Disuguaglianze e povertà: analisi e  cure

Sintesi del convegno di presentazione del nuovo numero di Economia Italiana. Le disuguaglianze non sono solo nel reddito, ma anche nel genere e nelle opportunità. Tutte le proposte

Giovanni Parrillo

Si è tenuto in Luiss, presso il Dipartimento di Economia e Finanza, il Convegno di presentazione del fascicolo della rivista Economia Italiana dedicato al tema  Disuguaglianze e povertà: il caso italiano, (www.economiaitaliana.org) coordinato dai professori Giuseppe De Arcangelis e Maurizio Franzini della Sapienza e Alessandro Pandimiglio, dell’Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. Disuguaglianze e povertà sono due fenomeni in crescita in tutte le economie industrializzate e la pandemia da Covid-19 ha certamente acuito il problema. Con riferimento al nostro Paese le disuguaglianze “interne” nei redditi disponibili, misurate con l’indice di Gini, sono passate (dati OCSE)  dal 28% circa dell’inizio degli anni’90 al 33% degli anni più recenti. 

Gli editor hanno sottolineato come, per comprendere le cause delle disuguaglianze, occorra interrogarsi sulle caratteristiche del processo di crescita economica, caratterizzato dall’innovazione tecnologica e digitale e dai processi di globalizzazione.  Di fronte a questi fenomeni, i cambiamenti istituzionali e nelle regole del gioco hanno notevolmente contribuito ad aggravare le disuguaglianze. Si è verificata la frammentazione dei contratti di lavoro –  indebolendo la forza contrattuale dei lavoratori  – e una generale tolleranza rispetto all’affermarsi dei monopoli in molti mercati. 

Tre relatori hanno commentato le ricerche presentate da Economia ItalianaAndrea Brandolini,  Vice Capo Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, ha messo in luce, fra l’altro, l’importanza delle nuove basi dati statistiche con cui è possibile oggi analizzare il fenomeno delle disuguaglianze e povertà in modo prima inimmaginabile e individuare così interventi di policy più mirati. Brandolini ha sottolineato in particolare che in Italia “la torta” non è cresciuta a causa di un ristagno trentennale dell’economia e che il problema delle disuguaglianze diviene davvero di difficile soluzione se la torta non torna a crescere. 

Valeria Cirillo, dell’Università di Bari, si è soffermata sul rapporto fra tecnologia e disuguaglianze, sottolineando come la tecnologia non sia neutrale e che nell’adozione delle diverse forme di tecnologie possibili devono entrare molti fattori. Si tratta, dal lato delle imprese, di possedere le necessarie competenze (capabilities) per conoscere e  saper adottare le tecnologie più innovative; dal lato del sistema istituzionale  c’è la necessità di svolgere un ruolo fondamentale per contemperare i nessi redistributivi e gli  impatti sul mercato del lavoro. Oggi lo spacchettamento dei processi economici in numerose mansioni  –  lampante è l’esempio della fase di distribuzione dei prodotti –  crea una privatizzazione di rischi d’impresa a carico dei lavoratori senza le necessarie protezioni giuridiche e assicurative. 

Stefano Scarpetta, Direttore per il Lavoro, l’occupazione e le politiche sociali dell’OCSE, nel suo ampio intervento, si è soffermato in particolare su alcune caratteristiche peculiari delle disuguaglianze nei paesi industrializzati. In primo luogo, mentre il reddito della classe media è cresciuto dagli anni ‘80 ad oggi del 20%, il costo delle abitazioni è aumentato del 200%, mettendo così in crisi l’accesso alla casa, fondamentale della vita delle persone. L’impatto dei cambiamenti tecnologici sul mercato del lavoro è poi davvero forte: il 15% dei lavori è sparito, un altro 30% è cambiato. La finanziarizzazione dell’economia ha un deciso effetto sulle diseguaglianze: il gap retributivo nel settore finanziario è il più alto; le difficoltà di accesso al credito sono crescenti; la volatilità dei mercati danneggia certamente di più i piccoli risparmiatori che non hanno gli stessi mezzi delle classi abbienti per proteggersi. Cosa fare in conclusione? Rivedere il ruolo redistributivo della mano pubblica, sceso da un terzo a un quarto del mercato. Favorire le politiche di trasferimento a favore dei poveri, mentre oggi gli interventi maggiori si concentrano sul ricollocamento. Dare, soprattutto, all’istruzione il giusto rilievo (l‘Italia è sotto la media OCSE) per ripristinare l’ ascensore sociale che si è fermato. È il capitale umano che va ricostituito, sopratutto in Italia, per combattere le disuguaglianze. 

Come è nello spirito di Economia Italiana, la Tavola rotonda ha permesso poi un importante confronto fra le riflessioni accademiche contenute nei saggi e nelle relazioni e il punto di vista di chi è impegnato con posizioni di alta responsabilità nell’economia reale. Se queste sono le analisi, quali proposte si possono avanzare? 

Alessandro Varaldo, amministratore delegato di Banca Aletti, ha ricordato che oggi ci sono 276 miliardi di euro investiti in attività finanziarie che hanno le caratteristiche ESG. Attraverso opportuni incentivi fiscali (sul tipo di quelli che hanno permesso lo sviluppo dei PIR) si potrebbe indirizzare una mole di investimenti cospicui verso un modello di finanza responsabile, in grado di fornire un contributo concreto nella lotta al cambiamento climatico e nel perseguimento degli obiettivi sociali di sviluppo sostenibile.  

Marco Morelli, CEO Mercer Italia e presidente Assoconsult – Confindustria, ha rilevato come l’aumento delle disuguaglianze nei paesi industrializzati e la compressione dei redditi della classe media renda sempre più necessaria e strategica una gestione del personale orientata al benessere dei dipendenti, con evidenti ricadute sul loro “ingaggio” e sulla produttività. Secondo l’indagine internazionale di Mercer Marsh “People Risk”,  l’80% dei direttori del personale è d’accordo nel riconoscere il rischio legato alla salute e sicurezza del lavoro come la principale preoccupazione aziendale. Anche se si tratta di un dato certamente influenzato dalla crisi sanitaria, la situazione ha radici più profonde e va gestita. Occorrono  politiche del personale in grado di ridurre il gap di genere, aumentare il benessere psico fisico dei dipendenti, migliorare il work-life balance. 

Giovanna Vallanti, Luiss, ha evidenziato  come – in base alla ricerca condotta con Antonio Gravina, dell’Università di Palermo –  l’analisi empirica mostri che una maggiore robotizzazione dei processi produttivi si associa a un incremento dei differenziali salariali a scapito dei lavoratori meno qualificati. 

Giovanna Paladino, direttore del Museo del Risparmio di Torino, ha ricordato che – sulla base della ricerca compiuta attraverso un questionario assieme a Luciano Canova – l’unica vera differenza di genere emersa nella Generazione Z si riscontra sull’educazione finanziaria, e ciò va curato attraverso idonei interventi educativi a partire dai comportamenti familiari. 

Infine, Agostino Nuzzolo, General Counsel e direttore della funzione Legal Affairs di Tim, ha sottolineato come il digitale sia la nuova frontiera di diseguaglianze e povertà e quanto il Digital Divide freni la crescita economica. Si tratta di un problema che dipende dalle infrastrutture – la rete unica è certamente una soluzione, resa complessa anche dalla configurazione del territorio italiano e dalla concentrazione nelle aree urbane – ma molto anche dall’educazione informatica. Per l’edizione 2021 dell’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) l’Italia si colloca, nel complesso degli indicatori, al 20º posto fra i 27 Stati membri dell’UE, rispetto al 25° occupato nel 2020, con un bel salto in avanti, ma resta in terz’ultima posizione per quanto riguarda la formazione del capitale umano. Si tratta insomma di investire in modo mirato sia per coprire le aree scoperte, sia per la formazione. 

Condividi questo articolo