Monetary rules in practice: some international evidence.
European Economic Review, 42:1033-1067.
Clarida, R., Galì, J., Gertler, M., 2000. Monetary policy rules and macroeconomic stability:
evidence and some theory. Quarterly Journal of Economics, 115:147-180.
Curcio R. e G. Di Giorgio (2000): “Regole di politica monetaria: i vincoli e le opportunità per la BCE”, Rivista di Politica Economica, marzo 2000, SIPI
Taylor J., 1993. Discretion versus policy rules in practice, Carnegie – Rochester Conference Series on public Policy, 39: 195-214
Taylor J., 1999, Monetary policy rules, Chicago, Chicago University Press.