MERCATI SULL'ORLO DI UNA CRISI DI NERVI
Rischio bond tra Cina e Usa

Il rischio default della Evergrande non è l'unico motivo che mette i mercati in agitazione: c'è anche la battaglia politica sul rischio default del debito Usa

Paola Pilati

Evergrande ha fatto tremare le Borse di tutto il mondo, ma evocare il caso Lehman Brothers e il contagio globale che provocò la grande crisi finanziaria nel 2008 appare eccessivo.

Prima di tutto perché i titoli (soprattutto bond high yield) della società immobiliare cinese non sono così diffusi nei portafogli fuori dalla Cina, e un default non sarebbe quindi altrettanto globalmente doloroso (i primi quattro titolari di bond in dollari fuori dalla Cina sono Ashmore Group, Blackrock, Ubs e Hsbc per cifre che vanno dai 200 ai 400 milioni di dollari, secondo Bloomberg).

Poi perché in un’economia come quella cinese tutto dipende dal governo. E anche se Xi ha recentemente ammonito che le casse pubbliche non possono essere a disposizione delle aziende private in difficoltà, lasciare al proprio destino tanti aspiranti proprietari di casa non sarebbe un bel segnale: dopo aver rimesso in riga parecchi titolari di grandi fortune con il messaggio che la ricchezza va condivisa più equamente, bastonare gli esponenti di una middle class facendogli perdere il proprio investimento nel mattone sarebbe un boomerang.

Inoltre, il governo esercita un forte controllo sulle banche coinvolte nel caso Evergrande. Possibile che il debito che oggi la farebbe andare in default (300 miliardi di dollari) non possa essere ricontrattato? Una delle soluzioni potrebbe essere infine un salvataggio pubblico. E una vendita delle spoglie del gigante immobiliare facendolo a pezzi, su base territoriale. Uno spezzatino, insomma, nel segno del più classico degli interventi di una economia di Stato.

Resta il fatto che il clima finanziario internazionale si dimostra super-eccitabile ed estremamente sensibile a tutto ciò che offusca il quadro ottimistico sulla ripresa, a partire dal timore di una coda avvelenata del Covid. Sarà per tranquillizzare sulla variante D che gli Usa, dopo aver avuto con questa pandemia più morti che per la Spagnola di inizio Novecento, hanno finalmente deciso di riaprire le frontiere ai viaggiatori?

In fatto è che anche gli Usa hanno problemi non secondari che possono turbare il mercato dei bond. L’allarme è stato suonato dalla Yellen già a fine luglio: ad agosto è stato raggiunto il tetto di indebitamento concesso per legge al paese, tanto da mettere in pericolo i pagamenti i prossimi pagamenti a cui lo Stato si troverà di fronte a ottobre, dagli investimenti dell’Exchange stabilisation Fund alle nuove emissioni a favore dei alcuni fondi per i pensionati pubblici.

Il tetto all’indebitamento che vincola il Tesoro è infatti stabilito con una legge e viene via via aggiornata, ma con un atto bipartisan è stato sospeso a partire dal 2019 con scadenza al primo agosto 2021. A questa data sarebbe dovuto tornare al tetto precedente (22 trilioni di dollari), più il debito emesso nel frattempo. In assenza di interventi legislativi il Tesoro più barcamenarsi per un po’, ma alla fine sarà costretto a dichiarare per la prima volta di essere a secco (data prevista: tra ottobre e novembre). Un default del debito che potrebbe terremotare il mercato dei Treasury bond, questo sì a livello globale.

È per questo che i Democratici stanno usando tutti gli argomenti per convincere i Repubblicani a votare insieme per alzare il limite all’indebitamento pubblico almeno fino alla fine del 2022. Non ci sono ancora riusciti, e per il momento hanno ottenuto solo di far passare la norma a maggioranza al Congresso, con i Repubblicani pronti a fare muro al Senato. I progetti di spesa straordinaria promessi da Biden (6 trilioni di dollari nel 2022) che comportano un innalzamento del debito pubblico americano a livelli che non si vedevano dalla Seconda Guerra mondiale sono attaccati a un filo.