Ripartenza a razzo dell'industria manifatturiera, grande competività sui mercati internazionali, ripresa dei consumi e della domanda interna che sosterrà la crescita fino alla fine del 2023. Un quadro ottimistico. Con qualche campanello d'allarme
Gli italiani del 2021 mangiano, bevono, ristrutturano la casa e comprano mobili ed elettrodomestici più moderni, non rinnovano il guardaroba, ma l’auto sì. Le imprese hanno quindi riscoperto il bello di un mercato interno che tira, e di uno Stato che ha loro consentito di attraversare il Covid senza le ansie patite nella crisi precedente. Alla riapertura, quindi, non hanno perso tempo a leccarsi le ferite, ma sono ripartite a razzo. Per di più con il vantaggio di poter scaricare sui prezzi di vendita l’incremento dei prezzi alla produzione dovute dalle difficoltà di approvvigionamento.
È un quadro ottimistico quello che emerge dall’ultimo Rapporto analisi dei settori industriali Intesa Sanpaolo-Prometeia, appena presentato dal capo economista della banca, Gregorio De Felice, con i focus di Alessandra Lanza (Senior Partner di Prometeia), Ilaria Sangalli (Senior Economist Industry Research di Intesa Sanpaolo), Stefania Trenti (Responsabile Industry Research di Intesa Sanpaolo), e Alessandra Benedini (Principal di Prometeia).
Il rapporto dipinge un’Italia come non si vedeva da tempo, baldanzosa sui mercati tanto da surclassare gli altri big europei, con una produzione industriale lanciatissima a riguadagnare il tempo perso nell’anno di stop (a fine anno si prevede un più 0,8 per cento a prezzi costanti, e un più 9,3 a prezzi correnti), che dovrebbe avere il vento in poppa fino al 2023, crescendo a un tasso medio del 4,2 per cento come attività manifatturiera a prezzi costanti, un valore ben sopra la media storica.
Altrettanto faranno i fatturati. Nel 2023 il fatturato deflazionato raggiungerà un livello del 9,4 per cento superiore a quello pre-Covid. A prezzi correnti, si prevede addirittura una cifra record: 1135 miliardi di euro tra due anni, il che vuol dire 196 miliardi in più rispetto al 2019.
E se gli imprenditori dovessero lamentarsi di una riduzione dei margini a causa degli aumenti dei costi, il Rapporto li rincuora, prevedendo che dal prossimo anno la marginalità risalirà nella maggior parte dei settori.
Certo, la bonanza non sarà uguale per tutti. I processi di digitalizzazione e la trasformazione green sosterranno soprattutto la filiera elettromeccanica, le auto e moto, i produttori di metallo e riporteranno sulla corsia di sorpasso il sistema moda, quello che a oggi resta più indietro nella ripresa generale, con una perdita rispetto ai livelli pre-Covid dell’8,9 nel 2021.
Ma ci sono, hanno spiegato gli autori del Rapporto, delle differenze di comportamento tra imprese grandi e medio piccole. E non sempre nel senso che ci si aspetterebbe. Durante la pandemia, per esempio, se la sono cavata meglio le piccole e medie imprese che le grandi: le prime per la capacità di gestire con maggiore flessibilità il lato dei costi, che invece ha pesato molto per le grandi imprese, impedite a scaricarli sui listini per la mancanza di domanda.
Nel 2021 lo scenario è già cambiato. Le grandi imprese, che avevano già affrontato gran parte della trasformazione necessaria a darsi competitività, stanno andando bene e in questo slancio hanno agganciato e trainato le piccole imprese. Le medie, invece, fanno più fatica a riposizionarsi dopo la crisi. Il che dimostra quanto sia importante l’elemento strategia delle imprese, e come questo le possa mettere in grado di approfittare in pieno delle risorse messe in campo dal PNRR.
Il PNRR è il fattore che maggiormente influenza la robustezza della ripresa. Se da un lato genera incertezza quanto a capacità di gestione e di spesa, sicuramente è quello che sostanzia la ricomparsa della domanda interna, che gli analisti del Rapporto definiscono l’elemento più importante del triennio, oltre al risveglio dei consumi.
Ma non è l’unico elemento. L’altra gamba della ripresa sono i mercati internazionali e il riavvio degli scambi, nonostante il rialzo dei prezzi. Nel primo semestre di quest’anno l’export di manufatti è cresciuto del 23,7 per cento a valori correnti, superando non solo il livello del 2019 (del 4,6 per cento), ma surclassando anche i nostri concorrenti più temibili come Germania e Francia, in particolare in due settori come auto-moto e meccanica. Ma i driver più forti dell’export italiano – oltre a a quelli – sono stati gli alimentari e le bevande (però attenzione alla forte concorrenza della Spagna) e i mobili, anche in mercati lontani come l’Asia e Nafta.
Se la vitalità del nostro sistema produttivo è indubitabile, ci sono due punti critici che il Rapporto vuole mettere in evidenza, ed entrambi hanno a che fare con le filiere e le Pmi. Perché il PNRR possa dispiegare con successo la sua missione è importante che le imprese si dispongano a partecipare in filiera, altrimenti si perderà l’effetto moltiplicatore degli investimenti, avvertono gli economisti Intesa-Prometeia. Ma anche sul fronte internazionale le filiere sono importanti, ed è il secondo punto critico: ci avviamo verso un ciclo rialzista dei prezzi delle materie prime e per sostenere le Pmi in questa fase vanno evitati colli di bottiglia agli approvvigionamenti. Anche questo sarà possibile solo grazie a una organizzazione a filiera che mantenga i canali di rifornimento “in linea”. Dunque, il messaggio è non procedere sparpagliati e ognuno per sé, ma serrare le fila per non perdere nessuno per strada.
Paola Pilati